Italiae et Ecclesia

San Filippo Neri ci parla anche oggi della vera bellezza della Gioia cristiana

San Filippo Neri è un santo particolare. Se proprio si vuole scegliere un aggettivo, si può dire che la sua fu una santità allegra; nel senso che fu una santità contrassegnata dalla volontà di evidenziare quanto la vita cristiana sia capace di donare vera gioia. Filippo Neri (“Pippo bòno” per gli amici) era brillante, spiritoso, aveva la battuta sempre pronta e pungente (da buon toscano) e tanta bontà, comprensione e disponibilità.

“Ritirati, Signore, ritirati. Trattieni l’onda della tua grazia” diceva quando aveva il cuore gonfio di felicità e di riconoscenza. Nello stesso tempo pregava il Signore di tenergli la mano sul capo “… altrimenti – soleva dire – Filippo, senza il tuo aiuto, ne fa qualcuna delle sue”.

Una santità come segno provvidenziale

La santità di san Filippo è un segno provvidenziale in un tempo in cui il Cattolicesimo doveva rispondere alle tristi atmosfere luterane. Va ricordato, infatti, che la teoria protestante della giustificazione, come semplice attestazione da parte di Dio ma non come reale e sostanziale avvenimento nell’anima umana, comportava nella teologia della Riforma una prospettiva dichiaratamente pessimistica, angosciante e triste. Più semplicemente – secondo il Protestantesimo – Dio non riconosce vera la giustificazione del peccatore, ma finge che sia tale anche se non lo è; invece nel Cattolicesimo la giustificazione è reale e sostanziale.

Ma torniamo a san Filippo Neri. Egli nacque a Firenze nel 1515. Figlio di un notaio, rimase presto orfano di madre; ma, nonostante questo, ebbe un’infanzia serena, facilitata dal suo temperamento allegro. Studiò musica e poesia ed era molto sensibile alla bellezza, soprattutto a quella della natura.

A diciotto anni fu mandato a Cassino, da uno zio mercante per apprendere il mestiere. Nella cittadina laziale fu, però, subito attratto dalla maestosa abbazia e avvertì una forte spinta verso la vita religiosa, ma il Signore non lo voleva monaco.

La cultura come mezzo, non come fine

Decise quindi di trasferirsi a Roma dove seguì diverse lezioni universitarie a La Sapienza. Avvertì, però, che nemmeno lo studio impegnativo riusciva a colmare il suo cuore e arrivò (aveva ventiquattro anni) a disfarsi di tutti i libri che possedeva (li vendette distribuendo il ricavato ai poveri). Decise di conservare solo la Bibbia e la Summa di san Tommaso: ottima scelta!

Per questo gesto (che ripeterà anche in punto di morte bruciando tutti i suoi manoscritti) non si deve pensare che fosse un ignorante. Aveva invece un’ottima cultura e fu consigliere di personaggi come Papa Clemente VIII e san Carlo Borromeo. Il suo non era un rifiuto della cultura in quanto tale, quanto di quell’atteggiamento di puro intellettualismo così alla moda in quei tempi di fascino verso le antiche atmosfere pagane.

San Filippo, invece, vedeva nella cultura un mezzo non un fine, vedeva in essa solo un’arma per adempiere a quella missione evangelizzatrice ch’era tipica dell’intellettuale medievale. Fu così che decise di fare il predicatore vagante, frequentando i quartieri più poveri di Roma, gli ospedali più abbandonati, le carceri. E, ovunque andava, portava la Parola di Dio corredata da un evidente ed affascinante buon umore.




Una vita per i ragazzi

Arrivò al sacerdozio in ritardo: aveva trentasei anni. Subito dopo mise su il primo oratorio, primo nucleo dell’istituzione che verrà definitivamente approvata nel 1575 con il titolo di “Congregazione dell’oratorio”. Istituzione che sarebbe dovuta durare nel tempo e che doveva “educare divertendo”.

San Filippo era già diventato l’idolo dei fanciulli abbandonati delle borgate romane. Li aveva raccolti nell’”Oratorio del Divino Amore” per educarli, tenerli allegri, lontano dalle cattive compagnie e farli crescere da buoni cristiani.

