Categorie: Pax et Justitia

San Francesco e i prodigi ricomparsi

Pietro Mancanella, cittadino di Gaeta, perse un braccio e una mano per una paralisi, la bocca ritorta sino alle orecchie. Rivoltosi ai consigli dei medici, gli vennero meno parimenti la vista e l’udito. Alla fine si votò supplice al beato Francesco e da ciascuna delle dette infermità per i meriti del beatissimo uomo fu liberato». E ancora: «Nel borgo fortificato di Spello, un uomo patì per due anni così gravemente d’un’ernia che tutti i suoi intestini defluivano per le parti inferiori. Per un grande intervallo di tempo non fu possibile né farli rientrare né riadattarli. Si rivolse dunque ai medici, e da questi giudicato disperato il suo caso, fece ricorso all’aiuto divino. E siccome invocava con devozione i meriti del beato Francesco, subito, miracolosamente guarito, fece stupire tutti coloro che lo conoscevano».

La scoperta, che dobbiamo all’acribia e alla passione di Jacques Dalarun, insigne studioso del «corpus» francescano, di una nuova stesura della Vita di san Francesco, per mano di Tommaso da Celano, è davvero fondamentale; la redazione si situa cronologicamente subito dopo la cosiddetta Vita prima, 1229, redatta dallo stesso per impulso di Gregorio IX, subito dopo la canonizzazione di Francesco (1228; il Poverello era morto nella notte tra il 3 e il 4 ottobre 1226). Tra questa e la Vita secunda (1246-1250) si pongono la Legenda ad usum chori e la Vita Sancti Francisci da collocarsi, nell’esegesi di Dalarun, tra il 1232 e il 1239, redatte per l’impulso di frate Elia, generale dell’ordine.

Ma il ritrovamento recente (settembre 2014) di un manoscritto in pergamena di piccole dimensioni – subito acquisito dalla Bibliothèque Nationale de France – arricchisce la fitta vicenda delle «Vite» di san Francesco nel secolo XIII di un testimone prezioso, trattandosi di un testo redatto alla fine del terzo decennio del Duecento, sempre per iniziativa di frate Elia; esso sunteggia per una parte la Vita prima, ma aggiunge (per un 60%) testimonianze sconosciute che danno una coloritura nuova alla tradizione e alla leggenda francescana. Composta da Tommaso da Celano, essa presenta Francesco tra i poveri, in una quotidianità di miseria umana deforme e irredimibile, come attestano i due miracoli sopra riportati. La deposizione di frate Elia nel 1239 e la definitiva eliminazione dei vari rivoli della leggenda francescana, raccolta ormai sotto la sola insegna della Legenda di san Bonaventura (1266), fecero scomparire questa “variante” agiografica sin quando Dalarun cominciò a ricomporre i frammenti di quella che egli definì come «Légende ombrienne» e che ora si chiarisce in questo fresco e vivido documento.

Oltre ad aggiornare la Vita prima (ad esempio per la traslazione del corpo del santo dalla chiesa di San Giorgio alla basilica di San Francesco, il 25 maggio 1230, data posteriore a quella redazione), il nuovo testo fornisce la notizia di ben 33 nuovi miracoli postumi, in qualche caso semplici guarigioni, in altri parabole molto più articolate della spiritualità francescana, come quella nella quale il frate libera dalle catene e dalla prigione un uomo accusato ingiustamente di eresia (De eo quem a vinculis liberavit): «liberato allo stupore» di una grazia nuova che non ha più bisogno di conferma né di sanzione: «Solutus ille, obstupefactus fugere nesciebat». Potremmo dire che l’orizzonte francescano della Vita ritrovata è quello di innestare il nuovo ordine («ista novella vitis in principio plantationis») nella «vigna» dell’annuncio cristiano («Sollicitus preterea ubique sacram religionem plantare»), con un’adesione al creato di cui il Cantico di frate sole resta suggello esemplare e che nella Vita traspare e s’annuncia come universale fraterno abbraccio creaturale: «Omnes denique creaturas propter unum principium fraterno nomine nominabat».

Da questa Vita traspare infine più vivida l’«innocenza» aurorale di quella prima comunità: «La santa semplicità li aveva perfettamente colmati, e l’innocenza della loro vita li formava, sì che una parola sola bastava quale precetto d’obbedienza» («Perfecte illos repleverat sacrata simplicitas et vite innocentia edocebat, ut verbum simplex mandatum obedientie reputarent»). È una regola di dolcezza silente: «felix pater dulciter consolabatur filios suos», che si prolunga benedicente su visioni ed estasi: «Et vidit ibi corporeis oculis beatum Franciscum in aere sublevatum, extensis velud in cruce manibus, benedicentem fratres». Per la prima volta, la storia del credere è abitata da una “naturalezza del sovrannaturale” che Eugenio d’Ors ha così bene dipinto e che ritroveremo nel San Francesco giullare di Dio, 1950, di Roberto Rossellini: dove si cade danzando, lì è il cammino.

Redazione Papaboys (Fonte www.sanfrancescopatronoditalia.it / Il Sole 24 Ore – Carlo Ossola)



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