Ricordando il gesuita ucciso in Siria: ‘ha ispirato tutti noi’

Quando mi sono svegliato, la mattina di lunedì 7 aprile, sono andato subito a controllare la mia mail: tutti i giornali parlavano dell’omicidio di p. Frans van der Lugt sj. Quella mattina era stato “rapito da uomini armati nella sua residenza di Homs in Siria, dove viveva, ed era stato ucciso a colpi di arma da fuoco. Nonostante i pericoli, aveva deciso in maniera volontaria di rimanere nella città di Homs, in solidarietà con la popolazione che non poteva abbandonarla. Rimane nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere”.  Fuori dalla Siria “Frans” – come preferiva essere chiamato – non era un nome familiare come p. Kolvenbach – un altro grande missionario olandese della mia Provincia nativa, quella mediorientale, che ha servito la Società di Gesù come Superiore generale. Tuttavia, chi lo conosceva sapeva bene che uomo semplice, generoso e amorevole egli fosse. Una parte di me ha cercato di celebrare Frans come un uomo che ha speso la sua vita per uno scopo, uno scopo che ha ora finalmente raggiunto. Ma un’altra parte di me piange per la perdita di un grande compagno, un gesuita che negli ultimi decenni ha ispirato tutti i gesuiti siriani. Negli ultimi anni, Frans era convolto in maniera profonda con il conflitto in corso in Siria. Il blog Erasmus dell’Economist ha riconosciuto la sua vita di servizio in un post del 10 febbraio, in cui sottolineava il desiderio di Frans di “scuotere l’opinione mondiale sul dramma della popolazione di Homs”.

L’8 aprile, il giorno successivo all’omicidio di Frans, lo stesso Erasmus ha citato un altro gesuita, Jan Stuyt, che ha definito Frans “un martire del dialogo interreligioso”. Erasmus ha scritto in maniera splendida dell’impatto che p. Frans ha avuto, sia in vita che con la sua morte: “Rimanendo nel cuore di una Homs sotto assedio, durante il dominio di ribelli che includevano anche islamisti militanti e sotto l’offensiva del governo, ha offerto soccorso a tutte le vittime del conflitto. E una sorta di rimprovero a tutti i belligeranti. Sapeva di rischiare la propria vita rimanendo in un posto dove erano in attività dei ribelli islamisti; ma ha anche offerto una grande testimonianza delle crudeli conseguenze dell’assedio rifiutandosi di andare via quando sarebbe stato facile per lui farlo, tra l’altro senza poter essere biasimato da nessuno. Dalla prospettiva che ci ha offerto, tutte le vittime civili erano degne di compassione così come tutti i combattenti di entrambi i fronti erano da biasimare. Si tratta di una verità per la quale vale la pena morire, e che va leggermente oltre il dialogo religioso”. Ho avuto la grande benedizione di condividere lo stesso edificio con p. Kolvenbach, durante i miei due ultimi anni a Beirut. Ma con Frans ho condiviso molto di più. Il mio rapporto con lui è iniziato durante il mio cammino verso l’ingresso nella Compagnia di Gesù. E quando sono entrato, lui era il delegato del provinciale. Ma come è stato possibile per uno straniero – un olandese – conquistare i cuori di tutti i siriani, cristiani o musulmani, pro-regime o oppositori? Qualche membro della sua comunità, quando ha potuto lasciare la Città vecchia di Homs, ha detto di lui: “Non saremmo sopravvissuti senza abuna [padre] Frans”. Vi chiederete, come è possibile? Perché Frans conosceva le chiavi per essere un buon missionario. Dopo aver riflettuto sulla mia esperienza con Frans, ho individuato tre caratteristiche centrali che lo hanno aiutato a emergere sia come missionario che come ministro del Vangelo.

La prima è la generosità: Frans si dava in maniera gratuita a chiunque incontrasse, ed era come un padre per tutti noi: gesuiti e laici. Donava al punto che ho sentito qualche gesuita mugugnare sul fatto che non si curava abbastanza di se stesso. Quando era in ritiro, passava tutta la notte ad ascoltare le confessioni, dando consigli spirituali o semplicemente ascoltando. Nonostante questo, si alzava presto al mattino per la sua meditazione zen. La seconda è l’amore. Molti gesuiti sono famosi per le omelie che pronunciano nelle chiese locali, e Frans non faceva eccezione. Ma c’era qualcosa di speciale nel modo in cui lui lo faceva: dato che si era immerso nella cultura e nel linguaggio, e conosceva i fatti quotidiani della Siria, parlava con un’autentica voce di Amore. Avvicinava i giovani alla preghiera parlando proprio di Amore. Ma quello che ci attraeva tutti era la sua vita: una vita di amore. Questo Amore lo ha invitato a trovare la gioia nell’essere siriano… persino più che nell’essere olandese, come diceva lui. Non posso scordare il giorno in cui, volendo spiegargli una battuta che avevo fatto in accento siriano, mi ha interrotto: “Ragazzo, quanti anni hai?”; “Ne ho 23”; “Ecco, ho passato 19 anni più di te in Siria!”.

