Francesco sta al crocevia fra modi diversi se non opposti d’intendere la natura: che – non dimentichiamolo – è anzitutto ed essenzialmente il creato, cioè l’esito di un atto d’amore e di volontà. Avete presente il “tormentone” del bravissimo, compianto Massimo Troisi, il quale mimava magistralmente la noia degli uccellini all’arrivo di Francesco che si appresta ad amorevolmente ammaestrarli?
Non era per nulla irriverente nei confronti del Povero di Assisi: era una satira azzeccatissima dell’immagine dolciastra, convenzionale, intollerabile di un Francesco che ama gli animali, i fiori e la natura con il trasporto ingenuo e al tempo stesso stereotipo di una zitella inglese (sia detto con tutto il rispetto per le anziane signorine britanniche, spesso intelligenti e argute persone).
Il Francesco animalista, ecologista, naturista, pacifista, ovviamente vegetariano anzi “vegano”, a cavallo tra il Pannella old fashion, la caricatura di Greenpeace (che invece, quella vera, è una cosa piuttosto seria) e il New Age vissuto alla maniera dei libri di Paulo Coelho (e lì, sul serio, libera nos, Domine) è una delle peggiori jatture che ci siano capitate addosso negli ultimi decenni: e, purtroppo, è uno degli schemi stereotipi e conformisti più diffusi e più difficili da battere: e alla luce di ciò si usa troppo spesso interpretare – estrapolandoli dal loro contesto e trattandoli con la più allegra afilologia – gli episodi della predica agli uccelli, del lupo di Gubbio e dell’incontro col sultano.
D’altronde, è un fatto che con il Duecento (e quindi, se non proprio da Francesco, comunque con lui) è cominciato un modo diverso per la cultura cristiana occidentale di guardare agli animali e al creato. Giovanni Gentile faceva notare come da e con Francesco si comincia nell’arte a fare attenzione al paesaggio e prende l’avvìo il Rinascimento: è visione criticamente “datata” anche quella, ma non trascurabile.
Quel che tuttavia va sottolineato è che Francesco sta al crocevia fra modi diversi se non opposti d’intendere la natura: che – non dimentichiamolo – è anzitutto ed essenzialmente il Creato, cioè l’esito di un atto d’amore e di volontà.
Il Cosmo dei greci, sistematizzato da Aristotele, è increato ed eterno: al suo interno, esiste una gerarchia di stati dell’essere e di forme di vita. Al tempo di Francesco, quando ancora Tommaso d’Aquino non aveva adattato l’aristotelismo al cristianesimo, sulla natura come Hyle, come Silva (la “Selva oscura” di Dante), le cose più belle e profonde le avevano dette i filosofi platonici della “scuola di Chartres”, i teorizzatori dell’Anima Mundi tanto splendidamente studiati alcuni decenni fa da Tullio Gregory in uno dei più bei libri di storia della filosofia.
Ma il Creato della Bibbia è un’altra cosa. Dio lo trae dal nulla e, alla fine della Creazione, lo mette a disposizione dell’uomo. Ma l’uomo, tradendo la fiducia divina con il peccato originale, fa sì che esso gli si ribelli contro. Da qui il dramma della lotta aspra per la sopravvivenza, il labor, la fatica diurna che nasce dalla labes, dalla colpa, dalla caduta. Da qui il dovere e la necessità per l’uomo di recuperare questa sua signoria che Dio gratuitamente gli aveva concessa attraverso lo sforzo e il pericolo.
Ma Francesco non è un “Orfeo cristiano”. Francesco è alter Christus. E il Cristo è l’Adam Kadmon, l’Uomo Perfetto quale avrebbe dovuto essere se non fosse caduto in peccato: per questo la natura gli è, al tempo stesso, del tutto sottomessa e del tutto amica.
D’altronde, Francesco sente intensamente e profondamente la distanza incommensurabile che separa qualunque creatura dal Creatore: anche quella creatura privilegiata che è l’uomo. Da qui il senso profondo di fratellanza con tutte le cose e al tempo stesso il rapporto fatto di amore e di timore che tutto quel che è “creato”, l’uomo anzitutto, deve instaurare con Lui. È lo spirito del Cantico delle Creature, che con estrema finezza quel grande filologo che fu Antonino Pagliaro definiva “feudale”. L’uomo non può rinunziare alla sua primogenitura fondendosi e confondendosi panteisticamente con tutte le creature; sa bene che Dio lo ama d’un amore tutto speciale, al punto di aver scelto di farsi uomo e di soffrire e morire per riscattare il suo peccato. Al tempo stesso, sa bene che la distanza incommensurabile che separa l’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio dalla più umile creatura dell’universo non è nulla rispetto a quella che separa lo stesso Adamo prima del Peccato da Dio. Che è “Altissimo”, “Onnipotente” e “Buono” al tempo stesso. I tre aggettivi-chiave della teologia di Francesco. Quelli che qualificano incommensurabilità e fratellanza al tempo stesso. È evidente che l’Asse che regge questa struttura è il Cristo, Che tutto rende intelligibile e senza il Quale nulla lo è.
Redazione Papaboys (Fonte www.sanfrancescopatronoditalia.it/Franco Cardini- Professore ordinario di storia medievale presso l’Università di Firenze)
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