Ogni anno ritorna Natale. Periodo densamente spirituale, momento di sosta che la frenesia consumistica non è riuscita del tutto a inquinare. Come se l’eco di un messaggio che viene da lontano catturasse ancora le nostre anime. Ma il suo codice appare segretato ai cuori di noi, uomini d’oggi, che ne abbiamo smarrito la chiave.
Strade piene di luci, di suoni. Alberi di Natale nelle vetrine, per le strade, nelle piazze. Alberi di Natale sempre più grandi, sempre più belli. Alberi di Natale piccoli e grandi forse ormai in ogni casa. Sempre più spesso in sostituzione del presepe o accanto al presepe. Si direbbe che l’Albero di Natale stia conquistando il mondo. Ma qual è la storia dell’Albero di Natale?
Riga, la capitale della Lettonia, da sempre rivendica con orgoglio di aver ospitato il primo Albero di Natale della storia. Proprio a Riga, infatti, in piazza del Municipio di fronte alla Casa delle Teste Nere, c’è uno stemma in terracotta deposto sul punto in cui sarebbe stato innalzato il primo Albero di Natale nel 1510, che si ritiene fosse stato ornato da decorazioni di carta e poi bruciato in segno di buon augurio per l’arrivo dell’inverno. In Estonia la pensano diversamente. Gli estoni affermano infatti che il primo Albero di Natale fu creato a Tallin, nel 1441.
Certo è che l’Albero di Natale nella sua patria d’origine, che corrisponde alle regioni germaniche, è indissolubilmente collegato ad un antico canto popolare, riproposto nella forma attuale all’inizio dell’Ottocento. È un canto rivolto non a un albero-oggetto, ma a un albero-essere-vivente, che col suo verde perenne trasmette fiducia nella continuità della vita stessa.
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È il Tannenbaum, l’abete natalizio.
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I bambini amano l’Albero di Natale anche perché sanno che è portatore di doni. In effetti i doni si appendevano un tempo ai suoi rami assieme a frutta, focacce, biscotti.
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Poi i doni sono finiti sotto l’albero, perché la società dei consumi li ha via via moltiplicati e ingigantiti, derubandoli del significato intimo e personale che aveva il piccolo dono.
Per avere le prime testimonianze scritte circa la diffusione e l’affermazione dell’Albero di Natale come lo conosciamo oggi occorre arrivare al XV secolo. Secondo quanto si legge nel volume “Il canto degli alberi” (Àncora editrice) di Anna Maria Finotti la prima testimonianza scritta risale al 1419, quando la Confraternita dei fornai di Friburgo pose in occasione del Natale, nell’ospedale della città, un albero «adorno di mele, pere, noci colorate, cialde, piccole focacce, biscotti, carta colorata e fronzoli vari». A Capodanno l’albero veniva scosso per far cadere le focacce e la frutta come segno beneaugurante per l’anno nuovo.
Nel 1604 a Strasburgo si ha testimonianza che «nelle osterie venivano sistemati degli abeti a cui venivano appese delle rose di carta di vari colori assieme a mele, focacce, zucchero e oggetti in similoro». L’albero così adorno venne chiamato l’Albero di Natale o l’Albero di Cristo o anche l’albero di Maggio, in quanto anticipava la speranza nella fioritura di un nuovo raccolto.
La leggenda attribuisce a Lutero, il fondatore del protestantesimo, la diffusione dell’Albero di Natale ornato di candele. Si dice che egli, tornando verso Wittenberg in una notte di vigilia, fosse rimasto colpito dallo splendore dei ghiaccioli appesi agli abeti, che splendevano alla luce delle stelle. Per cui ebbe l’idea di porre delle candele sull’albero per illuminarlo. L’Albero di Natale divenne così anche l’Albero delle Luci e venne considerato segno del protestantesimo, definito anche «la religione del Tannenbaum», ossia dell’abete. Tali alberi con le candele si diffusero tra il XVII e il XVIII secolo e venivano allestiti nelle strade. Ma vennero presto vietati per il grande pericolo di incendio che rappresentavano.
Nel XIX secolo, dopo la scoperta della stearina e della paraffina, l’Albero delle Luci si diffuse nelle corti europee e negli ambienti alto-borghesi dell’epoca, e l’usanza si radicò soprattutto in Germania e nei paesi scandinavi. In Italia venne introdotta al Quirinale dalla regina Margherita, ma la sua diffusione possiamo farla risalire agli anni della ripresa economica dopo la seconda guerra mondiale. Anche perché più forte era da noi la tradizione del presepe di origine francescana.
La seconda patria dell’abete natalizio dopo la Germania viene considerata l’Inghilterra, dove esso venne introdotto a corte prima dai sovrani della casa di Hannover e poi specialmente da Alberto di Sassonia-Coburgo, principe consorte della regina Vittoria. La tradizione dell’abete decorato e illuminato passò poi nelle famiglie inglesi per imitazione delle feste natalizie di corte. La sua terza patria divennero gli Stati Uniti, dove fu importato dagli immigrati tedeschi della Pennsylvania come simbolo della loro terra, e in seguito dai mercenari tedeschi, che parteciparono alla guerra di indipendenza del 1776-1783.
Le candele elettriche resero in seguito possibile la collocazione di alberi di Natale sempre più grandi anche all’aperto. Nel 1912 venne eretto il primo Albero delle Luci nella Madison Square a New York. Dagli anni ’20, su esempio americano, si cominciarono a diffondere nelle strade commerciali delle città tedesche e più tardi nei giardini delle famiglie abbienti. Gli scambi culturali e commerciali fecero poi il resto. Sicché l’abete con la sua forma piramidale e spiralica, con le sue foglie aghiformi, sta diventando in tutto il mondo il simbolo laico del periodo natalizio. Oggi il Guinness dei primati mondiali dal 1991 lo detiene, in termini di grandezza, l’Albero delle Luci disegnato sul monte Ingino, che sovrasta Gubbio con la cometa proprio sulla cima.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Aleteia
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