In Gesù Salvatore, Compassione e Salvezza-. Un dato che caratterizza l’operato di Gesù è la sua compassione divina. Essa rivela la sua grande bontà e la tenerezza del suo cuore, dunque l’amore di Dio per l’uomo, e l’efficacia della potenza divina a servizio degli uomini: “…Nella dedizione con la quale Gesù ha voluto liberare dal peso della malattia o dell’infermità coloro che l’accostavano, egli ci lascia intravedere la speciale intenzione della misericordia divina a loro riguardo: Dio non è indifferente alle sofferenze della malattia e dà il suo aiuto ai malati, nel piano salvifico che il Verbo incarnato rivela e attua nel mondo”. Tuttavia il vero scopo di Gesù è quello di salvare l’umanità: “…Della guarigione del corpo non ha fatto uno scopo assoluto: egli desiderava salvare gli uomini dal male. Perciò lo vediamo perdonare i peccati al paralitico prima di guarirlo, e compiere il miracolo per dimostrare la realtà di tale perdono”.
C’è infatti, una “vita superiore” alla quale Gesù vuole condurre l’uomo intero: “…Se Lui dice: “Sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza”, lo dice in questo senso soprattutto: abbondanza della vita soprannaturale, che supera tutta la vita non solamente fisica, biologica, ma anche spirituale naturale dell’uomo. E se Gesù fa i miracoli, se, per esempio, guarisce i lebbrosi, lo fa sempre come segno di questa vita superiore, di questa vita soprannaturale che vuole offrire a tutti noi. Questo lo ha dimostrato con la sua Risurrezione. La Risurrezione di Cristo è la manifestazione ultima, definitiva della vita divina che è destinata a noi tutti, a voi tutti”.Certamente nella riflessione del Pontefice, Gesù è presentato come il Salvatore, che interviene anche sul corpo dell’uomo, luogo nel quale manifesta una salvezza che rimane segno di un valore che la trascende: “…Gesù tuttavia fa comprendere che questi suoi prodigi, questi gesti di misericordia verso i malati devono essere intesi come atti che rimandano al di là della semplice salvezza corporale. Gesù porta agli uomini una salvezza ben più profonda e radicale: egli afferma di essere venuto per “salvare ciò che era perduto” a causa del peccato; per “salvare il mondo e non per condannarlo” (cf. Lc 9, 56; 19, 10; Gv 3, 17; 12, 47)… La salvezza che dona Gesù si manifesta sia sanando e beneficando che perdonando i peccati: “… Lungo la sua esistenza Gesù aveva donato salvezza anche sanando e beneficando tutti (cf. At 10, 38). Ma i miracoli, le guarigioni e le stesse risuscitazioni erano segno di un’altra salvezza, consistente nel perdono dei peccati, ossia nella liberazione dalla malattia più profonda, e nella sua elevazione alla vita stessa di Dio..”. Si aderisce ad essa mediante la fede, puntualmente richiesta da Gesù a coloro che guariva . Essa in un certo modo, realizza la salvezza. Le guarigioni sono occasioni nelle quali Gesù può donare la salute fisica e nello stesso tempo la salvezza dell’anima, instaurando il regno di Dio. Coloro che in nome di Cristo vivono lo stato di sofferenza presente, collaborano con Cristo nel piano della salvezza, diffondendo intorno a se meravigliosi esempi di forza morale. In Cristo l’uomo nuovo è trasformato dal di dentro, dunque possiede una facoltà di interiorizzazione della grazia, che consente di trovare un bene interiore in ciò che di per se è un male: “…Sono una chiamata a diventare un uomo nuovo, a diventare particolarmente simile a Cristo, per ritrovare in questa somiglianza, attraverso la grazia, tutto il bene interiore in ciò che di per se stesso è un male, che fa soffrire, che limita, che forse umilia o mette in disagio. Cristo che dice all’uomo sofferente “vieni e seguimi” è lo stesso Cristo che soffre: Cristo del Getsemani, Cristo flagellato, Cristo incoronato di spine, Cristo sulla via della croce, Cristo in croce… È lo stesso Cristo, che fino in fondo ha bevuto il calice della sofferenza umana “datogli dal Padre” (cf. Gv 18,11). Lo stesso Cristo, che ha assunto tutto il male della condizione umana sulla terra tranne il peccato, per ritrarne il bene salvifico: il bene della redenzione, il bene della purificazione e della riconciliazione con Dio, il bene della grazia!”.
