Riformare l’Islam

Per spiegare le difficoltà incontrate dai paesi arabo-islamici, Fazlur Rahman afferma:

«lo svantaggio della società musulmana attuale è che mentre nei primi secoli di sviluppo delle istituzioni sociali nell’Islam quest’ultimo partiva da zero, per così dire, e doveva creare una struttura sociale ab initio, (un’attività che produsse il sistema sociale medievale), oggi, che i musulmani devono affrontare una situazione di ripensamento e di ricostruzione radicale, il loro problema più urgente è proprio quello di stabilire fino a che punto si debba ripartire da zero, e da quali principi e metodi, per creare un nuovo insieme d’istituzioni».[1]

    Un esame attento del contenuto del Corano e della Sunna rivela due livelli o fasi del messaggio dell’Islam, corrispondenti uno al periodo meccano e l’altro al successivo periodo medinese. In base al pensiero di Mahmoud Mohamed Taha il messaggio del periodo meccano era il messaggio eterno e fondamentale dell’Islam, poiché valorizzava la dignità innata di ogni essere umano, senza distinzione di genere, fede religiosa e razza. Questo messaggio era caratterizzato dall’uguaglianza fra uomini e donne e dalla completa libertà di scelta in materia di religione e fede. Sia la sostanza del messaggio dell’Islam, sia il modo in cui si diffuse nel periodo meccano, si fondava sull’ismah, la libertà di scegliere senza alcuna forma o ombra di costrizione o coercizione.

     Quando quel livello superiore del messaggio meccano fu rifiutato, in modo violento e irrazionale, venne diffuso e attuato il messaggio del periodo medinese. In questo modo, alcuni aspetti del messaggio del periodo meccano, inadatti a essere messi in pratica nel contesto storico del settimo secolo, furono sospesi e sostituiti dai principi più pratici. Tuttavia, Taha riteneva che, gli aspetti sospesi del messaggio meccano non avessero perduto per sempre il ruolo di fonte del diritto, ma fossero stati rinviati al futuro per essere attuati in circostanze più appropriate. Altrimenti, gli aspetti superiori ed eterni dell’Islam sarebbero andati perduti irrimediabilmente.

     Il cambiamento sarebbe avvenuto come risposta alle necessità dell’epoca. Nei primi tredici anni della sua missione, dal 610 al 622 d.C., il profeta ricevette dal Corano la disposizione di diffondere l’Islam dentro e fuori la Mecca, con mezzi esclusivamente pacifici, in conformità ai valori fondamentali della giustizia, dell’uguaglianza e della dignità innata di tutti gli esseri umani.

Il Corano, (16, 125), riporta:«Chiama al sentiero del tuo Signore con la saggezza e la buona parola e discuti con loro nella maniera migliore. In verità il tuo Signore conosce meglio di ogni altro chi si allontana dal Suo sentiero e conosce meglio di ogni altro coloro che sono ben guidati». Con un successivo passo, (18, 29): «Dì: la verità proviene dal vostro Signore: creda chi vuole e chi vuole neghi…». Inoltre, rivolgendosi a tutta l’umanità esplicita (17, 70): «In verità abbiamo onorato i figli di Adamo, li abbiamo condotti sulla terra e sul mare e abbiamo concesso loro cibo eccellente e li abbiamo fatti primeggiare su molte delle nostre creature».

     Come risposta a tale messaggio, gli arabi della Mecca e i loro alleati perseguitarono il profeta e i suoi seguaci e cospirarono per ucciderlo. Di conseguenza, nel 622 d.C., il profeta e i suoi compagni furono costretti a lasciare le loro case ed emigrarono a Medina, dove crearono una comunità indipendente. Il contenuto del messaggio mutò, per essere indirizzato più specificatamente ai musulmani come comunità di credenti autorizzati dal Corano all’uso della forza, in primo luogo per autodifesa, poi per rivendicare le ingiustizie subite e ampliare il dominio dello Stato musulmano. In tale contesto, inizia la distinzione tra uomini e donne e fra musulmani e non musulmani, in materia di diritti e di status giuridico.

    La conseguenza più importante, degli argomenti addotti da Taha, riguarda la considerazione che la Sharia sia stata edificata sul Corano e sulla Sunna del periodo medinese e non sul Corano del periodo meccano. I giuristi fondatori ottennero questo risultato con l’uso del naskh, sostenendo che, i passi del Corano e della Sunna, del periodo medinese, avevano revocato e abrogato tutti i passi incompatibili del precedente periodo meccano. Il carattere permanente di tale processo di abrogazione fu criticato da Taha poiché comporterebbe l’inutilità delle precedenti rivelazioni e priverebbe i musulmani della parte migliore della loro religione.

     Il compianto Mahmoud Mohamed Taha e oggi Abdullahi an-Naim e molti musulmani riformisti propongono di utilizzare il processo del naskh invertendolo, al fine di tradurre in diritto vigente i testi abrogati in passato, con la conseguente abrogazione dei testi recepiti dalla Sharia. Tale proposta consiste nell’utilizzo di testi del Corano e della Sunna, pertanto il corpo di leggi risultante è altrettanto islamico, ossia la Sharia moderna.

Abdullahi an-Naim sostiene, in maniera inequivocabile che:

«Se la base del diritto islamico moderno non si allontana dai testi del Corano e della Sunna risalenti al periodo di Medina, che costituirono il fondamento della costruzione della Sharia, non c’è modo di evitare drastiche e gravi violazioni dei diritti umani. Finché si rimane legati al quadro della Sharia, non c’è modo di abolire la schiavitù come istituzione giuridica né di eliminare in tute le loro forme e sfumature le discriminazioni contro le donne e i non musulmani».[2]

       Se non s’introduce un nuovo principio interpretativo che consenta ai musulmani moderni di modificare o cambiare questi aspetti del diritto pubblico della Sharia, restano solo due possibilità: continuare a ignorare la Sharia nella sfera pubblica, come accade oggi nella maggior parte degli Stati musulmani; imporre i principi della Sharia, ignorando le critiche mosse dal punto di vista del diritto costituzionale, internazionale e dei diritti umani.

      La prima ipotesi è criticabile in linea di principio, perché viola il dovere religioso dei musulmani di osservare i precetti dell’Islam in ogni aspetto della loro vita, sia pubblica sia privata. Inoltre, alla luce della rinascita islamica, questa possibilità difficilmente rimarrà praticabile ancora per molto tempo. La seconda scelta, invece, può essere certamente considerata moralmente ripugnante e politicamente insostenibile. E’ moralmente ripugnante assoggettare le donne e i non musulmani alle offese e alle umiliazioni della Sharia, così com’è applicata oggi. Tali aspetti potevano avere una giustificazione all’interno del contesto storico in cui sono stati originati, ma oggi appaiono lesivi della dignità umana e anacronistici. di Severis

[1] Rahman F., Islam, University of Chicago Press, Chicago 1979, pag. 214.

[2] Bahlul R., Prospettive islamiche del costituzionalismo, in Costa P. Zolo D., (a cura di), Lo Stato di diritto, Feltrinelli, Milano 2006, pag. 632.

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