Calamità, guerre, lavoro, povertà e loro derive. È penoso scorrere l’alfabeto delle cause che spingono masse di persone a lasciare casa e patria e a rischiare il tutto per tutto in una terra sconosciuta e probabilmente poco empatica verso i loro drammi. Ma l’immigrato è sempre portatore di un carico di positività, un contributo troppo spesso ignorato, perché soffocato dall’emergenza dei suoi bisogni. A rilanciare questo approccio al fenomeno, è Papa Francesco davanti alla platea dei partecipanti al settimo Congresso mondiale della Pastorale dei migranti. Ogni loro spostamento, ribadisce il Papa, cela ogni volta “un invito a immaginare un futuro diverso”, “un’aspirazione alla speranza”:
“Soprattutto nelle aree depresse del pianeta, dove la mancanza di lavoro impedisce la realizzazione di un’esistenza dignitosa per i singoli e per le loro famiglie, è forte la spinta a ricercare un futuro migliore altrove, anche a rischio di delusioni e di insuccessi, provocati in gran parte dalla crisi economica che, in misura diversa, tocca tutti i Paesi del mondo”.
Mettendo a fuoco le “dinamiche della cooperazione e dello sviluppo”, il Congresso svoltosi in Vaticano ha illuminato l’altra faccia della medaglia, quelle delle “opportunità” che viaggiano nella corrente di qualsiasi flusso migratorio. Opportunità, sottolinea Papa Francesco, che non riguardano solo chi bussa in cerca di asilo, ma anche chi apre la porta:
“I Paesi che accolgono traggono vantaggi dall’impiego di immigrati per le necessità della produzione e del benessere nazionale, non di rado limitando anche i vuoti creati dalla crisi demografica. A loro volta, i Paesi dai quali partono i migranti registrano una certa attenuazione del problema della scarsità di impiego, e soprattutto traggono beneficio dalle rimesse, che vengono incontro alle necessità delle famiglie rimaste in patria. Gli emigrati, infine, possono realizzare il desiderio di un futuro migliore per sé stessi e per le proprie famiglie”.
Certo, chi se ne va in cerca di una nuova prospettiva di vita lascia un’inevitabile scia di problemi, che Papa Francesco elenca: “impoverimento” del Paese di partenza “per la perdita delle menti migliori”, “fragilità” dei giovani che “crescono senza uno o entrambi i genitori”, “rischio di rottura dei matrimoni per le assenze prolungate”. Tutto questo è terreno di azione per l’esperienza cristiana di aiuto ai migranti in ogni fase del loro difficile percorso, “teso tra lo sradicamento e l’integrazione”:
“La Chiesa cerca di essere luogo di speranza: elabora programmi di formazione e di sensibilizzazione; alza la voce in difesa dei diritti dei migranti; offre assistenza, anche materiale, senza esclusioni, affinché ognuno sia trattato come figlio di Dio. Nell’incontro con i migranti, è importante adottare una prospettiva integrale, in grado di valorizzarne le potenzialità anziché vedervi solo un problema da affrontare e risolvere. L’autentico diritto allo sviluppo riguarda ogni uomo e tutti gli uomini, in visione integrale”.
Insomma, conclude Papa Francesco, la Chiesa deve testimoniare con le sue comunità che al suo interno “nessuno è straniero” e che “ognuno merita accoglienza e sostegno”:
“La Chiesa, oltre ad essere una comunità di fedeli che riconosce Gesù Cristo nel volto del prossimo, è madre senza confini e senza frontiere. È madre di tutti e si sforza di alimentare la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, dove nessuno è inutile, fuori posto o da scartare. (…) I migranti possono diventare partner nella costruzione di un’identità più ricca per le comunità che li ospitano, così come per le persone che li accolgono, stimolando lo sviluppo di società inclusive, creative e rispettose della dignità di tutti”.
Il servizio è di Alessandro De Carolis. Qui il link per l’audio originale:
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