Riforma della scuola: solo l’insegnante che dura nel tempo consente l’empatia emotiva

Se ci sarà la riforma, a scuola entreranno i vincitori dei concorsi. Vinci, entri e, questa volta, rimani. Tu avrai la cattedra e le famiglie avranno un insegnante per il loro figlio. È una cosa bella, importante, che impari subito, già al primo figlio. Non c’è rumore di quartiere che tenga, non c’è passaparola materno che tenga: la sezione buona è quella dove ci sono i professori di ruolo.

L’insegnante bravissima che c’era l’anno passato, se è precaria, quest’anno non la ritroverai. Impari subito che una buona insegnante non basta. Ci vuole una buona insegnante in graduatoria definitiva. Con la cattedra. Con il posto fisso insomma. Perché il lavoro dell’insegnante è un lavoro a sei mani, a tre vite: insegnante, alunno, famiglia. E anche se non è un’amicizia e non è un matrimonio, è una relazione, un patto. Anzi, è una relazione importante: entri a scuola a 3 anni e ne esci a 18 compiuti. Un patto importante, un patto educativo per il quale, come per tutte le relazioni umane, la fedeltà è fondamentale.

La continuità di un’insegnante è elemento principale, è parte integrante dell’efficacia del suo lavoro. E, visto che “il lavoro” è mio figlio, il “prodotto finito” è la formazione di mio figlio, le famiglie ci tengono. I ragazzi, i bambini hanno bisogno di buoni insegnanti che finiscano il ciclo di insegnamento. Se ho bisogno di luce, ho bisogno di una lampadina fissa al muro e non di scintillanti meteore. Mi si perdoni il paragone terra terra ma è proprio di terra che stiamo parlando. Insegnare è come seminare su una terra vergine e ricca. Ci vogliono il seminatore, il seme buono, la cura del campo ma anche il tempo, le stagioni che si susseguono. Tutte e quattro le stagioni. Un seminatore sa che ha bisogno di quattro stagioni per avere frutti.

Gli insegnanti devono essere, come tutti, capaci e preparati. Ma devono essere anche presenti nel tempo. È una costanza particolarmente richiesta dalla dignità di quel lavoro e dalle persone che quel lavoro nutre. Con un’insegnante devi avere il tempo di relazionarti, di conoscerti, di apprezzarti, di scontrarti magari, per poi capirti. Ma ci vuole il tempo. Se una famiglia sa, se un ragazzo sa, che quell’insegnante è una precaria, una supplente, è giocoforza che se ne terrà a distanza emotivamente ed è un guaio perché sono le emozioni a muovere gli astucci e i libri. È inutile credere il contrario: investi sul presente, custodisci il tuo passato solo se stai costruendo il futuro. Credi in una relazione solo se sai che, domani, l’altro ci sarà. Vale per l’amore e vale per la scuola. Perché, è così diverso insegnare da amare?

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffington Post

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