Santa Sede-Stato Palestina: mons. Gallagher, due Stati quanto prima

È stato firmato oggi nel Palazzo Apostolico l’Accordo globale tra Santa Sede e Stato di Palestina. A siglarlo, per le parti, mons. Paul Richard Gallagher, Segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, e Riad Al-Malki, ministro palestinese degli Affari Esteri. Il servizio di Giada Aquilino:

La Chiesa nello Stato di Palestina e pace in Medio Oriente
Un preambolo e 32 articoli distribuiti in 8 capitoli. Questo l’Accordo globale che, recita il comunicato congiunto, “riguarda aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa nello Stato di Palestina” e riafferma al contempo “il sostegno per una soluzione negoziata e pacifica della situazione nella regione”. L’intesa – che entrerà in vigore una volta che ambo le parti avranno notificato “per iscritto” come siano stati soddisfatti i “requisiti costituzionali o interni” previsti – è il risultato dei negoziati svolti da una commissione bilaterale nel corso degli ultimi anni e fa seguito all’Accordo base firmato il 15 febbraio 2000.

Da Olp a Stato di Palestina
Allora la Santa Sede siglò il documento con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp): il testo attuale è stato invece firmato con lo Stato di Palestina. “Ciò – ha spiegato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher nel suo indirizzo di saluto alla cerimonia della firma – come segno del cammino compiuto dall’Autorità Palestinese negli ultimi anni e soprattutto dell’approvazione internazionale culminata nella risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu, del 29 novembre 2012”, che ha riconosciuto la Palestina quale Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite.

La soluzione dei due Stati


In tale prospettiva, il Segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati ha auspicato che l’Accordo – definito una “tappa importante” nelle relazioni bilaterali – possa costituire “uno stimolo per porre fine in modo definitivo all’annoso conflitto israeliano-palestinese, che continua a provocare sofferenze ad ambedue le parti”. Mons. Gallagher ha voluto quindi ricordare “l’auspicata soluzione dei due Stati”, sperando – ha aggiunto – che “divenga realtà quanto prima”. Il processo di pace, ha spiegato, “può progredire solo tramite il negoziato diretto tra le parti con il sostegno della comunità internazionale”, con “decisioni coraggiose” per un “contributo alla pace e alla stabilità della regione”.

Nessun privilegio ai cattolici
Esaminando l’intesa tra i “due soggetti di diritto internazionale”, il presule ha evidenziato che “riguarda fondamentalmente la vita e l’attività della Chiesa in Palestina”, dicendosi “lieto” per il riconoscimento giuridico “che viene chiaramente stabilito” e per le garanzie “che si offrono all’attività della Chiesa cattolica e delle sue istituzioni”. I cattolici, ha precisato ancora, non vogliono alcun “privilegio”, continuando a collaborare con i loro concittadini per il bene della società. “Soddisfatta” la Chiesa locale, “implicata nei negoziati”.

La persecuzione dei cristiani
Guardando al “contesto complesso” del Medio Oriente, dove in alcuni Paesi i cristiani soffrono “persino la persecuzione”, l’Accordo “offre un buon esempio di dialogo e di collaborazione”, ha proseguito mons. Gallagher sottolineando la portata del capitolo dedicato alla libertà di religione e di coscienza e auspicando che l’intesa “possa servire da modello per altri Paesi arabi e a maggioranza musulmana”. Riaffermata infine “la particolare sollecitudine della Santa Sede per il Medio Oriente e per la Terra Santa”.

Papa Francesco e il presidente Abbas
Il ministro Al-Malki ha parlato di Accordo “storico” e ha sottolineato come il traguardo raggiunto “non sarebbe stato possibile senza il sostegno e l’impegno personale” del Presidente palestinese Mahmoud Abbas e senza “la benedizione” di Papa Francesco. Le disposizioni dell’Accordo, ha messo in luce, “abbracciano la visione comune” delle due parti a favore della pace e della giustizia nella regione, “la protezione delle libertà fondamentali”, “lo status e la protezione dei Luoghi Santi”, e i mezzi per “rafforzare e promuovere la presenza e le attività della Chiesa cattolica nello Stato di Palestina”. Consolidano e migliorano “le circostanze attuali, in cui la Chiesa cattolica gode di diritti, privilegi, immunità e libero accesso”, confermando la posizione della Chiesa “quale importante sostenitrice della vita di molti palestinesi”.

