L’8 maggio 2009, Benedetto XVI partiva per la Terra Santa: Giordania, Israele e Territori palestinesi. E’ stato il terzo papa a recarsi in Terra Santa, dopo Paolo VI (1964) e Giovanni Paolo II (2000). Per lui sarà la quarta volta: c’è già stato nel 1964, nel 1992 e nel 1994, quando, tra l’altro, fece un importante discorso sulle relazioni tra Israele, la Chiesa e il Vaticano. Il viaggio è stato grandemente desiderato. Infatti, cade in un momento particolarmente delicato della realtà del Medio Oriente:“Il Papa entrava in una cristalliera molto delicata, dove le strumentalizzazioni sono sempre in agguato”
dichiarava da parte sua in un’intervista padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terrasanta. E “tutti si preparano ad accaparrarsi la parte migliore della torta che questa visita rappresenta…”, commentava da parte sua il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Foual Twal. Politicamente, da una parte c’era l’accresciuta tensione dovuta alla creazione del governo di Benjamin Netanyahu. Fortemente condizionato dai partiti della destra più dura, ha praticamente bloccato i colloqui indiretti che in quel momento erano in corso con la Siria: ha ampliato le divisioni con i palestinesi – anche con i “moderati” di Fatah -, deluso le aspettative dei tanti arabi che speravano si potesse finalmente parlare davvero della pace, lasciato, alla fine, spazio ai seguaci delle farneticazioni estremiste dell’iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Certo non sono questi i motivi della visita del Papa, che andava a compiere un pellegrinaggio di fede nei luoghi dove Gesù era nato. Ma sarebbe irreale non riconoscere le attese anche politiche che egli portava con sé: “Con la mia visita mi propongo di confermare e di incoraggiare i cristiani di Terra Santa, che devono affrontare quotidianamente non poche difficoltà”. “Inoltre – ha aggiunto – mi farò pellegrino di pace, nel nome dell’unico Dio che è Padre di tutti. Testimonierò l’impegno della Chiesa Cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione, per giungere ad una pace stabile e duratura nella giustizia e nel rispetto reciproco. Infine, il viaggio non potrà non avere una notevole importanza ecumenica e inter-religiosa”.Proprio i cristiani sono stati centrali nella preoccupazione di Benedetto XVI. Continuano a diminuire in tutto il Medio Oriente, anche in Libano, ove fino a qualche decennio fa erano maggioranza. Pochi, ferreamente controllati – in Siria – violentemente attaccati – in Iraq – marginalizzati ovunque. Profughi cristiani dall’Iraq dovrebbero essere alla messa che Benedetto XVI ha celebrato, ad Amman. Verso i cattolici, poi, in Israele ci sono “ignoranza”
e “intolleranza”. A dirlo, era stato il rabbino Ron Kronish, co-direttore del Consiglio di coordinamento interreligioso di Israele. Il governo -ha stanziato più di 10 milioni di dollari per la visita – annuncia un’apposita emissione filatelica. Inoltre, ha creato, un apposito sito web, nel quale si affermava che “Il pellegrinaggio di Sua Santità Papa Benedetto XVI in Terra Santa è un pellegrinaggio di pace e riconciliazione”. Sui giornali israeliani, in quei giorni cominciò ad apparire qualche articolo in più sul cristianesimo. Haaretz, dedicò un articolo, non ostile, alla piccola comunità del Vicariato cattolico “che parla ebreo”, nella quale c’è anche “qualche sopravvissuto all’Olocausto” e che si raccoglie nella piccola chiesa di Santi Simeone e Anna, a Gerusalemme. Il programma del Papa- molto fitto-, del viaggio prevedeva i Luoghi Santi, da quello del battesimo sulla riva giordana del fiume, a Nazaret, a Betlemme e, a Gerusalemme, il Santo Sepolcro e il Cenacolo, ma anche alle sedi delle altre confessioni cristiane. Benedetto XVI si è recato in spirito ecumenico, al Muro del Pianto – dove, come già aveva fatto Giovanni Paolo II-, ha lasciato una preghiera.Quanto ai musulmani, Benedetto XVI si è recato alla moschea Al-Hussein Bin-Talal di Amman e alla Moschea della roccia di Gerusalemme. Di entrambi i luoghi incontrò i responsabili musulmani. Si tratta di due realtà diverse del mondo islamico, più dialogica la prima, più rigida la seconda. La Giordania, in particolare, è la patria del principe Ghazi bin Muhammad bin Talal, consigliere del re e promotore della Lettera intitolata “Una parola comune tra noi e voi” e detta dei 138, dal numero dei “saggi” musulmani che l’hanno firmata all’inizio. Da collocare tra gli effetti della lezione papale a Regensburg, essa resta un momento importante nella ricerca del dialogo tra cristiani e musulmani. Nella settimana di viaggio (da venerdì 8 a venerdì 15 maggio) Benedetto XVI pronunciò 28 discorsi. Il viaggio di pace e riconciliazione, alla vigilia, fù funestato da minacce più o meno velate da parte di gruppi estremisti musulmani, i quali non gradivano la visita, così come dai pesanti dileggi della radio dei coloni israeliani, che definivano il Papa un «ex nazista». Le preoccupazioni maggiori, erano per i tentativi di strumentalizzare la presenza del Pontefice. Va ricordato che le comunità cattoliche della Terra Santa, ridotte ormai al lumicino, erano favorevoli allo svolgimento del viaggio in questo momento. Avrebbero preferito rimandarlo di qualche mese, temendo che, dopo le polemiche sul caso Williamson, il Papa rischiassero di apparire troppo sbilanciate al recupero del rapporto con il mondo ebraico. Benedetto XVI ricalcando le orme dei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II (i primi due Papi a tornare in queste terre dai tempi di san Pietro, nel 1964 e nel 2000), è stato in grado di parlare a tutti senza farsi strumentalizzare da nessuno. A termine del viaggio in Terra Santa, tutte le polemiche sono state messe a tacere. Il Successore di Pietro, ha confermato nella fede i cristiani, ha spalancato porte di dialogo con tutti, e con il suo proverbiale sorriso donava speranza per il futuro. di Giovanni Profeta
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