Per la sua umiltà e per il suo ardente amore San Francesco d’Assisi divenne degno di occupare il seggio perduto in Paradiso da Lucifero, angelo di luce, divenuto per la sua superbia un angelo decaduto e ribelle.
San Bonaventura, nella sua “Leggenda maggiore“, racconta di una visione avuta da un compagno del Santo, frate Pacifico, confermata poi dall’umiltà del “poverello d’Assisi”, quando i due si ritrovarono ospiti presso il lebbrosario di Trevi (Perugia).
Francesco e Pacifico
«Francesco – riporta San Bonaventura – tanto in se stesso quanto negli altri, preferiva l’umiltà a tutti gli onori e perciò quel Dio che ama gli umili lo giudicava degno della gloria più eccelsa, come mostrò la visione avuta da un frate (Pacifico ndr), che era un uomo di singolare virtù e devozione. Questi, mentre era compagno di viaggio dell’uomo di Dio (Francesco ndr), pregando una volta con lui in una chiesa abbandonata, venne rapito in estasi».
La visione
Francesco e Pacifico si trovavano, precisamente, nella chiesa di San Pietro di Bovara a Trevi.
Durante l’estasi Pacifico «vide nel cielo molti seggi e, tra essi, uno più splendido e glorioso di tutti gli altri, costellato di pietre preziose. Ammirando lo splendore di quel trono così eminente, cominciò a chiedersi ansiosamente chi mai fosse destinato a occuparlo. In mezzo a questi pensieri, udì una voce che gli diceva: “Questo seggio apparteneva a uno degli angeli precipitati ed ora è riservato per l’umile Francesco”».
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La domanda
Ritornato finalmente in sé, dopo quella preghiera estatica, il frate seguì alla solita maniera Francesco, che stava uscendo dalla chiesa.
«Procedendo nel cammino, mentre si parlavano scambievolmente di Dio, quel frate, che aveva la visione ben impressa nella mente, colse abilmente l’occasione per chiedere a Francesco che opinione aveva di se stesso».
Il “poverello di Assisi” gli rispose: “Mi sembra di essere il più gran peccatore”. Il frate gli replicò che, in tutta coscienza, non poteva né pensare né dire una cosa simile. Ma Francesco gli spiegò: “Se Cristo avesse trattato il più scellerato degli uomini con la stessa misericordia e bontà con cui ha trattato me, sono sicuro che quello sarebbe molto più riconoscente di me a Dio”.
«Ascoltando queste umile parole – conclude Bonaventura – il frate ebbe la conferma che la sua visione era veritiera, ben sapendo che, secondo la testimonianza del santo Vangelo, il vero umile verrà innalzato a quella gloria eccelsa, da cui il superbo viene respinto» (FF 1111).
Fonte it.aleteia.org/Gelsomino del Guercio
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