Nacque in Abruzzo il 25 maggio 1550. Prima di convertirsi e diventare un gigante della carità, visse anni inquieti. Fu soldato di ventura. E dedito al gioco. Poi, la conversione. Fondò l’Ordine dei chierici regolari ministri degli infermi, noti con un nome indissolubilmente legato al suo: i Camilliani. Morì il 14 luglio 1614.
Da una vita randagia e dissoluta alla santità. Dal peccato alla grazia. Dall’egoismo alla carità. Camillo de Lellis, il santo che si festeggia oggi, è un esempio di cosa può Dio quando gli consentiamo di irrompere nelle nostre esistenze: non importa il punto di partenza, spesso intriso di fango. Nato a Bucchianico, nei pressi di Chieti, il 25 maggio 1550, da un ufficiale di nobile famiglia al servizio dell’imperatore Carlo V, e da una madre già avanti nell’età (era sessantenne quando lo diede alla luce) Camillo fu un fanciullo vivace e irrequieto. Imparò a leggere e a scrivere, cosa non di poco conto all’epoca, ma quando, a tredici anni, gli morì la mamma, non disdegnò i tumulti di una vita vagabonda.
Nel 1568 Camillo si arruolò, al seguito del papà, militare di carriera, nell’esercito della repubblica di Venezia in lotta contro i turchi, ma ben presto rimase orfano anche di padre. Frequentando i soldati, ne imparò linguaggio e passatempi, fra i quali il gioco delle carte e dei dadi. Privo di risorse, fu costretto a causa di un’ulcera varicosa al piede, a cercare, come infermiere, delle cure gratuite all’ospedale di San Giacomo degli Incurabili a Roma. Dopo un mese, però, da quel posto fu allontanato a causa della sua passione per il gioco. Fisicamente Camillo era un gigante, alto quasi due metri. Ed chi lo conosceva lo descriveva di buon cuore. Parzialmente guarito, Camillo pensò che gli conveniva proprio fare il militare mercenario e con la seconda Lega fu mandato, al soldo della Spagna, prima in Dalmazia e poi a Tunisi. Fu congedato nel 1574, perse ogni suo avere al gioco. Per vivere, dovette mendicare finché non trovò lavoro come manovale nella costruzione del convento dei Cappuccini di Manfredonia (Foggia).
Alla fine, la conversione. Il 2 febbraio 1575 Camillo decise di abbracciare la vita cappuccina; lui, discendente da famiglia nobile, avrebbe atteso ai più umili uffici della comunità. Ottenne di vestire l’abito, ma dopo qualche mese l’ulcera varicosa si riaprì. Dovette così ritornare a San Giacomo degli Incurabili dove maturò la sua vocazione. Rifiutato per lo stesso motivo, una seconda volta, dai Cappuccini, Camillo decise di consacrarsi come infermiere al servizio dei malati sotto la direziono di S. Filippo Neri (+1595), l’apostolo di Roma.Dal momento che il personale infermieristico era, in genere, reclutato tra gente rozza e incapace, fin dal 1582 egli pensò di riunire in un’associazione dei compagni che, come lui, si fossero dedicati completamente alla cura dei malati. Un primo tentativo fallì per l’incomprensione dei direttori dell’ospedale. Camillo si convinse allora che era necessaria una famiglia religiosa indipendente. Per raggiungere lo scopo era necessario che egli, a trentadue anni, si rimettesse sui banchi della scuola, frequentasse al Collegio Romano i corsi di S. Roberto Bellarmino e di Francesco Suarez, pur continuando a visitare e a curare i malati. Nel 1584 Camillo poté celebrare la sua prima Messa. Fondò l’Ordine dei chierici regolari ministri degli infermi, noti con un nome indissolubilmente legato al suo: Camilliani. Morì il 14 luglio 1614.
Redazione Papaboys
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