Impegno contro l’estremismo in Medio Oriente
Il documento, ha osservato, “per la prima volta” include “un riconoscimento ufficiale della Palestina come Stato da parte della Santa Sede”, letto come “segno di riconoscimento del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, alla libertà e dignità in un proprio Stato indipendente libero dalle catene dell’occupazione”. Esso – ha aggiunto il titolare della politica estera palestinese – “appoggia anche la visione a favore della pace e della giustizia nella regione, conformemente con il diritto internazionale, sulla base di due Stati, che vivono uno accanto all’altro in pace e sicurezza sulla base delle frontiere del 1967”. Il ministro Al-Malki ha parlato anche di “disposizioni nuove e senza precedenti” connesse con lo “status speciale” della Palestina quale “luogo di nascita del cristianesimo e culla delle religioni monoteiste”, in un momento in cui “l’estremismo, la violenza barbara e l’ignoranza” minacciano tutto il Medio Oriente. In questo scenario, ha precisato, lo Stato di Palestina “reitera il proprio impegno a combattere l’estremismo” e a promuovere tolleranza, libertà di coscienza e di religione, salvaguardia dei diritti “di tutti i suoi cittadini”, principi sui quali – ha concluso – “continuiamo a sforzarci di fondare il nostro Stato indipendente e democratico”.

Il commento dell’Osservatore Romano
Un’intesa per “costruire la pace”, che guarda “al futuro senza dimenticare la storia”. L’Osservatore Romano definisce così l’Accordo tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina firmato oggi. In un articolo sul numero odierno, il giornale vaticano analizza i contenuti del documento frutto del lungo negoziato – 15 anni – avviato dalla Santa Sede nel Duemila con l’allora Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) e poi condotto in maniera sistematica dal 2010. “Lì, dove santità e conflitto sembrano inscindibili perché manca ‘il coraggio della pace, la forza di perseverare nel dialogo ad ogni costo’”, scrive l’Osservatore citando Papa Francesco, l’Accordo – si afferma – “si presenta con un suo particolare carattere fatto di rinnovata continuità e di necessaria attualità, che tiene conto di situazioni giuridico-politiche che ruotano intorno a conflitti, a regole sovrappostesi nei secoli”.

Il riflesso di ciò si coglie anzitutto nel “Preambolo” dell’Accordo, incentrato su alcuni “punti chiave: l’autodeterminazione del popolo palestinese, l’obiettivo della two-State solution, il significato non solo simbolico di Gerusalemme, il suo carattere sacro per ebrei, cristiani e musulmani ed il suo universale valore religioso e culturale come tesoro per tutta l’umanità, gli interessi della Santa Sede in Terra Santa”. L’articolo dell’Osservatore descrive nel dettaglio i principali principi normativi che regolano i rapporti tra le autorità palestinesi e la Chiesa locale, salvaguardando di quest’ultima la libertà di esercizio del suo ministero spirituale, di autorganizzazione dei propri uffici ecclesiastici, di operare nei settori dell’educazione, del sociale e dell’assistenza, di godere di un preciso regime fiscale “ispirato a criteri funzionali di non imponibilità”.

“La Chiesa locale – sottolinea l’Osservatore Romano – ha mostrato di poter essere efficace protagonista fornendo un leale contributo non solo per il consolidamento della realtà ecclesiale, ma per l’immagine della Palestina, come pure di tutta la Terra Santa”. Un’attitudine, conclude, “che conferma quanto auspicato in modo chiaro da Papa Francesco nel corso del suo viaggio in quei luoghi: ‘I cristiani intendono continuare a svolgere questo loro ruolo come cittadini a pieno diritto, insieme con gli altri concittadini considerati come fratelli. Cittadini a pieno diritto, dunque, che sono ‘chiamati ad essere artefici di pace, di riconciliazione e di sviluppo, promotori del dialogo, costruttori di ponti, secondo lo spirito delle Beatitudini…, a proclamare il vangelo della pace, aperti alla collaborazione con tutte le autorità nazionali e internazionali’”.

A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana

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