Ma torniamo a Roma. “I am jew”, sono ebreo, ricordiamo di aver sentito ripetere da un ragazzo, dai grandi occhi quasi increduli, che quel 5 giugno applaudiva con noi gli americani a via del Corso, dove vedemmo sfilare un reparto di bersaglieri italiani, entrati fra i primi dalla via Flaminia. Le avanguardie americane erano arrivate la sera precedente a Piazza Venezia, verso le 18,30, senza trovare resistenza da parte dei tedeschi in fuga: a Piazza del Popolo i “GI’s” avevano scambiato un tram fermo al capolinea per un carro armato, riducendolo, per fortuna senza vittime, a un mucchio di ferraglie. Si dovranno piangere numerosi morti, e fra essi i due gruppi di prigionieri fucilati alle porte della capitale; si ricorderà, pochi giorni dopo, Giacomo Matteotti, ucciso esattamente il 10 giugno di vent’anni prima; si rammenteranno altri martiri, don Giuseppe Morosini, Salvo D’Acquisto; i 335 barbaramente assassinati alle Fosse Ardeatine: altrettante offese alla coscienza civile e, nello stesso tempo, testimonianze nei valori della libertà e della dignità umana.
Quell’inizio di giugno (il 6 avrà inizio lo sbarco in Normandia, nel “giorno più lungo” rimasto nella storia) è stato l’alba di tempi nuovi? È indubbio che la liberazione di Roma avvenne sul crinale di mutazioni importanti. Nell’estate del 1944 persino i generali tedeschi organizzeranno il fallito attentato a Hitler che costerà cinquemila esecuzioni e l’ordine, per fortuna non sempre eseguito, “uccidete i figli del 20 luglio”. E quello stesso inverno si infrangerà l’ultimo “colpo di coda” del III Reich, la controffensiva delle Ardenne, il cui fallimento permise agli anglo americani di dilagare in Germania.
Il 4 giugno di settant’anni fa costituisce, comunque, un tornante nella storia degli italiani. Aveva avuto ragione il giornale clandestino dei giovani democristiani della capitale, “La Punta”, a uscire quel giorno, finalmente libero, con un editoriale dal titolo “Al sole”. di Angelo Paoluzi
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