Francesco d’Assisi ha attraversato il mondo come la carezza di Dio all’umanità. Ma proprio lui, che per tutto il corso della vita aveva desiderato e coltivato l’armonia tra gli animi, verobonum commune, nonostante l’amore irriducibile di alcuni frati, muore in una bolgia di dissensi, confusione, paura del nulla che tuttavia solo la fine di una grande personalità può suscitare. Di contro all’affetto degli amici più stretti, l’attitudine al nulla nichilista di molti rimase a vegliare con sora nostra morte assieme al corpo del santo, mentre le sue parole e i suoi pensieri venivano attratti verso l’alto, ad altezze alle quali persino i confratelli, e tutti coloro che lo avevano amato, non potevano aspirare pur addolorandosi e piangendo quello che era appena diventato un ricordo, la fine di un amore terreno.
E così, le memorie sulla vita del santo, per coloro che stettero a lui vicino nel suo ultimo isolamento dopo quel Calvario, la Verna, si raccolsero come rondini al crepuscolo, e nei cuori di tutti quelli che lo amarono l’eco del Salmo iniziò a scandire il tempo come l’attesa delle sentinelle che anela l’aurora (Salmo 129).
Nella scena della composta venerazione e del compianto dei frati per la perdita di Francesco che, tra il 1325 e il 1328, Giotto dipinse in Santa Croce, a Firenze, una nuova luce prese il sopravvento sulla concezione medievale della morte, come esempio di vita resa straordinaria attraverso un modello concretamente realizzabile.
La verità è che già la sola bellezza che si cela dietro l’immagine, quella della morte di Francesco, colora di un’atmosfera malinconica e rende quasi dolce il canto soffuso di questa sua “muta” predicazione, riconvertendo la tragedia dell’assenza in una ferita salvifica: le sempre vive e insanabili stimmate che risanano il mondo. Come in un naufragare leopardiano che sovente l’uomo si concede, il testamento morale di Francesco diviene epitaffio contemporaneo nella penna di una poetessa di rara delicatezza, adagiando il patrimonio umano del santo di Assisi nelle braccia di ciò che non muore, la Storia: «…L’uomo non soffre attorno a sé una fine, ma io ho un chiaro disegno di povertà come una veste ardita che mi chiude entro sfere di parole, di parole d’amore che indirizzo agli uccelli, all’acqua, al sole e che mi rendo tutte assai precise, premeditata morte di dolcezza»(San Francesco, Alda Merini).
Marco Iuffrida Storico
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