A più di due anni dall’inizio del pontificato, che cosa insegna, secondo lei, l’approccio di Papa Francesco?
«Papa Francesco mi sembra ci aiuti sulla via della scoperta sempre più profonda del cuore concreto, divino e umano, di Cristo, sul quale lo Spirito scende con la delicatezza, la grazia, di una colomba. Papa Francesco non è solo simpatico in senso superficiale, non è un “tenerone”, ma ci aiuta a scoprire un Dio che ci ama teneramente, concretamente, senza limiti, comprende i nostri cammini ben al di là degli schemi, è attento alle nostre vite personalissime, alla nostra umanità tutta intera (non solo spiritualistica), ai nostri bisogni reali, spirituali e umani, non solo spiritualistici. Gesù non era così? Vicino, attento, libero, anche scandalizzante nel suo amore non schematico ma autentico. Quello stesso Gesù che dice che nemmeno un solo iota della legge verrà (come riferimento) meno, perché l’amore autentico, che dà la vita fino in fondo, può esistere, quel Gesù proprio per questo vive una vicinanza, una comprensione, che talora scandalizzano».
Come si mette in pratica tutto questo?
«Discernimento concreto, ascolto attento, accompagnamento, dialogo, concreto, contemplazione non solo di Dio ma anche del popolo concreto, della persona, delle situazioni concrete: stare non solo avanti ma anche in mezzo e dietro al popolo. Cioè disponibili, attenti, a cercare di comprendere ad esempio dove in mille modi, anche con le sue umane perplessità, è avanti, è più umano. Tutte parole e vita di papa Francesco. Dunque non indottrinare ma cercare insieme, non agire pragmaticamente, vivendo anche il bene all’ingrosso, senza un’attenzione più profonda, più vicina, alle persone, ma cercare di comprendere spiritualmente e umanamente (insomma, tutto l’uomo). Bisogna lasciarsi ferire dalla realtà».
Che cosa si propone il suo manifesto nel quale si parla della riscoperta del «cuore di Cristo»?
«Di fornire un possibile contributo a scoprire sempre più che il cuore concreto, non solo spiritualistico ma divino e umano, di Cristo è la chiave di ogni cosa. Non siamo noi a pensarlo con la nostra testa ma è lui che si dona sempre più profondamente, anche nella storia, se cerchiamo di accoglierlo, di appoggiarci a lui, alle fonti della sua grazia, se ci lasciamo portare da lui, secondo la gradualità del cammino di ciascuno. Maria forse ha pronunciato poche parole densissime quando ha detto “Il mio cuore immacolato trionferà”: il cuore concreto, non solo spiritualistico, di Cristo scioglie i nodi, per usare una immagine cara a papa Francesco. Non è uno scervellarsi a tavolino ma un venire portati gradualmente in un discernimento semplice, sereno e profondo che fa vedere ogni cosa, ogni cosa, in modo sempre rinnovato».
Per evangelizzare bisogna saper manifestare vicinanza?
«Leggendo i vangeli vediamo che i discepoli di Cristo sperimentavano le stesse fragilità, contraddizioni, dei “farisei”, però erano dei piccoli che si lasciavano portare. Il cristiano non è un energumeno tutto perfetto ma una creatura che cerca di lasciarsi condurre dal Padre nei modi nei quali (anche implicitamente come nel caso di un ateo, ad es.) bussa alla sua porta. Prima di tutto è una creatura che può godere dell’amore senza limiti né condizioni di Dio, senza mai temere di non essere compresa, amata, aiutata in tutto e, se veramente è il caso, perdonata. Il nome Gesù vuol dire Dio salva, è salvezza, è salute. È lui che mi salva, basta che lascio uno spiraglio anche minimo aperto al suo perdono, come leggiamo anche nell’enciclica di Benedetto XVI “Spe Salvi” (n. 46). Cristo non è un premio per i perfetti ma un aiuto totalmente amorevole per ogni persona. Questo amore consola, sostiene, rasserena, illumina, guarisce: solo l’amore fa questo. Papa Francesco ha detto che la testimonianza non è qualcosa di artefatto ma è amore, concreto e, se proprio serve, anche parola, insomma, partecipazione vissuta, discreta…».
C’è il rischio di cadere, a volte, nell’astrattezza e nell’intellettualismo? La sua iniziativa si propone di superare questo?
