Ristorazione e agricoltura nelle terre del boss: è la cucina antimafia di Nco

Nella Terra dei fuochi la Nuova cucina organizzata è un progetto di resistenza a ogni forma di illegalità. Che parte dai frutti della terra e dal lavoro di persone disabili o in situazione di disagio sui terreni confiscati alla mafia..

Il riscatto, a volte, può venire anche da una pizza margherita fatta bene. Se il suo pomodoro è stato prodotto in un terreno confiscato alla mafia e se a prepararla ci ha pensato una persona con disagio psichico che, attraverso la cucina, ha trovato il suo modo di inserirsi nella società. È per questo che a Casal di Principe (Caserta), terra famosa come il regno di Gomorra, è nata la Nuova cucina organizzata. Un progetto di resistenza a ogni forma di illegalità, che già nel nome ha il sapore della sfida, con quell’acronimo Nco, di solito usato per indicare la Nuova camorra organizzata. Ma qui di mafia non ne vogliono più sentir parlare. “Non siamo a Gomorra – ripetono –. Bensì nelle terre sognate da don Peppe Diana”, freddato in sacrestia da cinque colpi di pistola il 19 marzo 1994. La provocazione, infatti, è proprio questa: trasformare quella che nell’immaginario collettivo è la culla della criminalità, non solo per lo strapotere della camorra ma anche per la concentrazione di rifiuti tossici che le hanno valso l’appellativo di “Terra dei fuochi”, in un luogo di riscatto sociale per la comunità che vi abita, e in particolare per le persone svantaggiate.

Come raccontato nel supplemento di luglio Expo Milano 2015 di SuperAbile Inail, il magazine per la disabilità edito da Inail, sono circa 60 le persone inserite nel progetto: la maggior parte ha un disagio psichico, altri hanno la sindrome di Down o sono tossicodipendenti. Nco ha preso il via nel 2012 da cinque cooperative sociali, che si occupano di disagio, dipendenza e malattia mentale, riunite nel Nuovo consorzio organizzato. “La nostra mission è l’inserimento lavorativo delle persone con problemi – spiega Giuliano Ciano, presidente del consorzio –. In particolare, ci occupiamo di ristorazione e agricoltura sociale nei luoghi simbolo della camorra. La nostra idea è quella di riutilizzare i beni confiscati alle mafie e simbolo del malaffare per restituirli alla cittadinanza, che può venirci a mangiare, a comprare i prodotti o anche intervenire nei diversi eventi culturali che proponiamo”. Il ripristino della legalità passa attraverso un diverso approccio con la natura e il territorio, e ha un’impronta altamente inclusiva. Il progetto di agricoltura sociale è portato avanti con le persone disabili e sorge all’interno dell’ex manicomio civile di Aversa. Qui si coltivano i pomodori, le melanzane e gli altri prodotti della terra venduti al pubblico anche grazie all’iniziativa natalizia “Facciamo un pacco alla camorra”, che promuove pacchi dono con la produzione di Libera terra e all’interno dei beni confiscati.

È il caso di Vincenzo, 46 anni, anche lui con una patologia schizofrenicomaniacale. Entrambi i genitori non sono più in grado di occuparsi di lui, perché la madre soffre di Alzheimer e il padre ha un invecchiamento precoce. “In casa non può stare – aggiunge Pagano –, così in passato ha avuto diversi ricoveri. Oggi vive nel gruppo di convivenza avviato dalla cooperativa e lavora nel ristorante di Casal di Principe. Il suo percorso di autonomia è monitorato dagli assistenti sociali della Asl, ma gestito da noi. Se non ci fosse questa opportunità, sarebbe in una clinica”. In una struttura per anziani, invece, viveva Romualdo, 57 anni, prima di entrare a far parte della Nco. Ci era finito dopo la morte della madre, un dolore che l’aveva fatto cadere nell’alcolismo e che aveva acuito i suoi problemi psichici. Ma la sua età, non compatibile con la struttura che lo ospitava, ha costretto la Asl a trovargli un altro posto dove stare. E così è cominciata la sua avventura all’interno del progetto, di cui oggi è una colonna portante: istruisce e monitora i nuovi arrivati. “Nel nostro ristorante gli abbiamo dato il ruolo di capofamiglia, perché il suo è stato un percorso riabilitativo davvero importante – continua Pagano –. A San Cipriano gli hanno conferito addirittura la cittadinanza onoraria, che lo indica come professore di vita perché ha dimostrato che si può uscire dalle difficoltà. E ora è un esempio per la comunità”. Quello della Nuova cucina organizzata è un progetto riuscito di inclusione e riscatto, che riesce a stare sul mercato, nonostante la crisi. Tanti sono i clienti abituali che vanno a mangiare nei ristoranti del consorzio, dove i prodotti sono rigorosamente locali: dalle mozzarelle di bufala alla pasta di Gragnano. E c’è chi non rinuncia a comprare i prodotti della terra coltivati nella fattoria sociale. “Questo luogo è tristemente famoso come Terra dei fuochi e abbiamo dovuto lottare per vincere la paura delle persone sull’inquinamento ambientale – afferma Ciano –. Ma i nostri terreni sono tutti scrupolosamente controllati, così come quello che produciamo”.Una parte del raccolto è utilizzata poi nei tre ristoranti della Nuova cucina organizzata

: l’agriturismo Fuori di Zucca di Aversa, il locale di San Cipriano e la pizzeria Nco di Casal di Principe. Quest’ultimo situato oggi nella villa che fu del boss Mario Caterina. All’interno lavorano tre persone con disagio psichico e un ragazzo con sindrome di Down, Paolo, di 26 anni. A lui è affidato il compito di direttore di sala, mentre Marianna, 27 anni, lavora in cucina. Per lei, che ha una patologia schizofrenicomaniacale e una famiglia alle spalle molto problematica, poter entrare a far parte di questo progetto è stata una vera rinascita. Qui ha trovato non solo un modo per realizzarsi, ma anche un supporto specialistico da parte degli operatori della cooperativa e del personale medico che assiste il progetto. “Sperimentiamo un modello di integrazione sociosanitaria che va sotto il nome di “Budget di salute mentale”: il metodo prevede il lavoro congiunto tra Asl e organizzazioni sociali – spiega Peppe Pagano, della cooperativa Agropoli, responsabile della Nuova cucina organizzata –. In pratica, anziché tenere le persone nelle strutture sanitarie, si prevedono per loro dei percorsi di autonomia. Alcuni dei nostri lavoratori vivono nei gruppi di convivenza e poi vengono impiegati nelle attività del consorzio”.

Tuttavia, di battaglie i promotori di Nco ne hanno dovute affrontare molte. Innanzitutto quella contro lo stigma sociale. “Nessuno inizialmente voleva i malati vicino casa, perché nell’opinione pubblica il malato di mente è un serial killer, una persona pericolosa – aggiunge Pagano –. Ma il contatto quotidiano ha fatto conoscere chi sono davvero e oggi, quando uno di loro entra in un bar, fanno a gara per offrirgli un caffè”. L’altra lotta, ancora più dura, contro la criminalità organizzata. “Abbiamo ricevuto tante intimidazioni – spiegano –: tubi dell’acqua tagliati, spari contro il ristorantepizzeria, minacce. Ma non ci arrendiamo. Vogliamo che il sogno di don Diana, di una terra libera dalla camorra, diventi realtà”.

Redazione Papaboys (Fonte www.redattoresociale.it/Eleonora Camilli)

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