San Francesco: PACE E BENE A TE!
Ogni giorno un testo, una preghiera o un fioretto tratto dalla vita del “poverello di Assisi”.
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Gesù nostro Signore vi benedica!
Come santo Francesco
convertì tre ladroni micidiali,
e fecionsi frati;
e della nobilissima visione
che vide l’uno di loro,
il quale fu santissimo frate.
Francesco andò una volta per lo diserto del Borgo a Santo Sipolcro, e passando per uno castello che si chiama Monte Casale, venne a lui un giovane nobile e delicato e dissegli: «Padre, io vorrei molto volentieri essere de’vostri frati».
Risponde santo Francesco: «Figliuolo, tu se’gione e dilicato e nobile; forse tu non potresti sostenere la povertà e l’asprezza nostra». Ed egli disse: «Padre, non siete voi uomini com’io? Dunque come la sostenete voi, così potrò io con la grazia di Cristo».
Piacque molto a santo Francesco quella risposta; di che benedicendolo, immantanente lo ricevette all’Ordine e puosegli nome frate Agnolo. E portossi questo giovane così graziosamente, che ivi a poco tempo santo Francesco il fece guardiano nel luogo detto di Monte Casale.
In quello tempo usavano nella contrada tre nominati ladroni, li quali faceano molti mali nella contrada; li quali vennono un dì al detto luogo de’frati e pregavano il detto frate Agnolo guardiano che desse loro da mangiare. E ’l guardiano rispuose loro in questo modo, riprendendoli aspramente: «Voi, ladroni e crudeli e omicidi, non vi vergognate di rubare le fatiche altrui; ma eziandio, come presuntuosi e isfacciati, volete divorare le limosine che sono mandate alli servi di Dio, che non siete pure degni che la terra vi sostenga, però che voi non avete nessuna reverenza né a uomini né a Dio che vi creò: andate adunque per li fatti vostri, e qui non apparite più». Di che coloro turbati, partirono con grande sdegno.
Santo Francesco tornare di fuori con la tasca del pane e con un vaselletto di vino ch’egli e ’l compagno aveano accattato; e recitandogli il guardiano com’egli avea cacciato coloro, santo Francesco fortemente lo riprese, dicendo che s’era portato crudelmente, «imperò ch’elli meglio si riducono a Dio con dolcezza che con crudeli riprensioni; onde il nostro maestro Gesù Cristo, il cui evangelo noi abbiamo promesso d’osservare, dice che non è bisogno a’sani il medico ma agli infermi, e che non era venuto a chiamare li giusti ma li peccatori a penitenza; e però ispesse volte egli mangiava con loro.
Conciò sia cosa adunque che tu abbi fatto contra alla carità e contro al santo evangelo di Cristo, io ti comando per santa obbedienza che immantanente tu sì prenda questa tasca del pane ch’io ho accattato e questo vasello del vino, e va’ loro dietro sollecitamente per monti e per valli tanto che tu li truovi, e presenta loro tutto questo pane e questo vino per mia parte; e poi t’inginocchia loro dinanzi e di ’loro umilemente tua colpa della crudeltà tua, e poi li priega da mia parte che non facciano più male, ma temano Iddio e non offendano il prossimo; e s’egli faranno questo, io prometto di provvederli nelli loro bisogni e di dare loro continovamente e da mangiare e da bere. E quando tu arai detto loro questo, ritornati in qua umilemente».
Mentre che il detto guardiano andò a fare il comandamento di santo Francesco, ed egli si puose in orazione e pregava Iddio ch’ammorbidasse i cuori di quelli ladroni e convertisseli a penitenza. Giugne loro l’ubbidiente guardiano ed appresenta loro il pane e ’l vino, e fa e dice ciò che santo Francesco gli ha imposto.
Come piacque a Dio, mangiando que’ ladroni la limosina di santo Francesco, cominciarono a dire insieme: «Guai a noi miseri isventurati! E come dure pene dello inferno ci aspettiamo, i quali andiamo non solamente rubando li prossimi e battendo e ferendo, ma eziandio uccidendo; e nientedimeno di tanti mali e così scellerate cose, come noi facciamo, noi non abbiamo nessuno rimordimento di coscienza né timore di Dio.
Questo frate santo, ch’è venuto a noi, per parecchie parole che ci disse giustamente per la nostra malizia, ci ha detto umilemente sua colpa e oltre a ciò ci ha recato il pane e lo vino e così liberale promessa del santo padre. Veramente questi si sono frati santi di Dio li quali meritano paradiso di Dio, e noi siamo figliuoli della eternale perdizione, li quali meritiamo le pene dello inferno, e ogni indì accresciamo alla nostra perdizione, e non sappiamo se de’peccati che abbiamo fatti insino qui noi potremo tornare alla misericordia di Dio».
Queste e somiglianti parole dicendo l’uno di loro, dissono gli altri due: «Per certo tu di’il vero; ma ecco che dobbiamo noi fare?». «Andiamo, disse costui, a santo Francesco e s’egli ci dà speranza che noi possiamo tornare a misericordia di Dio de’nostri peccati, facciamo ciò ch’e’ci comanda, e possiamo liberare le nostre anime dalle pene dello inferno».
