R. – E’ il terzo di una serie di incontri che ha dato luogo al cosiddetto “Spirito di Baku” per favorire il dialogo tra le culture in un’area che è particolarmente delicata. Naturalmente in collaborazione con le Nazioni Unite e con diverse iniziative di dialogo internazionale. L’oggetto di questi forum internazionali è molto vicino alla sensibilità del Pontificio Consiglio della Cultura: l’idea cioè che la cultura sia un luogo di incontro, una piattaforma di dialogo, in cui è possibile incontrarsi. Se su questioni dogmatiche, a volte, è difficile un dialogo sereno, sul terreno della cultura è invece possibile un incontro. Pensiamo ai grandi linguaggi universali, che sono fenomeni culturali, in cui i popoli si possono capire: quindi la musica, lo sport, la scienza e anche la bellezza sono trasversali, sono linguaggi universali, che uniscono i popoli. Ma possono anche dividere ed essere causa di divisione: e questo lo sappiamo…
D. – Qual è la posizione della Santa Sede in questo Forum?
R. – La delegazione della Santa Sede ribadisce alcuni punti fermi: prima di tutto che le culture non possono mai essere isolate, perché un conto è la difesa dell’identità nazionale, un altro è invece isolare la cultura e cercare di prevenire ogni contatto. Questo è un aspetto importante. In secondo luogo ricordare che al centro di ogni cultura e di ogni dialogo interculturale ci sono delle domande che sono profondamente religiose, perché sono le domande che riguardano il senso dell’esistenza, il senso del mondo, l’origine e il destino dell’universo, e la domanda sulla sofferenza e sul male, che sono domande religiose. Pertanto non è possibile separare il dialogo interculturale dal dialogo interreligioso. In terzo luogo bisogna ricordare ai governi che il dialogo interreligioso, che è urgente in questi tempi di attentati alla libertà religiosa in molti luoghi del mondo, deve essere condotto dai credenti e non dai governi, i quali non si devono sostituire ai singoli credenti. Ma ricordare anche quello che Papa Francesco ha detto molte volte, che “uccidere nel nome di Dio è una bestemmia”. E questo va denunciato sempre e soprattutto dalle persone religiose. E’ necessario ricordare anche, senza ipocrisia, che la libertà di espressione ha sempre un limite, come riconoscono tutti gli ordinamenti civili: il diritto alla libertà di espressione non concede il diritto di dire qualsiasi cosa di qualsiasi persona. Pertanto anche i sentimenti religiosi delle persone vanno tutelati di fronte agli eccessi e alla bestemmia pubblica e alla ridicolizzazione in alcuni Paesi.
A cura di Redazione Papaboys fonte Radio Vaticana
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