Dopo il viaggio da papa Innocenzo III del 1209 e ritornati nella valle di Spoleto, frate Francesco e i suoi fratelli/frati continuano la loro esperienza di vita evangelica, di cui sono specchio le parole che si trovano nel Testamento: parole che riguardano, oltre alla iniziale fraternità, anche i nuovi frati/fratelli, quelli che possiamo definire la prima generazione minoritica.
Quale era il loro modo di vita evangelica? Innanzitutto ognuno faceva la scelta di totale povertà, si privava di qualsiasi bene materiale destinandolo o destinandone il ricavato ai poveri: i poveri “volontari” si equiparavano così ai poveri “involontari”. Lo si poteva constatare subito attraverso il loro vestiario costituito da «un’unica tunica, rappezzata dentro e fuori, con un cingolo e le brache». Una tunica, un cingolo e le brache costituivano l’insieme dei loro possessi. Né si pretendeva altro: «e non volevamo avere di più». La condizione di poveri volontari, fattisi tali per seguire la “buona novella” di Gesù Cristo, era esaltata e sublimata dalla preghiera e dai momenti di contemplazione: «Noi chierici dicevamo l’ufficio come gli altri chierici, i laici dicevano il Padre nostro; e assai volentieri rimanevamo nelle chiese».
Si badi che frate Francesco, usando il verbo “dicevamo”, si colloca tra i chierici: i fratelli/frati che erano in grado di leggere il testo dell’Ufficio. Quest’affermazione documenta in modo indiscutibile che frate Francesco non era laico e possedeva la capacità di leggere e di scrivere il latino (come, d’altronde, i suoi stessi scritti autografi dimostrano con chiarezza).
La condizione di poveri volontari comportava anche la sottomissione a ogni creatura e il rifiuto di acquisire una qualsiasi posizione ecclesiastica, culturale e sociale che distinguesse i fratelli/frati dai poveri involontari. Tali sono alcuni dei caratteri espliciti del francescanesimo subordinativo di frate Francesco, ovvero della minorità dei frati Minori.
Fonte www.sanfrancescopatronoditalia.it/Grado Giovanni Merlo
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