«Persino la scienza avverte ormai la riduttività di una inesistente ragione astratta, che non ce la fa a stare dietro alla realtà concreta. La Trinità sono due persone vive, non due computer, e non persone a caso ma concrete, un Padre e un Figlio, che comunicano con e attraverso un’altra persona viva, concreta, che è lo Spirito. Persone, vita, non astrattezze: la realtà è superiore all’idea, osserva papa Francesco. Forse il termine idea verrà addirittura non di rado sostituito da espressioni più personali, vitali, come Parola, seme… Non ci accorgiamo di riflettere più profondamente maturando? La stessa logica è dunque un mistero d’amore non arido calcolo solitario».
Può fare un esempio di quanto ha appena detto?
«Viene da me un ragazzo del liceo e mi dice che non può più credere, la scienza, l’evoluzionismo… io gli chiedo: ma nella tua serena coscienza (nel tuo cuore integrale, spirituale e psicofisico) qual è la prima risposta che senti alla domanda: ci credo in Dio? Se ha ricevuto il dono della fede risponde di sì ed eccolo rimesso talora con semplicità sulla via di un equilibrato discernere. Infatti per quella graduale via di affidarsi, di seguire la serena luce del cuore troverà tendenzialmente sempre più risposte profonde che lo conducono verso riflessioni sempre nuove e non a tavolino, che fanno penetrare sempre più nella vita reale e anche in una cultura sempre fresca, nuova, viva».
Nella sua esperienza di sacerdote, come è possibile vivere questo approccio nella vita della parrocchia?
«Quante volte vediamo nei vangeli che Cristo cerca insieme alla persona concreta. Non dà risposte, soluzioni prefabbricate al suo cammino reale, alla sua umanità tutta intera, ai suoi bisogni concreti. Quest’amore autentico, sereno, senza schemi, guarisce tutte le ferite, anche psicologiche. Ho visto tante persone ritrovare gradualmente anche se stesse nella serenità, nella fiducia anche in se stesse, sentendosi liberate da tante ferite, oppressioni, paure, che la nostra storia personale ci può provocare. Non indottrinare poi vuol dire, come osservavo sopra, cercare di ascoltare attentamente persone, situazioni, i loro bisogni reali. Certo che è bello annunciare il regno di Dio ma forse posso avvedermi, per esempio, che talora invitare persone affannate dalla vita stressante di oggi a una catechesi serale non è la cosa adatta, invece magari tante persone, tanti genitori, nonni, etc., restano liberamente, dopo la messa delle comunioni della domenica alle 10, all’oratorio dei figli, in serena amicizia tra di loro, con gli educatori, col sacerdote. E lì si chiacchiera amichevolmente, giocano con i figli e gli amici, se lo desiderano parlano della loro vita, di un problema, si confessano, magari gradualmente scoprono in modo libero e nuovo la possibilità di avvicinarsi a un cammino comunitario di crescita. Ognuno dunque secondo il proprio autentico cammino, senza programmi prefabbricati ma nell’amore autentico. Oppure in questo continuo riscoprire con più fiducia e attenzione, nelle cose essenziali anche come uomo, il Cristo dei vangeli: per esempio tornare talora al suo esprimersi in parabole. Invece di una predica astratta alla messa delle comunioni i bambini recitano una scenetta semplice che fa riferimento in vario modo alla loro vita concreta e poi diventa molto più facile dialogare con loro sul vangelo, anche nell’allegria del loro scherzare. E loro animano la messa: suonano, cantano, fanno i chierichetti, l’offertorio, le preghiere dei fedeli insieme ai loro genitori. Lasciate che i bambini vengano a me, ma anche: state buoni se potete! Non solo Cristo ma anche i santi come Filippo Neri e Giovanni Bosco parlavano e vivevano di questo amore del cuore da cercare e vivere insieme, non delle regolette. Ho scoperto che anche i bambini etichettati altrove come irrequieti si rasserenano, trovano nuova fiducia anche in se stessi. E ciò anche a quella cosa così prima talora lontana come la messa. Ora Dio è un papà che ti aiuta e ti affratella, con semplicità, spesso nell’allegria. La scoperta continua è che appoggiandosi al cuore concreto di Cristo si vive tutto, anche le difficoltà, spiritualmente e umanamente, in modo gradualmente sempre più semplice, sereno, leggero. In modo sempre nuovo».
Di Andrea Tornielli per Vatican Insider (La Stampa)
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