Con uno show internazionale a piazza Santa Maria in Trastevere, si è aperto ieri sera a Roma il Giubileo dello spettacolo viaggiante e popolare. Il pellegrinaggio coinvolge, tra gli altri, circensi, fieranti, burattinai, bande musicali, giocolieri e madonnari. Questa mattina l’udienza con Papa Francesco in Aula Paolo VI, poi il passaggio della Porta Santa e nel pomeriggio ancora esibizioni in Piazza San Pietro. Sul significato di questo particolare giubileo sentiamo il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti che organizza l’evento.
R. – Si tratta di persone che non hanno dimora fissa, sono itineranti e hanno bisogno di sentire che la Chiesa li accompagna, che si prende cura di loro. Nell’ambito poi del Giubileo della Misericordia non poteva mancare l’appuntamento con questo mondo, abituato a trasmettere gioia e speranza, a trasmettere amore. Non dimentichiamo che molti di loro aprono gratuitamente le porte ai più bisognosi, per regalare attimi di spensieratezza: e questa è la vera misericordia. Quindi sono protagonisti in questo Anno speciale della Misericordia. Per loro, quindi, l’incontro con il Santo Padre sarà fonte di gioia e servirà per sentirsi un cuor solo e un’anima sola con la Chiesa.
D. – Quali sono le problematiche pastorali più attuali che riguardano i lavoratori e gli artisti dello spettacolo viaggiante?
R. – Anzitutto il loro stile di vita. Sono persone che continuamente si spostano e questi spostamenti generano provvisorietà; hanno difficoltà per la scolarizzazione e per la continuità dell’iniziazione cristiana dei ragazzi; spesso nascono difficoltà di integrazione con la popolazione residente, perché non sempre vengono bene accolti e non sempre i residenti li vogliono vicini. La Chiesa è vicina alla famiglia dello spettacolo viaggiante per sostenerla e incoraggiarla nel suo cammino: la Chiesa è in movimento con loro. Già molto viene fatto per sollecitare l’integrazione e per offrire percorsi di formazione alla vita cristiana, continuativi nonostante la vita itinerante che loro sono costretti a fare.
D. – Cardinal Vegliò, quali sono le difficoltà maggiori che queste persone incontrano nella loro attività professionale?
R. – Sarebbero felicissimi se ogni giorno che vanno in scena con il loro spettacolo, l’arena fosse piena e invece la crisi economica ha causato un forte calo di spettatori; i costi per l’affitto di piazze e attrezzature sono aumentati; spesso hanno difficoltà a trovare piazze disponibili ad accoglierli e qui a Roma ciò avviene spesso quando arrivano questi circhi; tante volte vengono emarginati e non sono accolti dalla comunità che li ospita, perché spesso poi si scontrano con la diffidenza di chi non li conosce e si basa solo sui pregiudizi. In fondo sono persone che vanno e che vengono e la gente stabile di un quartiere non li vede di buon occhio e dice: “Ma, questi cosa vengono a fare? Sì, fanno lo spettacolo, ma poi creano insicurezza, creano qualche volta episodi di delinquenza…”.
D. – Come questi artisti, questi lavoratori, possono essere testimoni di speranza per la società?
R. – Nello stesso spettacolo si trasmettono messaggi di accoglienza e di solidarietà. In fondo è uno spettacolo che coinvolge tutti e non dimentichiamo un punto di cui si parla sempre più frequentemente che è quello della pedagogia del circo: il valore cioè delle sue espressioni e delle sue tecniche, che sono un valido strumento metodologico. Infatti, l’arte circense è presente ormai in varie strutture fisse: presso cliniche, presso ospedali, presso scuole e centri sociali. Ricordo che Papa Benedetto, nella famosa udienza concessa ai circensi nel 2012, l’invitata a testimoniare i valori che fanno parte delle loro tradizioni, come l’amore per la famiglia, per i piccoli, per gli ammalati, il rispetto per gli anziani e per l’importanza della comunità e del vivere in comunione. Questo può essere di esempio alla nostra società, che troppo spesso è molto individualista. E’ importante poi la testimonianza di convivenza che esiste al loro interno, fra persone di generazioni, culture e religioni differenti. Perché se lei va in un circo, vede che questi artisti provengono da molte nazioni ed è bello vederli lavorare insieme, dando un bell’esempio dello stare insieme, della convivenza, dell’integrazione.
D. – Infine, quale ruolo possono svolgere gli artisti dello spettacolo viaggiante nella nuova evangelizzazione?
R. – Sotto i tendoni, nell’ambito delle feste, si può comunicare la verità della fede, la bellezza della vita vissuta in comunione con Dio. Non sempre avviene, questo lo capisco… Però si può e alle volte avviene. La loro arte, l’arte di questi circensi, è un canale privilegiato per trasmettere il messaggio di amore che Gesù è venuto a portarci: l’essere accoglienti e generosi con il pubblico è imitazione dell’accoglienza e della misericordia del Padre. Loro devono essere sempre attenti, contenti di fare felice il pubblico, come il Signore che è sempre contento di darci il perdono nella sua misericordia. E poi un ruolo che hanno è quello di trasmettere allegria e divertimento, ci aiutano a esprimere la gioia che deve essere propria di ogni cristiano.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)
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