La prima è la generosità: Frans si dava in maniera gratuita a chiunque incontrasse, ed era come un padre per tutti noi: gesuiti e laici. Donava al punto che ho sentito qualche gesuita mugugnare sul fatto che non si curava abbastanza di se stesso. Quando era in ritiro, passava tutta la notte ad ascoltare le confessioni, dando consigli spirituali o semplicemente ascoltando. Nonostante questo, si alzava presto al mattino per la sua meditazione zen. La seconda è l’amore. Molti gesuiti sono famosi per le omelie che pronunciano nelle chiese locali, e Frans non faceva eccezione. Ma c’era qualcosa di speciale nel modo in cui lui lo faceva: dato che si era immerso nella cultura e nel linguaggio, e conosceva i fatti quotidiani della Siria, parlava con un’autentica voce di Amore. Avvicinava i giovani alla preghiera parlando proprio di Amore. Ma quello che ci attraeva tutti era la sua vita: una vita di amore. Questo Amore lo ha invitato a trovare la gioia nell’essere siriano… persino più che nell’essere olandese, come diceva lui. Non posso scordare il giorno in cui, volendo spiegargli una battuta che avevo fatto in accento siriano, mi ha interrotto: “Ragazzo, quanti anni hai?”; “Ne ho 23”; “Ecco, ho passato 19 anni più di te in Siria!”.
La terza caratteristica è la semplicità. Chiunque si sia mai unito a Frans nelle escursioni che organizzava spesso – forse la cosa per la quale era più famoso, più che per essere un gesuita – ha visto come questo uomo anziano sopravvivesse con cibo semplice e basilare. Negli stessi momenti in cui Frans era felice di mangiare cose semplici, tutti noi altri sognavamo il momento in cui saremmo tornati a casa per gustare i deliziosi piatti siriani di mamma. Invece di girare in macchina, attraversava le affollate strade di Homs con la sua bici, proprio come molti cittadini locali (e forse persino in maniera migliore).Pochi giorni prima della sua morte, Frans ha pubblicato queste righe sulla pagina Facebook che usava per condividere notizie: “I cristiani della vecchia Homs si chiedono l’un l’altro: ‘Cosa possiamo fare? Non possiamo fare nulla!’. Ma Dio si prenderà cura di noi: siamo paralizzati, ma crediamo che Dio sia con noi in particolare durante queste dure circostanze. Dio non ci abbandonerà mai, ci conosce, conosce le nostre sofferenze: non ha mai voluto alcun male. Tutto quello che ha è uno sguardo compassionevole nei confronti di chi ama”. “La nostra fede – scriveva ancora – ci aiuta molto a superare questa situazione critica, e ci dà speranza e pazienza. Ma diventa sempre più difficile, e le nostre abilità diventano sempre più scarse. La carestia minaccia le nostre vite, ci mancano gli elementi base per sopravvivere: cibo e generi di prima necessità. Ma in qualche modo sopravviviamo, e continuiamo a spingere la vita più in là. Di più, facciamo esperienza della bontà di coloro che hanno bisogno. A volte, davanti alla porta si trovano delle lenticchie e del bulgur [focaccia di grano duro], e questo è ciò che si può mangiare dopo due anni. Quando siamo poveri e in difficoltà, allora riscopriamo la bontà degli esseri umani, quando riceviamo dai nostri fratelli e sorelle”. In questi giorni – concludeva – “vediamo che il male cerca di infiltrarsi fra di noi. Ma non può fare finta di non vedere la bontà, e abbiamo bisogno di combattere per tenere accesa questa fiamma nei nostri cuori. Stiamo aspettando i risultati dei negoziati, siamo ottimisti che si potrà trovare una soluzione per noi, ma il tempo ci ha insegnato a non credere alle voci… ci stiamo preparando per la Pasqua, riflettiamo sulla morte in croce che si trasforma nella resurrezione. Ci sentiamo come se vivessimo in una valle di ombre, ma possiamo vedere una luce in lontananza che ci guida verso la vita… Speriamo che la Siria possa presto risorgere… Andiamo avanti”. Mi manchi, Frans. La scorsa notte ho cercato follemente in archivio una nostra foto insieme, e questo mi ha costretto a riguardare tutte le foto che ho scattato negli ultimi cinque anni nei vari eventi tenuti dai gesuiti. Eri sempre lì, con il tuo sorriso e il tuo sostegno. Ti ho rivisto mentre loro pronunciavano i voti definitivi, alla loro ordinazione, alle conferenze e ai compleanni. Ho rivisto le foto dei miei primi voti: tu eri lì, nelle sedie indietro, con la tua maglietta rossa. Non hai mai perso l’opportunità, una generazione dopo l’altra, di ispirare i gesuiti siriani a continuare il loro viaggio. Ho capito che tu rimarrai sempre con noi, esattamente come hai sempre fatto. Posso sentirti, ora nel mezzo del mio corso, che mi dici: “Vai avanti, Tony, e continua il lavoro della Chiesa in Siria”. Ci proverò Frans. Ma anche se sono giovane, ho solo una piccola parte della tua energia. di Tony Homsy
*Tony Homsy è un gesuita siriano della Provincia mediorientale. Ha 28 anni ed è il webmaster del sito della Provincia. Dopo la laurea in bio-chimica presso l’università di Aleppo è entrato nella Compagnia, passando due anni al Cairo (in Egitto); dopo ha studiato filosofia e civilizzazione araba a Beirut, in Libano. Al momento studia presso la Creighton University di Omaha, dove segue i corsi di Giornalismo digitale e Computer Science.
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