In questo quadro la sofferenza diviene via di salvezza: “…il soffrire può avere anche un significato positivo per l’uomo e per la stessa società, chiamato com’è a divenire una forma di partecipazione alla sofferenza salvifica di Cristo e alla sua gioia di risorto, e pertanto una forza di santificazione e di edificazione della Chiesa”.
In Cristo l’opera della creazione riceve il suo completamento, nella prospettiva della salvezza. I miracoli di guarigione risignificano una nuova creazione, che ristabilisce l’ordine anteriore alla corruzione del peccato. Il piano ontologico si interseca con quello soteriologico: “…I miracoli di Cristo rientrano nel progetto della “nuova creazione” e sono quindi collegati con l’ordine della salvezza. Essi sono dei “segni” salvifici che chiamano alla conversione e alla fede e su questa via, al rinnovamento del mondo sottomesso alla “corruzione” (cf. Rm 8, 19-21). Essi dunque non si arrestano all’ordine ontologico della creazione (“creatio”), che pure toccano e riparano, ma rientrano nell’ordine soteriologico della nuova creazione (“re-creatio totius universi”), del quale sono coefficienti e al quale, come segni rendono testimonianza”. Dopo la Resurrezione di Gesù c’è una nuova stagione delle opere miracolose di guarigione a favore dell’uomo, il potere di Gesù è donato agli apostoli, e attraverso di loro alla Chiesa: “…Dopo la Risurrezione, l’Ascensione e la Pentecoste, i “miracoli-segni” compiuti da Cristo vengono “continuati” dagli apostoli, poi dai santi che si succedono di generazione in generazione. Gli Atti degli Apostoli ci offrono numerose testimonianze sui miracoli compiuti “nel nome di Gesù Cristo” da Pietro (cf. At 3, 1-8; 5,15; 9, 32-41), da Stefano (At 6, 8), da Paolo (At 14, 8-10). La vita dei santi la storia della Chiesa e, in particolare, i processi condotti per le cause di canonizzazione dei servi di Dio, costituiscono una documentazione che, sottoposta al vaglio anche più severo della critica storica e della scienza medica, conferma l’esistenza della “Potenza dall’alto” che opera nell’ordine della natura e la supera. Si tratta di “segni” miracolosi compiuti dai tempi apostolici ad oggi, il cui scopo essenziale è di far vedere il destino e la vocazione dell’uomo al Regno di Dio. Così mediante tali “segni” si conferma nei diversi tempi e nelle circostanze più varie la verità del Vangelo e si dimostra il potere salvifico di Cristo che non cessa di chiamare gli uomini (mediante la Chiesa) sulla via della fede. Questo potere salvifico del Dio-Uomo, si manifesta anche quando i “miracoli-segni” vengono compiuti per intercessione degli uomini, dei santi, dei devoti – così come il primo “segno” a Cana di Galilea venne compiuto per intercessione della Madre di Cristo”.Il ruolo della fede-. Riportiamo un passaggio del Discorso rivolto ai bambini dell’Ospedale pediatrico di Olsztyn nel viaggio apostolico in Polonia del 1991, dove si evince il ruolo fondamentale della fede nel processo di guarigione: “…Sentiamo oggi nel Vangelo il grido dell’uomo cieco: “Rabbunì (cioè: Maestro), che io riabbia la vista” (Mc 10, 51). Così quel malato risponde alla domanda di Cristo: “Che vuoi che io faccia?” (Mc 10, 51). “Che io riabbia la vista”. Anche voi dite in simile modo al Signore Gesù: “che io riabbia la salute”, perché possa tornare a casa, a scuola, a giocare. Nello stesso modo del resto chiedete per i vostri cari: “Dio, dà la salute alla mia mamma e al mio babbo.. e a diverse altre persone care… Ciò vuol dire: la fede in un certo modo ha permesso la manifestazione della potenza che era nel Signore Gesù. Egli adoperava quella sua potenza soprannaturale sempre per destare la fede nell’onnipotenza divina e nell’amore divino. I miracoli di Cristo sono segni del regno di Dio”.
