L’ultimo giorno dell’anno, poi, ci spinga a ringraziare il Signore per aver camminato al nostro fianco e a chiedergli perdono per i tanti passi sui sentieri della nostra caparbietà, fuori delle segnalazioni della sua Parola. Se è vero, comunque, che la famiglia umana è un riflesso della famiglia trinitaria e che essa ha come esemplare la famiglia di Nazareth, è anche vero che la situazione della famiglia di oggi è diversa da quella dei tempi di Maria e Giuseppe.
La famiglia antica, e perciò anche quella biblica, era di tipo patriarcale: essa faceva capo al padre, vertice della casa. Non per nulla nel Vangelo ora ascoltato Giuseppe viene nominato ben 4 volte. Anche se non dice nessuna parola (egli tradisce solo una grande emozione: “ebbe paura di andare nella Giudea”) è lui che decide e agisce: prende il bambino, lo porta in Egitto e da qui lo riporta in patria, stabilendosi a Nazareth, lontano da chi avrebbe voluto ucciderlo.
Oggi la situazione è cambiata con fatti nuovi, accettati anche dalle leggi civili. Ormai il diritto – si legge anche nell’atto ufficiale di matrimonio – prevede due capi della famiglia: il padre e la madre, e questo, a pensarci bene, costituisce una conquista, ma anche una grossa responsabilità nel senso che, la vera autorità sta così oggi nell’intesa, nell’amore interno della famiglia. E così, mentre da una parte sembra crollare un modello andato avanti per secoli, dall’altra parte emerge un valore che dovrebbe essere caro ai cristiani: l’amore. Ma quello vero e sacro che deve diventare un volersi bene, che tiene uniti e che garantisce la stabilità della famiglia, perché ciò che non si ama si perde.
Siccome però è facile dar inizio all’amore, ma è difficile dare all’amore autentico quel continuo inizio che lo mantiene sempre vivo, questo nuovo tipo di famiglia si sta rivelando molto fragile. Le cause sono tante e tanti e di vario ordine i problemi sollevati: crisi delle abitazioni; lavori fuori casa della donna; limitazione delle nascite; separazioni; introduzione del divorzio; autonomia dei figli che vogliono fare la loro esperienza, pongono domande inquietanti a cui non è facile rispondere. Eppure a una si deve rispondere. Qual’ è il contributo specifico del messaggio evangelico alla soluzione di questi problemi? Innanzitutto va detto che non è compito del Vangelo offrire un modello sociologico della famiglia: il Vangelo può dare solo indicazioni ai credenti per animare dal di dentro la famiglia e farle scoprire i suoi valori e le sue potenzialità. S.Paolo dice che la famiglia resisterà e assolverà ai suoi compiti se coloro che la compongono instaureranno fra loro quei comportamenti fraterni che legano fra loro i veri cristiani. Nel brano della lettera che abbiamo ascoltato egli dedica 17 versetti a definire la vita cristiana e solo 4 (per di più molto brevi) a definire la specificità del comportamento familiare. Chi sono i membri di questa famiglia cristiana? Sono gli amati da Dio, quelli cioè particolarmente vicini a Lui (“santi”, li chiama S.Paolo). La loro identità essenziale non è data, quindi dalla posizione sociale o dai ruoli culturali o tradizionali (mariti diritti e doveri, mogli, doveri e diritti), ma dall’azione gratuita e generosa di Dio. Questo comporta il massimo dell’umiltà (quello che uno è lo è per dono gratuito) e il massimo di rispetto per gli altri: quello che gli altri sono, lo sono per la volontà e la grazia di Dio.
Questa consapevolezza di essere amati e accettati gratuitamente da Dio deve suscitare una profonda bontà del cuore che si apra all’accettazione incondizionata di tutti. La struttura dell’etica cristiana ha quindi una sua logica molto chiara: comportarsi con gli altri come il Signore si comporta con noi, cioè con bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza, sopportazione e perdono. Da questo deriva ovviamente una conseguenza, e cioè che se la sorgente dell’etica cristiana è l’amore di Dio per noi, al centro della vita cristiana deve stare la Parola di Dio; se non altro per non dimenticare quello che Lui ha fatto per noi; quello che Dio ci ricorda sul rispetto della vita, anche quella solo concepita, perché, secondo una felice espressione dei primi scrittori cristiani “è uomo anche chi lo sta diventando”; per ricordare quello che è detto sull’attenzione premurosa verso chi non rende e non guadagna, ma spesso assorbe tempo ed energie: l’anziano. Non tutti i figli valgono, oggi, le lacrime che sono costati ai loro vecchi.
C’è il sacrosanto dovere di rivivere in famiglia tutto l’amore redentore del Cristo, tutto l’amore col quale Egli ha amato e salvato suo padre e sua madre, e col quale essi lo hanno amato. In Cristo il marito è responsabile della salvezza della sposa, deve amarla fino a salvarla. La stessa cosa dovrà fare lei nei confronti del marito. Ambedue poi diventano responsabili della salvezza dei figli (e questi della salvezza dei genitori): responsabili di amarli abbastanza fino a salvarli.
Come fare per vedere il Signore in un marito, in una moglie, in un figlio? La risposta è scontata ed è una sola: con la fede, come del resto avvenne nella Santa Famiglia. Giuseppe ha dovuto far fede a Maria, ha dovuto credere in lei in modo eccezionale e deve averla amata molto per credere in lei così. Maria ha dovuto credere in Giuseppe, fidandosi del rispetto e della stima che le portava. Più si ama, meno si dubita. Ambedue hanno avuto fede nel figlio, apparentemente un bambino come gli altri e del quale non sempre capivano parole e comportamenti: ma l’amore è capace di comprendere anche quello che non capisce. Gesù, infine, mostrò fede nei genitori: era loro sottomesso e rimanendo 30 anni a Nazareth ha dimostrato che si possono compiere le missioni più sublimi, vivendo affettuosamente una semplicissima vita di famiglia.
La famiglia dev’essere l’ambiente paradossale in cui si ama più di quanto talora si meriti e per sempre allo stesso modo. Nell’amore infatti non esiste il meno; il meno è niente. Che vuoto se, finita la bellezza, non c’è la virtù! Una buona famiglia è quella in cui si accetta di non capire tutto, ma di superare i conflitti e tensioni nella fede; ove si accetti di credere sempre; di amarsi malgrado le delusioni e le sofferenze: amarsi non è una virtù. lo diverrà col tempo. Un essere non è mai perduto finché c’è qualcuno che crede in lui e lo ama. Siamo alla vigilia di un anno nuovo che tutti ci auguriamo migliore di quelli passati, anche se quello che finisce oggi ci ha riservato novità e conquiste che solo un mese fa sembravano irraggiungibili.
Auguriamoci un anno di grazia con le parole del Salmo: “Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto”: Se fossimo capaci di dire a chi ci vive accanto: il tuo volto io cerco, non me lo nascondere, la crisi della famiglia sarebbe risolta.
Riconciliamoci con i volti, da quello del bambino non ancora nato a quello dell’anziano tramato di rughe: è l’unico modo di riconciliarsi col volto di Dio, la cui benedizione è sempre abbondante sulla casa che lo accoglie come l’ospite più atteso.
Fonte: LaParrocchia.it
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