La terza caratteristica è la semplicità. Chiunque si sia mai unito a Frans nelle escursioni che organizzava spesso – forse la cosa per la quale era più famoso, più che per essere un gesuita – ha visto come questo uomo anziano sopravvivesse con cibo semplice e basilare. Negli stessi momenti in cui Frans era felice di mangiare cose semplici, tutti noi altri sognavamo il momento in cui saremmo tornati a casa per gustare i deliziosi piatti siriani di mamma. Invece di girare in macchina, attraversava le affollate strade di Homs con la sua bici, proprio come molti cittadini locali (e forse persino in maniera migliore).

Pochi giorni prima della sua morte, Frans ha pubblicato queste righe sulla pagina Facebook che usava per condividere notizie: “I cristiani della vecchia Homs si chiedono l’un l’altro: ‘Cosa possiamo fare? Non possiamo fare nulla!’. Ma Dio si prenderà cura di noi: siamo paralizzati, ma crediamo che Dio sia con noi in particolare durante queste dure circostanze. Dio non ci abbandonerà mai, ci conosce, conosce le nostre sofferenze: non ha mai voluto alcun male. Tutto quello che ha è uno sguardo compassionevole nei confronti di chi ama”. “La nostra fede – scriveva ancora – ci aiuta molto a superare questa situazione critica, e ci dà speranza e pazienza. Ma diventa sempre più difficile, e le nostre abilità diventano sempre più scarse. La carestia minaccia le nostre vite, ci mancano gli elementi base per sopravvivere: cibo e generi di prima necessità. Ma in qualche modo sopravviviamo, e continuiamo a spingere la vita più in là. Di più, facciamo esperienza della bontà di coloro che hanno bisogno. A volte, davanti alla porta si trovano delle lenticchie e del bulgur [focaccia di grano duro], e questo è ciò che si può mangiare dopo due anni. Quando siamo poveri e in difficoltà, allora riscopriamo la bontà degli esseri umani, quando riceviamo dai nostri fratelli e sorelle”. In questi giorni – concludeva – “vediamo che il male cerca di infiltrarsi fra di noi. Ma non può fare finta di non vedere la bontà, e abbiamo bisogno di combattere per tenere accesa questa fiamma nei nostri cuori. Stiamo aspettando i risultati dei negoziati, siamo ottimisti che si potrà trovare una soluzione per noi, ma il tempo ci ha insegnato a non credere alle voci… ci stiamo preparando per la Pasqua, riflettiamo sulla morte in croce che si trasforma nella resurrezione. Ci sentiamo come se vivessimo in una valle di ombre, ma possiamo vedere una luce in lontananza che ci guida verso la vita… Speriamo che la Siria possa presto risorgere… Andiamo avanti”. Mi manchi, Frans. La scorsa notte ho cercato follemente in archivio una nostra foto insieme, e questo mi ha costretto a riguardare tutte le foto che ho scattato negli ultimi cinque anni nei vari eventi tenuti dai gesuiti. Eri sempre lì, con il tuo sorriso e il tuo sostegno. Ti ho rivisto mentre loro pronunciavano i voti definitivi, alla loro ordinazione, alle conferenze e ai compleanni. Ho rivisto le foto dei miei primi voti: tu eri lì, nelle sedie indietro, con la tua maglietta rossa. Non hai mai perso l’opportunità, una generazione dopo l’altra, di ispirare i gesuiti siriani a continuare il loro viaggio. Ho capito che tu rimarrai sempre con noi, esattamente come hai sempre fatto. Posso sentirti, ora nel mezzo del mio corso, che mi dici: “Vai avanti, Tony, e continua il lavoro della Chiesa in Siria”. Ci proverò Frans. Ma anche se sono giovane, ho solo una piccola parte della tua energia. di Tony Homsy 

*Tony Homsy è un gesuita siriano della Provincia mediorientale. Ha 28 anni ed è il webmaster del sito della Provincia. Dopo la laurea in bio-chimica presso l’università di Aleppo è entrato nella Compagnia, passando due anni al Cairo (in Egitto); dopo ha studiato filosofia e civilizzazione araba a Beirut, in Libano. Al momento studia presso la Creighton University di Omaha, dove segue i corsi di Giornalismo digitale e Computer Science.

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