Rivoluzione romena: 25 anni fa l’appello di Giovanni Paolo II

Il 1989 segna i 25 anni dalla caduta dei regimi totalitari dei Paesi del Patto di Varsavia. Fu quello ‘L’Autunno delle nazioni”, da Varsavia a Berlino, con la caduta del Muro il 9 novembre. Rivoluzioni che si svolsero perlopiù in modo pacifico, tranne in un caso, quello della Romania, dove le proteste terminarono con l’esecuzione del capo di Stato. Francesca Sabatinelli per la Radio Vaticana:

Il Mercoledì 20 dicembre del 1989, 25 anni fa, durante l’udienza a pochi giorni dal Santo Natale, Giovanni Paolo II lanciava un doloroso appello: era rivolto alla Romania, Paese che in quei giorni veniva insanguinato dalla violenza di un regime agonizzante, prossimo a cadere:

“Con profondo dolore abbiamo tutti appreso la notizia di morti e di feriti in alcune città della Romania. Mentre lamento e condanno ogni violenza perpetrata contro inermi cittadini, elevo la mia supplice preghiera al Signore: voglia egli accogliere nella sua pace le anime di queste vittime che hanno perduto la vita quando il mondo cristiano si accinge a celebrare il Natale di colui che invochiamo Principe della pace. Esprimo, poi, parole di conforto per i feriti e per tutte quelle famiglie che sono in angoscia per questo tragico avvenimento e voglio augurare a tutti i cittadini della diletta nazione Romena un’armoniosa convivenza tra le sue componenti etniche, che favorisca la pacifica fruizione dei diritti umani, civili e religiosi di tutto il popolo e garantisca le sue fondamentali libertà Dio benedica la Romania!”.

La Romania fu l’unico Paese del blocco orientale a vivere in modo violento la rivoluzione contro il regime. I morti sulle strade di Timisoara e di Bucarest furono in totale 1104. Le proteste iniziarono il 16 dicembre, il 25 il dittatore Nicolae Ceausescu e la moglie Elena furono processati e immediatamente fucilati. Le immagini dell’esecuzione fecero subito il giro del mondo. Sin dall’inizio partecipò alle manifestazioni padre Guglielmo Danca, allora parroco a Bucarest, oggi decano della Facoltà di Teologia nella capitale romena:
R. – Mi ricordo che, di notte, tutte le luci erano accese sulle strade principali, cosa che non avveniva ormai da molto tempo. C’era una atmosfera imbevuta di paura, di sfiducia nei confronti degli altri, fin quando non abbiamo sentito i rumori dei fucili, dei carriarmati. La gente si è radunata sulle strade principali e ha cominciato a protestare. Da parte delle autorità c’era una certa paura nei confronti del popolo, cercavano con tutti i mezzi di far sì che la gente ritornasse nelle proprie case, ma le persone risposero a queste misure in modo contrario: si radunavano sempre di più, protestando e gridando contro il regime. Questo avveniva nel centro della capitale, nel cuore di Bucarest. Nei giorni del 22 e del 23 dicembre, Ceausescu cercò di rassicurare la gente, che era già radunata di fronte alla sede del Comitato centrale del partito comunista, dicendo che avrebbe cambiato le condizioni di vita. Quella mattina, e lo ricordo molto bene, perché ero anche io lì, si erano radunate migliaia e migliaia di persone. Avevo tra le mani un abete di Natale che avevo promesso di portare ad un sacerdote anziano della città. Mentre ero in cammino per andare da lui, una folla si radunò dietro di me, io ero con il cappellano e il vice-parroco, eravamo in tre, sembrava fossimo i capi di un gruppo di protesta, ma era una situazione accidentale. Siamo arrivati davanti alla sede del Partito comunista, abbiamo sentito le ultime promesse di Ceausescu, lo abbiamo visto a 100 metri, di fronte a noi, subito dopo lui è sparito, è salito sul tetto del palazzo, ha preso l’elicottero ed è andato via. Siamo rimasti lì per tutta la giornata a gridare: “Giù il regime comunista! Giù il dittatore Ceausescu!”. Era una atmosfera mescolata di attesa, di speranza, però non era una speranza forte, non avevamo il coraggio di sperare, avevamo molta paura.

D. – Lei l’ha vissuta questa sensazione di paura, di terrore?
R. – Eccome no! Nei mesi precedenti io notavo sempre sulle strade di Bucarest, le strade principali del centro della città, numerosi giovani poliziotti. Se ne vedevano tanti dall’inizio di novembre, fine ottobre-inizio di novembre. Quell’immagine di tanti poliziotti nel centro della città, a me faceva paura e confesso anche adesso che non credevo che sarebbe stato possibile cambiare qualcosa in quelle circostanze.

D. – Nella memoria di chiunque abbia, anche da lontano, vissuto gli avvenimenti nella Romania del 1989, c’è l’immagine indelebile dei coniugi Ceausescu processati e immediatamente uccisi…
R. – E’ vero! Però devo dire che la gente, nonostante le atrocità commesse nei confronti del suo popolo, non ho condiviso il modo in cui Ceausescu ha finito la sua vita. Ricordo quando sono state pubblicate e trasmesse le prime immagini con la loro fucilazione, molti dicevano: “Non siamo stati noi a fare questo: non condividiamo questa misura radicale nei suoi confronti. Doveva pagare, certo! Ma non in quel modo, no!”.

D. – Il 20 di dicembre Giovanni Paolo II, durante un’udienza usò delle parole drammatiche: parlò della Romania e del Natale di sangue nel Paese. Quelle parole quanto arrivarono a voi?
R. – Io ho sentito quelle parole molto più tardi. In quel periodo non avevamo alcun collegamento con il mondo libero. Potevo ascoltare la Radio Vaticana di nascosto, ma soltanto in alcuni momenti, quando si poteva. Quei giorni erano così convulsi che proprio non pensavo ad ascoltare i mezzi di comunicazione. Ero sempre presente lì in strada, con la gente della mia parrocchia. Però le parole del Santo Padre, più tardi, hanno avuto una eco molto, molto forte e hanno confermato che la Chiesa, e non soltanto la Chiesa cattolica, ma anche quelle ortodosse, protestanti, hanno avuto un ruolo importante nella resistenza al regime comunista dittatoriale. La Chiesa è riuscita a sostenere una forma di resistenza spirituale, in cui il regime non è stato capace di entrare e di controllare quindi quello che succedeva nelle anime delle persone.

A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana

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