Storico incontro, sabato prossimo, tra Cina e Taiwan. I rispettivi presidenti si vedranno a Singapore. Si tratta del primo faccia a faccia tra i leader dei due Paesi dalla fine della guerra civile nel 1949. Massimiliano Menichetti:
Un processo di riavvicinamento in corso da otto anni, ma che sabato diventerà storico. Dopo 66 anni infatti i due presidenti di Taiwan e Cina si troveranno faccia. Ma Ying-jeou e il cinese Xi Jinping si incontreranno aSingapore per avere uno scambio di vedute sul consolidamento della pace nel tratto di mare che separa Taiwan dalla Cina continentale. Secondo fonti ufficiali, non verranno firmati accordi, né diramati comunicati congiunti. Nel 1949, i nazionalisti del Guomindang, capeggiati da Chiang Kai-shek, sconfitti nella guerra civile dai comunisti guidati da Mao, si rifugiarono sull’isola che dal 1996 ha un sistema politico democratico. Pechino continua a ritenere Taiwan parte integrante del suo territorio e in passato ha più volte minacciato azioni di forza. Dal 2008, però, il presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou,prosegue sulla via del miglioramento delle relazioni con la Cina, come dimostrano i 23 accordi commerciali, economici e finanziari siglati con Pechino. Rimane comunque la paura dell’ombra economica proiettata dal gigante asiatico e critiche sono venute al presidente dall’opposizione per l’accelerazione dei contatti definiti “non trasparenti”, anche in considerazione del fatto che il capo di Stato lascerà l’incarico l’anno prossimo, al termine del suo secondo e non rinnovabile mandato.
Per un’analisi dell’incontro abbiamo raggiunto telefonicamente a PechinoGiovanni Andornino, docente di Relazioni internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Torino e vicepresidente di “Tway”, Istituto non-profit per la ricerca e studio in materia di politica globale e sicurezza:
R. – E’ senz’altro un colpo di scena. Indubbiamente, si tratta di un tentativo estremo da parte della leadership taiwanese di mitigare quella che si prospetta come una sconfitta elettorale di proporzioni molto significative. Le elezioni a Taiwan si tengono il prossimo 16 gennaio e credo che questo incontro vada inquadrato fermamente all’interno del dibattito politico interno. Deve in qualche modo sparigliare, perché il rischio è che il partito attualmente al governo a Taiwan perda bruscamente sia le presidenziali, sia le elezioni parlamentari che si svolgeranno lo stesso giorno.
D. – A Taiwan sono scesi in piazza studenti e sostenitori dell’opposizione di fatto al presidente…
R. – Tra qui e sabato, c’è la possibilità che la protesta si faccia più vivace. Il rischio, dal punto di vista dei partiti di opposizione, candidati a vincere le elezioni, è che un eccesso di contestazione di questo incontro possa dare il destro all’attuale amministrazione per dire: attenzione, se scegliete il partito all’opposizione, scegliete un partito che rischia di compromettere le relazioni anche economiche, quindi in definitiva la crescita. E quindi, naturalmente, il gioco sarà tra chi riuscirà a convincere l’elettorato di essere un partito in grado di interpretare non solo una posizione di fermezza nei confronti della Cina, ma anche non disperdere il valore economico della relazione con Pechino.
D. – Il presidente Ma ha lavorato alacremente ad accordi commerciali, economici, finanziari con Pechino, tentando di alleggerire quella che è la pressione della Cina sull’isola, anche se rimane forte l’ombra economica del gigante asiatico…
R. – La sua presidenza ha visto quasi un raddoppio nelle relazioni commerciali. Teniamo conto che se inquadriamo una dinamica di crescita delle relazioni commerciali tra Taiwan e la Cina continentale nel contesto storico in cui siamo – in cui invece il mondo ha sofferto di un’anemia in termini di crescita economica molto forte – secondo me è abbastanza evidente che la Cina continentale abbia avuto un effetto di trascinamento positivo sull’isola. Credo che uno dei temi, uno degli aspetti che verranno rimarcati da ambo le parti, quando terranno separatamente le conferenze stampa conclusive, sarà esattamente questo. E’ chiaro che questo avvicinamento economico mostra anche l’aspettativa da parte di Pechino di una vicinanza maggiore anche in ambito politico e questo incontro indubbiamente, in questo senso, rappresenta un passaggio. E questo a Taiwan è registrato anche in senso fortemente critico.
D. – Pechino nel tempo ha continuato a ritenere Taiwan comunque come parte integrante del proprio territorio. E’ possibile pensare che un incontro di questo tipo invece vada nella direzione opposta, cioè di dare a Taiwan un’indipendenza piena?
R. – No, l’attuale assetto, molto ambivalente ma molto efficace, prevede che entrambe le parti, Cina e Taiwan, considerino la Cina unica e unita, ma ciascuna in qualche misura rivendichi se stessa come espressione di questa Cina unica. L’unico scenario in cui riesco a immaginare che il Kuomintang, cioè il partito al potere del presidente Ma, possa avere un vantaggio diretto sulle elezioni di gennaio, a partire dall’incontro di sabato, è se Xi JinPing si spingesse a indicare che Pechino tollererà una maggiore presenza di emissari diplomatici taiwanesi nel mondo, in varie istituzioni internazionali. Tradizionalmente, invece, Pechino evita accuratamente che Taiwan abbia una sua autonoma rappresentanza. Agli occhi di Pechino, Taiwan è e resta una provincia ribelle, pertanto non è investita di sovranità e pertanto non deve poter avere una rappresentanza nelle istituzioni che hanno la statualità come criterio di partecipazione.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)