UOMO SEMPLICE DI ECCELLENZA. Il nome Giuseppe è di origine ebraica e sta a significare “Dio aggiunga”, estensivamente si può dire “aggiunto in famiglia”. Può essere che l’inizio sia avvenuto col nome del figlio di Giacobbe e Rachele, venduto per gelosia come schiavo dai fratelli. Ma è sicuramente dal padre putativo, cioè ritenuto tale, di Gesù e considerato anche come l’ultimo dei patriarchi, che il nome Giuseppe andò diventando nel tempo sempre più popolare. In Oriente dal IV secolo e in Occidente poco prima dell’XI secolo, vale a dire da quando il suo culto cominciava a diffondersi tra i cristiani. Non vi è dubbio tuttavia che la fama di quel nome si rafforzò in Europa dopo che nell’Ottocento e nel Novecento molti personaggi della storia e della cultura lo portarono laicamente, nel bene e nel male: da Francesco Giuseppe d’Asburgo a Garibaldi, da Verdi a Stalin, da Garibaldi ad Ungaretti e molti altri ancora. San Giuseppe fu lo sposo di Maria, il capo della “sacra famiglia” nella quale nacque, misteriosamente per opera dello Spirito Santo, Gesù figlio del Dio Padre. E orientando la propria vita sulla lieve traccia di alcuni sogni, dominati dagli angeli che recavano i messaggi del Signore, diventò una luce dell’esemplare paternità. Certamente non fu un assente. È vero, fu molto silenzioso, ma fino ai trent’anni della vita del Messia, fu sempre accanto al figliolo con fede, obbedienza e disponibilità ad accettare i piani di Dio. Cominciò a scaldarlo nella povera culla della stalla, lo mise in salvo in Egitto quando fu necessario, si preoccupò nel cercarlo allorché dodicenne era “sparito’’ nel tempio, lo ebbe con sé nel lavoro di falegname, lo aiutò con Maria a crescere “in sapienza, età e grazia”. Lasciò probabilmente Gesù poco prima che “il Figlio dell’uomo” iniziasse la vita pubblica, spirando serenamente tra le sue braccia. Non a caso quel padre da secoli viene venerato anche quale patrono della buona morte. San Giuseppe non è solamente il patrono dei padri di famiglia come “sublime modello di vigilanza e provvidenza” nonché della Chiesa universale, con festa solenne il 19 marzo. Egli è oggi anche molto festeggiato in campo liturgico e sociale il 1° maggio quale patrono degli artigiani e degli operai, così proclamato da papa Pio XII. Papa Giovanni XXIII gli affidò addirittura il Concilio Vaticano II. Vuole tuttavia la tradizione che egli sia protettore in maniera specifica di falegnami, di ebanisti e di carpentieri, ma anche di pionieri, dei senzatetto, dei Monti di Pietà e relativi prestiti su pegno. Viene addirittura pregato, forse più in passato che oggi, contro le tentazioni carnali. Che il culto di San Giuseppe abbia raggiunto in passato vette di popolarità lo dimostrano anche le dichiarazioni di moltissime chiese relative alla presenza di sue reliquie. Per fare qualche esempio particolarmente significativo: nella chiesa di Notre-Dame di Parigi ci sarebbero gli anelli di fidanzamento, il suo e quello di Maria; Perugia possiederebbe il suo anello nuziale; nella chiesa parigina dei Foglianti si troverebbero i frammenti di una sua cintura. Ancora: ad Aquisgrana si espongono le fasce o calzari che avrebbero avvolto le sue gambe e i camaldolesi della chiesa di S. Maria degli Angeli in Firenze dichiarano di essere in possesso del suo bastone.
Cosa faceva san Giuseppe?-. In Matteo 13,55 la professione di Giuseppe viene nominata quando si dice che Gesù era figlio di un “téktón”. Il termine greco téktón è stato interpretato in vari modi. Si tratta di un titolo generico che veniva usato per operatori impegnati in attività economiche legate all’edilizia, dunque in senso stretto non doveva appartenere a una famiglia povera, non si limitava ai semplici lavori di un falegname ma esercitava piuttosto un mestiere con materiale pesante, che manteneva la durezza anche durante la lavorazione, per esempio legno o pietra. Accanto alla traduzione – accettata dalla maggior parte dagli studiosi – di téktón come carpentiere, alcuni hanno voluto accostare quella di scalpellino. Gesù a propria volta praticò il mestiere del padre. Il primo evangelista ad usare questo titolo è stato Marco che definisce Gesù un téktón in occasione di una visita a Nazaret, osservando che i concittadini ironicamente si chiedono: “Non è costui il téktón, il figlio di Maria?”. Matteo riprende il racconto di Marco, ma con una variante: “Non è egli (Gesù) il figlio del téktón?”. Come è evidente, qui è Giuseppe ad essere iscritto a questa professione. Nei tempi antichi, i Padri latini della Chiesa hanno però tradotto il termine greco di téktón con falegname, dimenticando forse che nella Israele di allora il legno non serviva soltanto per approntare aratri e mobili vari, ma veniva usato come vero e necessario materiale per costruire case e qualsiasi edificio. Infatti, oltre ai serramenti in legno, i tetti a terrazza delle case israelite erano allestiti con travi connesse tra loro con rami, argilla, fango e terra pressata, tant’è vero che il Salmo 129 descrive come sui tetti crescesse l’erba.
