Per antichissima tradizione questa è «la notte di veglia in onore del Signore» (Es 12,42), giustamente definita «la veglia madre di tutte le veglie» (s. Agostino). In questa notte il Signore «è passato» per salvare e liberare il suo popolo oppresso dalla schiavitù; in questa notte Cristo «è passato» alla vita vincendo la grande nemica dell’uomo, la morte; questa notte è celebrazione-memoriale del nostro «passaggio» in Dio attraverso il battesimo, la confermazione e l’eucaristia. Vegliare è un atteggiamento permanente della Chiesa che, pur consapevole della presenza viva dei suo Signore, ne attende la venuta definitiva, quando la Pasqua si compirà nelle nozze eterne con lo Sposo e nel convito della vita (cf Ap 19,7-9). La liturgia non è coreografia, né vuoto ricordo, ma presenza viva, nei segni, dell’evento cardine della salvezza: la morte-risurrezione del Signore, perciò rivivremo la Pasqua del Signore. Si può dire che per la Chiesa che celebra è sempre Pasqua, ma la ricorrenza annuale ha un’intensità ineguagliabile perché, in ragione della solennità, «ci rappresenta quasi visivamente il ricordo dell’evento» (s. Agostino). La successione dei simboli di cui è intessuta la Veglia esprime bene il senso della risurrezione di Cristo per la vita dell’uomo e del mondo.
Liturgia della luce-: il mondo della tenebra è attraversato dalla Luce, il Cristo risorto, in cui Dio ha realizzato in modo definitivo il suo progetto di salvezza. In lui, primogenito di coloro che risorgono dai morti (Col 1,18), si illumina il destino dell’uomo e la sua identità di «immagine e somiglianza di Dio» (Gn 1,26-27); il cammino della storia si apre alla speranza di nuovi cieli e nuove terre dischiusa da questa irruzione del divino nell’umano. I catecumeni e battezzati, che la tradizione cristiana ha definito «illuminati»: per la loro adesione vitale a Cristo-Luce, sanno che la loro esistenza è radicalmente cambiata. Dio li «ha chiamati dalle tenebre alla sua luce ammirabile» (1 Pt 2,9) e davanti a loro ha dischiuso un orizzonte di vita e di libertà. Ecco perché si innalza il «canto nuovo» (il preconio, il gloria, l’alleluia) come ricordo delle meraviglie operate dal Signore nella nostra storia di «salvati», e come rendimento di grazie per una vita di luce.
Liturgia della Parola-: le 7 letture dell’Antico Testamento sono un compendio della storia della salvezza. Già la quaresima (cf la prima lettura di ogni domenica nei tre cicli) aveva sottolineato che il battesimo è inserimento in questa grande «storia» attuata da Dio fin dalla creazione. Nella consapevolezza che la Pasqua di Cristo tutto adempie e ricapitola, la Chiesa medita ciò che Dio ha operato nella storia. Quella serie di eventi e di promesse vanno riletti come realtà che sempre si attuano nell’ «oggi» della celebrazione; sono dono e mèta da perseguire continuamente.
Liturgia Battesimale: il popolo chiamato da Dio a libertà, deve passare attraverso un’acqua che distrugge e rigenera. Come Israele nel Mar Rosso, anche Gesù è passato attraverso il mare della morte e ne è uscito vittorioso. Nelle acque del battesimo è inghiottito il mondo del peccato e riemerge la creazione nuova. L’acqua, fecondata dallo Spirito, genera il popolo dei figli di Dio: un popolo di santi, un popolo profetico, sacerdotale e regale. Con i nuovi battezzati, tutta la Chiesa fa memoria dei suo passaggio pasquale, e rinnova nelle «promesse battesimali» la propria fedeltà al dono ricevuto e agli impegni assunti in un continuo processo di rinnovamento, di conversione e di rinascita (cf. Rm 6, 3.11 e colletta).
