Russia e Turchia hanno annunciato oggi il raggiungimento di un accordo per il cessate il fuoco in tutta la Siria. Stando a quanto riportano i media locali, Mosca e Ankara hanno concordato la tregua con il governo di Damasco e con i gruppi di ribelli. Se l’accordo reggerà, le parti potranno partecipare ai negoziati politici ad Astana, in Kazakhstan.
L’accordo è il frutto di un lungo processo diplomatico. Ieri i ministri degli esteri russo e turco, Serghiei Lavrov e Mevlüt Çavuşoğlu, avevano discusso la preparazione dell’incontro tra l’opposizione siriana e il governo e i termini del cessate il fuoco in Siria. I capi della diplomazia avevano sottolineato la necessità di concordare al più presto «parametri pratici per porre fine alle azioni di combattimento, separare l’opposizione moderata dai gruppi terroristici» e preparare l’incontro ad Astana «su invito della leadership del Kazakhstan per il lancio della soluzione politica» come recita un comunicato.
Secondo l’agenzia Interfax, Lavrov ha anche reso noto che sarebbero già in corso degli incontri tra i rappresentanti di alcuni gruppi della cosiddetta “opposizione moderata” ed esponenti del governo del presidente Assad. Il capo della diplomazia russa non ha però precisato dove si starebbero svolgendo attualmente questi «incontri preparatori». Lavrov ha poi lanciato gravi accuse alla coalizione a guida statunitense che, a suo dire, avrebbe autorizzato l’invio di lanciamissili mobili ai ribelli siriani, con il rischio di «provocare ulteriori escalation della crisi e nuove vittime». Washington ha immediatamente smentito queste affermazioni.
Gravi accuse contro la coalizione a guida statunitense sono state formulate ieri anche dal presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan. Questi ha affermato di avere le prove che la coalizione avrebbe «fornito sostegno a gruppi terroristici in Siria». Secondo Erdoğan, che ha parlato in una conferenza stampa ad Ankara, avrebbero ricevuto supporto le milizie curde Ypg (considerate terroriste dalla Turchia), che sono la forza principale tra le cosiddette Forze democratiche siriane (Sdf, a predominanza curda), e i curdi siriani del Partito democratico curdo (Pyd), che Ankara considera legato al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Il vice portavoce del dipartimento di stato statunitense ha prontamente smentito anche questa accusa, definendola «ridicola» e priva di ogni fondamento.
Le violenze, intanto, continuano a segnare il suolo siriano. Ventidue persone, appartenenti a due famiglie, sono state uccise questa mattina in alcuni raid compiuti su un’area nel nord-est della Siria controllata dal cosiddetto stato islamico (Is). Secondo fonti locali, i bombardamenti sono avvenuti sul villaggio di Al Hajna, nella provincia di Deyr Ezzor. Tra i morti ci sono anche molte donne e bambini.
La situazione è molto tesa anche in Iraq, dove continua l’avanzata delle forze governative per fermare i jihadisti dell’Is. Oggi l’ultimo dei cinque ponti ancora funzionante sul fiume Tigri a Mosul è stato distrutto da un raid aereo, secondo quanto riferiscono residenti dei villaggi intorno alla città. Non è chiaro se il raid sia stato compiuto da caccia iracheni, americani, o di altri paesi della coalizione a guida statunitense. Attivisti all’interno di Mosul hanno diffuso fotografie della struttura in metallo, conosciuta come il Ponte Vecchio, interrotta e con alcune parti sprofondate nelle acque del fiume, mentre imbarcazioni trasportano i residenti da una riva all’altra.
L’esercito iracheno è riuscito finora a riconquistare solo alcuni quartieri della periferia orientale di Mosul, ma si trova ancora lontano dal fiume. Il centro della città è situato sulla riva occidentale.
Fonte: L’Osservatore Romano, edizione 28-29 Dicembre 2016
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