Il dubbio dinanzi alla gravidanza di Maria e il sogno-. La vicenda di Maria e Giuseppe ha inizio nei Vangeli con l’episodio dell’Annunciazione: Nel sesto mese l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe, la vergine si chiamava Maria. Giuseppe è presentato come il discendente di Davide, sposo della Vergine divenuta protagonista del Mistero dell’Incarnazione. Per opera dello Spirito Santo, Maria concepì un Figlio “che sarà chiamato Figlio dell’Altissimo”. L’angelo a conferma dell’evento straordinario, le disse poi che anche la cugina Elisabetta benché sterile, aspettava un figlio. Maria si recò subito dalla parente e al suo ritorno, essendo già al terzo mese, erano visibili i segni della gravidanza. In queste circostanze “Giuseppe suo sposo che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di allontanarla in segreto” come dice il Vangelo di Matteo. L’uomo non sapeva come comportarsi di fronte alla miracolosa maternità della moglie: certamente cercava una risposta all’inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da una situazione difficile. Ecco però che gli apparve in sogno un angelo che gli disse: “Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo e prese con sé la sua sposa, accettandone il mistero della maternità e le successive responsabilità.
La paternità di san Giuseppe-. Accanto alla testimonianza circa l’origine divina di Gesù, incontriamo nei Vangeli anche quella che Gesù era ritenuto il figlio di Giuseppe. Limitiamoci a Filippo, che dice a Natanaele: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazaret” (Giovanni 1,45). L’esortazione di Giovanni Paolo II afferma apertamente che nella santa Famiglia “Giuseppe è il padre: non è la sua una paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è ‘apparente’, o soltanto ‘sostitutiva’, ma possiede in pieno l’autenticità della paternità umana, della missione paterna nella famiglia”. Il matrimonio di Giuseppe con Maria e la conseguente legittimazione della sua paternità all’interno della famiglia sono orientate verso l’incarnazione, ossia verso Gesù che ha voluto inserirsi nel mondo in modo “ordinato”. Origene, definisce Giuseppe appunto come “l’ordinatore della nascita del Signore”. Il suo matrimonio onora la maternità di Maria e garantisce a Gesù l’inserimento nella genealogia di Davide, come abbiamo visto. Ma la teologia che fa da chiave a tutta l’esortazione apostolica va ben oltre, come richiede l’unità “organica e indissolubile” tra l’incarnazione e la redenzione (n.6). Di qui l’affermazione che “san Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tale modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della redenzione ed è veramente ‘ministro della salvezza’” (n.8). La definizione “Ministro della salvezza” descrive perfettamente la grandezza di san Giuseppe, che ha avuto il singolare privilegio di servire direttamente Gesù e la sua missione, ossia la sua opera salvifica. Tutti gli Angeli e i Santi servono Gesù, ma san Giuseppe, insieme con Maria, lo ha servito “direttamente” come padre. Ciò vuol dire che molte delle opere salvifiche di Gesù, definite come “misteri della vita di Cristo”, hanno avuto bisogno della “cooperazione” di san Giuseppe. Il riferimento riguarda tutti quei “misteri della vita nascosta di Gesù”, nei quali era indispensabile l’intervento paterno. Toccava al padre, infatti, iscrivere il bambino all’anagrafe, provvedere al rito della circoncisione, imporgli il nome, presentare il primogenito a Dio e pagare il relativo riscatto, proteggere il Bambino e la madre nei pericoli della fuga in Egitto. È ancora il padre Giuseppe che ha introdotto Gesù nella terra di Israele e lo ha domiciliato a Nazaret, qualificando Gesù come “Nazareno”; è Giuseppe che ha provveduto a mantenerlo, a educarlo e a farlo crescere, procurandogli cibo e vestito; da Giuseppe Gesù ha imparato il mestiere, che lo ha qualificato come “il figlio del falegname”. Non ci vuole molto sforzo a comprendere quante cose deve fare un padre dal punto umano, civile e religioso. Ebbene, tutto questo lo ha fatto anche Giuseppe.
Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. (Papa Francesco Omelia Messa di inizio pontificato)