Liturgia Eucaristica: è il vertice di tutto il cammino quaresimale e della celebrazione vigiliare. Il popolo rigenerato nel battesimo per la potenza dello Spirito, è ammesso al convito pasquale che corona la nuova condizione di libertà e riconciliazione. Partecipando al corpo e al sangue del Signore, la Chiesa offre se stessa in sacrificio spirituale per essere sempre più inserita nella pasqua di Cristo. Egli rimane per sempre con i suoi nei segni del suo donami perché essi imparino a passare ogni giorno da morte a vita nella carità (cf oraz. dopo la com.).
Una luce che mai si spegne-. Dentro la struttura e i simboli della celebrazione è possibile leggere il paradigma dell’esistenza cristiana nata dalla Pasqua. Luce, Parola, Acqua, Convito sono le realtà costitutive e i punti di riferimento essenziali della vita nuova: uscito dal mondo tenebroso del peccato, il cristiano è chiamato ad essere portatore di luce (cf Ef 5,8; Col 1,12.13); a perseverare nell’ascolto di Cristo morto e risorto, Parola definitiva della storia; a vivere sotto la guida dello Spirito la vocazione battesimale; ad annunciare e a testimoniare nel dono di sé quel mistero di cui l’Eucaristia celebra il memoriale.
Il digiuno e l’astinenza, insieme alla preghiera, all’elemosina e alle altre opere di carità, appartengono da sempre alla dimensione penitenziale della Chiesa come modalità concreta e pratica per tornare a Dio con tutto il cuore, motivo per cui viene richiesto un autentico atteggiamento interiore di conversione, di fede e di amore per non fermarsi ad una pratica solo esteriore (cfr Mt 6, 1-18). Già dal II secolo abbiamo testimonianze di un digiuno che precedeva il giorno cui si celebrava la festa annuale di Pasqua per prepararsi interiormente alla grande solennità della Risurrezione. Si tratta quindi di una mortificazione o di un’astensione mai fine a se stessa, ma per partecipare fisicamente alla morte gloriosa di Cristo ribadendo la sua priorità su tutte le altre realtà della nostra vita, anche le più essenziali: sempre infatti il digiuno è unito ad un maggior ascolto della Parola di Dio, alla preghiera, all’amore generoso verso i bisognosi («Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola, e ricevono vita l’una dall’altra. Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia» San Pietro Crisologo, Discorso 43).
Gradualmente il digiuno dei due giorni che precedevano la Pasqua fu esteso ed ampliato fino a costituire, nel IV secolo, i quaranta giorni del tempo della Quaresima (dal Mercoledì delle Ceneri fino al Sabato Santo, escludendo le domeniche che non sono mai state considerate giorno penitenziale, sono esattamente quaranta giorni di impegno concreto per la conversione). Oggi, il digiuno – inteso come unico pasto durante la giornata, oppure come limitazione nella quantità e nella qualità nei due pasti quotidiani – viene richiesto dalla Chiesa il Mercoledì delle Ceneri ed il Venerdì Santo, anche se viene consigliato di prolungarlo, secondo l’opportunità, fino alla celebrazione della Veglia Pasquale (cfr Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario, 20). A tale digiuno sono tenuti i maggiorenni fino al compimento del sessantesimo anno di età, salvo necessità dovute alla propria salute.
L’astinenza invece, ossia il privarsi della carne come pure dei cibi particolarmente ricercati e costosi, viene richiesta nei venerdì di Quaresima e in tutti gli altri venerdì dell’anno, a meno che non coincidano con una solennità (come è successo quest’anno, il 19 marzo per san Giuseppe, quando pur essendo venerdì di Quaresima non eravamo tenuti all’astinenza). A questa privazione sono tenuti tutti coloro che hanno compiuto i quattordici anni di età – per maggiori informazioni si può consultare la nota pastorale della CEI “Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza” del 4 ottobre 1994. Il Sabato Santo non c’è astinenza anche se siamo invitati, secondo le proprie possibilità, a prolungare il digiuno del Venerdì Santo fino alla Veglia Pasquale (la cena del sabato quindi non può essere considerata ancora “di festa”).
Di Ornella Felici