Il miracolo di guarigione è allora realizzato dalla contemporanea presenza del Regno di Dio, che di per se stesso è motivo di guarigione, e della fede del richiedente, che consente la guarigione, tuttavia può anche “salvare” (cfr “la tua fede ti ha salvato” (Mc 10, 52). Il miracolo di guarigione si rivolge a tutto l’uomo, essendo Gesù medico delle anime e dei corpi. Il Pontefice coniuga questo aspetto con il brano del giudizio universale: “La sua compassione per coloro che soffrono lo spinge a identificarsi con loro, come leggiamo nella pagina del giudizio universale: “Ero ammalato e mi avete visitato” (Mt 25, 36). E’ questa condivisione profonda che Egli chiede ai suoi discepoli, quando affida loro il compito di “guarire gli infermi” (cfr Mt 10,8). Il miracolo è dunque una chiamata dell’uomo alla fede: “…Deve portare a credere sia chi viene miracolato, sia i testimoni del miracolo. Il regno di Dio si avvicina, (Mc 1,15) si prega perché venga, (Mt 6,10) la fede lo scorge già operante nei segni, quali i miracoli, (Mt 11,4) gli esorcismi, (Mt 3,13) l’annunzio della «buona novella» ai poveri. (Lc 4,18) Negli incontri di Gesù con i pagani è chiaro che l’accesso al regno avviene mediante la fede e la conversione (Mc 1,15) e non per semplice appartenenza etnica”. Il Papa approfondisce il sub-strato biblico di tale affermazione riportando diversi brani nei quali sembra determinante il contributo della fede. Fra questi, il dialogo fra Gesù e il padre del ragazzo epilettico-indemoniato, fra Gesù e il cieco nato, fra Gesù e Marta, sorella di Lazzaro: “Significativo a questo riguardo è ciò che Gesù dice al padre del ragazzo epilettico, invaso fin dall’infanzia da uno “spirito muto” che imperversava in lui in modo impressionante. Il povero padre supplica Gesù: “Se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci. Gesù gli disse: Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede. Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: Credo, aiutami nella mia incredulità” (Mc 9, 22-23). E Gesù opera la guarigione e la liberazione di quello sventurato. Vuole però dal padre del ragazzo un’apertura dell’anima nella fede. È ciò che gli hanno dato nel corso dei secoli tante creature umili e afflitte, che come il padre dell’epilettico si sono rivolte a lui per chiedere aiuto nelle necessità temporali e soprattutto in quelle spirituali. È quanto Gesù sottolinea anche a conclusione del miracolo della guarigione del cieco nato, quando lo incontra e gli chiede: “Tu credi nel Figlio dell’uomo? Egli rispose: E chi è, Signore, perché io creda in lui? Gli disse Gesù: Tu l’hai visto, colui che parla con te è proprio lui. Ed egli disse: Io credo, Signore! E gli si prostrò innanzi” (Gv 9, 35-38). È l’atto di fede di un uomo umile, immagine di tutti gli umili che cercano Dio (cf. Dt 29, 3; Is 6, 9-10; Ger 5, 21; Ez 12, 2). Egli ottiene la grazia di una vista non solo fisica, ma spirituale, perché riconosce il “Figlio dell’uomo”, a differenza degli autosufficienti che si fidano solo dei loro lumi e rifiutano la luce che viene dall’alto e perciò si autocondannano, davanti a Cristo e a Dio, alla cecità (cf. Gv 9, 39-41). 7. La decisiva importanza della fede appare con evidenza anche maggiore nel dialogo tra Gesù e Marta dinanzi al sepolcro di Lazzaro: “Gesù le disse: tuo fratello risusciterà. Gli rispose Marta: So che risusciterà nell’ultimo giorno. Gesù le disse: Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo? Gli rispose: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo” (Gv 11, 23-27). E Gesù risuscita Lazzaro, come segno della propria potenza divina non solo di risuscitare i morti, perché Signore della vita, ma anche di vincere la morte, lui, che, come ha detto a Marta, è la risurrezione e la vita!”- Questa fede è la via di accesso al passaggio all’uomo nuovo, trasformato dal di dentro, capace di comprendere il valore della sofferenza in se stesso e, come nel caso del buon samaritano, negli altri.
di Giovanni Chifari
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