Per la salvezza delle loro anime e dei loro corpi, arrivava a mendicare per le strade e alle porte dei più sontuosi palazzi. Si racconta che, un giorno, un signore, ritenendosi infastidito dalle sue richieste, gli diede un ceffone. Filippo non si scompose:“Questo è per me – disse sorridendogli – e ve ne ringrazio. Ora datemi qualcosa per i miei ragazzi”.

Una santità senza sconti

San Filippo diceva: ”È possibile restaurare le umane istituzioni con la santità, non restaurare la santità con le istituzioni”. Era, infatti, convinto che qualsiasi riforma fosse possibile solo con la Vita di Grazia, ovvero con la santità personale. Voleva che tutti coloro che venivano a contatto con lui mirassero primariamente alla perfezione cristiana, e lo faceva mettendo tutta la sua arguzia e la sua allegria. Raccontiamo due episodi rimasti famosi.

Un giorno andò da lui una contadina che in confessione si accusò di parlare male del prossimo. San Filippo le dette l’assoluzione. La contadina tornò dopo pochi giorni accusandosi dello stesso peccato. San Filippo le dette nuovamente l’assoluzione. Passarono ancora pochi giorni e la donna tornò dal Santo accusandosi dello stesso peccato. Allora san Filippo le disse: ”Ti assolvo, ma come penitenza devi fare questo: prendi la gallina più grande che possiedi, spennala, getta le penne nell’aria e poi fatti con essa un buon brodo”. La contadina sbalordì per quella penitenza così poco “penitenziale”, ma ubbidì.

Dopo qualche giorno ritornò da san Filippo, ancora con lo stesso peccato. A che il Santo le disse: Ti ricordi di quella gallina che spennasti qualche giorno fa per farti un buon brodo?. La donna annuì. ”Bene – riprese san Filippo – adesso come penitenza vai a raccogliere tutte le penne di quella gallina che gettasti nell’aria”. La contadina protestò: ”Ma, padre, come faccio adesso? Le ha portate via il vento!”. San Filippo concluse: ”Ecco cosa sono le tue chiacchiere cattive. Sono come le penne gettate nell’aria, non possono essere più riprese. Come si fa a riparare il danno di parlare male del proprio prossimo?”.

Un altro episodio racconta di una nobildonna che andava spesso alla Messa celebrata da san Filippo. Dopo aver preso la Comunione, ella se ne andava mancando di fare un adeguato ringraziamento. La cosa si verificava spesso. Un giorno, prima di iniziare la celebrazione della Messa, san Filippo disse a due chierichetti: ”Ad un mio cenno seguite con le candele accese una donna che io vi indicherò”. Iniziò la Messa, dopo la Comunione, la solita nobildonna, ricevuta l’ostia, lasciò la Chiesa. San Fiippo fece cenno ai due chierichetti e questi obbedirono all’istante.

I due fanciulli, con due grosse candele accese, seguivano la donna. Questa ovviamente si girò e chiese loro il perché. I fanciulli dissero la verità e la donna, visibilmente innervosita, tornò in chiesa per chiedere spiegazioni al sacerdote. ”Come vi siete permesso?” disse a san Filippo, ma questi di rimando: ”Signora, mi sono permesso perché stava portando la Santissima Eucaristia in processione per le strade di Roma. Lo sa o non lo sa che ogni qualvolta riceviamo Gesù Sacramentato diventiamo per un po’ di tempo dei tabernacoli viventi?”. La nobildonna capì tutto e non osò rispondere.

Questo era san Filippo Neri. Morì a ottant’anni, nel 1595. i medici, esaminando la sua salma, trovarono il muscolo cardiaco più grande del normale e trovarono anche due costole inclinate per far spazio ai battiti di quel cuore così pieno di amore per Dio e, attraverso Dio, per gli uomini.

Venne canonizzato dopo un processo ricchissimo di testimonianze, nel 1622, da papa Gregorio XV.




Redazione Papaboys (Fonte www.angeli.netsons.org/Giovanna Gioia)

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