Piacque questo consiglio agli altri; e così tutti e tre accordati se ne vengono in fretta a santo Francesco e dicongli: «Padre, noi per molti iscellerati peccati, che noi abbiamo fatti, noi non crediamo potere tornare alla misericordia di Dio; ma se tu hai nessuna isperanza che Iddio ci riceva a misericordia, ecco che noi siamo apparecchiati a fare ciò che tu ci dirai e di fare penitenza teco». Allora santo Francesco ricevendoli caritativamente e con benignità, sì li confortò con molti esempi e, rendendoli certi della misericordia di Dio, promise loro di certo d’accattarla loro da Dio e mostrando loro la misericordia di Dio essere infinita: e se noi avessimo infiniti peccati, ancora la misericordia divina è maggiore ch’e’nostri peccati, secondo il Vangelo; e lo apostolo santo Paulo disse: Cristo benedetto venne in questo mondo per ricomperare li peccatori (1Tm 1,15).
Per quali parole e simiglianti ammaestramenti, li detti tre ladroni renunziarono al dimonio e alle sue opere, e santo Francesco li ricevette all’Ordine, e cominciarono a fare grande penitenza; e due di loro poco vissono dopo la loro conversione e andaronsi a Paradiso.
Ma il terzo sopravvivendo e ripensando alli suoi peccati, si diede a fare tale penitenza, che per quindici anni continovi, eccetto le quaresime comuni, le quali egli facea con gli altri frati, d’altro tempo sempre tre dì la settimana digiunava in pane e in acqua, e andando sempre scalzo e con una sola tonica indosso, e mai non dormia dopo Mattutino.
Fra questo tempo santo Francesco passò di questa misera vita. E avendo dunque costui per molti anni continovato cotale penitenza, ecco ch’una notte dopo ’l Mattutino, gli venne tanta tentazione di sonno, che per nessuno modo egli potea resistere al sonno e vegghiare come soleva. Finalmente, non potendo egli resistere al sonno né orare, andossene in sul letto per dormire; e subito com’egli ebbe posto giù il capo, fu ratto e menato in ispirito in su uno monte altissimo, al quale era una ripa profondissima, e di qua e di là sassi ispezzati e ischeggiosi e iscogli disuguali ch’uscivano fuori de’sassi; di che infra questa ripa era pauroso aspetto a riguardare.
L’Angelo che menava questo frate sì lo sospinse e gittollo giù per quella ripa; il quale trabalzando e percotendo di scoglio in iscoglio e di sasso in sasso, alla perfine giunse al fondo di questa ripa, tutto ismembrato e minuzzato, secondo che a lui parea. E giacendosi così male acconcio in terra, dicea colui che ’l menava: «Lieva su, che ti conviene fare ancora grande viaggio». Rispuose il frate: «Tu mi pari molto indiscreto e crudele uomo, che mi vedi per morire della caduta, che m’ha così ispezzato, e dimmi: lieva su!».
L’Agnolo s’accosta a lui e toccandolo gli salda perfettamente tutti li membri e sanalo. E poi gli mostra una grande pianura di pietre aguzzate e taglienti, e di spine e di triboli, e dicegli che per tutto questo piano gli conviene correre e passare a piedi ignudi infino che giunga al fine; nel quale e’vedea una fornace ardente nella quale gli convenia entrare. Avendo il frate passato tutta la pianura con grande angoscia e pena, e l’Agnolo gli dice: «Entra in questa fornace, però che così ti conviene fare». Risponde costui: «Oimè, quanto sei crudele guidatore, che mi vedi esser presso che morto per questa angosciosa pianura, e ora per riposo mi di’che io entri in questa fornace ardente». Ragguardando costui, vide intorno alla fornace molti demoni con le forche di ferro in mano, con le quali costui, perché indugiava d’entrare, sospinsono dentro subitamente.
Entrato che fu nella fornace, ragguarda e vide uno ch’era stato suo compare, il quale ardeva tutto quanto. E costui il domanda: «O compare sventurato, e come venisti tu qua?». Ed egli risponde: «Va’un poco più innanzi e troverai la moglie mia, tua comare, la quale ti dirà la cagione della nostra dannazione». Andando il frate più oltre, eccoti apparire la detta comare tutta affocata, rinchiusa in una misura di grano tutta di fuoco; ed egli la domanda:
«O comare isventurata e misera, perché venisti tu in così crudele tormento?». Ed ella rispuose: «Imperò che al tempo della grande fame, la quale santo Francesco predisse dinanzi, il marito mio e io falsavamo il grano e la biada che noi vendevamo nella misura, e però io ardo stretta in questa misura».
Dette queste parole, l’Agnolo che menava il frate sì lo sospinse fuore della fornace, e poi gli disse: «Apparecchiati a fare uno orribile viaggio, il quale tu hai a passare». E costui rammaricandosi dicea: «O durissimo conduttore, il quale non m’hai nessuna compassione; tu vedi ch’io sono quasi tutto arso in questa fornace, e anche mi vuoi menare in viaggio pericoloso e orribile?».
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