“Ho tolto la maschera all’amore e ho trovato l’amicizia. D’ora in poi non ha più significato la parola solitudine”. Due frasi scritte a penna, nascoste tra le pieghe di un fazzoletto abbandonato su un tavolo al primo pranzo di Natale, raccontano l’emozione alla tavolata dei poveri imbandita come ogni anno dalla Comunità di Sant’Egidio nella chiesa di Santa Maria in Trastevere. Se 33 anni fa c’erano 45 clochard romani stretti in un angolo della Basilica di Santa Maria in Trastevere, oggi il numero degli indigenti è cresciuto: quest’anno erano 500. Di conseguenza si è allargato il gruppo dei volontari. “Perché nella nostra famiglia – spiega il parroco don Marco Gnavi – ci si confonde tra chi aiuta e chi è aiutato. Ciò che conta è l’abbraccio che si crea”. Sotto il soffitto intarsiato dal Domenichino le storie dei migranti si intrecciano a quelle degli italiani in difficoltà. “Sono sempre di più – conferma il fondatore della comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi – l’unica ricetta per risalire la china è trovare una nuova maniera di affrontare la povertà, uscendo dall’ottica emergenziale”. Ne è convinto anche il sindaco Ignazio Marino. “Nella nostra città – afferma – la forbice tra una minoranza sempre più ricca e la maggioranza degli abitanti delle periferie, che invece sta sempre peggio, si sta allargando vertiginosamente. Il mio impegno è diretto soprattutto a questi ultimi, affinché nessuno resti indietro “.E sulla Capitale aggiunge: “Dopo aver messo in ordine i conti, insieme al ministro Padoan, a Graziano Delrio e al premier Renzi, mi auguro che nel 2015 la città possa ripartire”.
Eppure basta pochissimo per finire in mezzo a una strada. Lo raccontano gli sguardi preoccupati degli ospiti, ancor prima che le loro parole cariche di speranza. “Almeno quella non può sottrarcela nessuno – esclama con un sorriso Giovanni, un carpentiere 49enne, clochard da un anno – . Lavoravo in un alto forno di Bologna poi nell’ottobre del 2013 la ditta ha dichiarato il fallimento e ci ha mandati tutti a casa, salvo riaprire con un altro nome il mese successivo. Al posto nostro però, hanno assunto degli operai stranieri: guadagnano meno e non pretendono diritti”. Con i soldi della liquidazione Giovanni ha estinto il muto di casa, ha mantenuto finché poteva la moglie (dalla quale si è separato) e i due bimbi di sei e otto anni. “Ad agosto ho preso il treno e sono venuto a Roma in cerca di lavoro – dice ancora – ma non trovato più di qualche giornata in nero come manovale, così mi sono ridotto a dormire sul pavimento freddo della stazione Termini. La mia famiglia non sa nulla, quando lavoro spedisco i soldi a casa”. Giovanni da poco ha trovato un posto letto fino a marzo in una struttura per l’emergenza freddo. “Grazie ai volontari di Sant’Egidio”, precisa.
La Comunità quest’anno ha organizzato 220 pranzi in 60 città italiane, offrendo un po’ di calore a oltre 160mila poveri in tutto il mondo. Una piccola rappresentanza di questi, oggi era seduta intorno ai tavoli nella Basilica di Trastevere. “Guardate – indica l’attore Flavio Insinna, che come ogni anno ha servito il menu a base di lasagne, cotechino con lenticchie, purè di patate e panettone – al tavolo che ho servito io sono rappresentate 12 etnie diverse. Il mondo dovrebbe essere così e non si capisce perché tutto questo non si riesca a realizzare”. Carlos Castañeda annuisce mentre scarta apre il pacco regalo personalizzato. Stringe tra le mani la sua nuova sciarpa color cammello mentre racconta gli sforzi compiuti 10 anni fa, quando lasciò il Peru e decise di ricostruirsi una nuova vita in Italia. Cinque anni fa ha perso il lavoro come aiuto cuoco e anche la casa, ma non l’affetto della sua famiglia, che è al corrente delle difficoltà che vive e per quello che può, prova ad aiutarlo.
“Ma se i soldi che avevi messo da parte con tanti sacrifici invece te li giochi a carte, allora, quando cadi non puoi lamentarti – fa autocritica Carmine, un vecchio Trasteverino di 74 anni – ho lavorato tutta la vita al mattatoio di Roma, ho mantenuto una famiglia e cresciuto i figli, ma i soldi in più me li giocavo tutti. Oggi con 600 euro al mese di pensione non si vive. Ma che vuoi, ho sbagliato e ora non posso lamentarmi”. Oggi Carmine vive in un residence per l’emergenza abitativa, per anni ha dormito in macchina dietro Santa Maria in Trastevere. “La mia famiglia non ha mai saputo nulla – ammette, ed è meglio così. Non voglio far preoccupare nessuno”. di Luca Monaco per Repubblica Roma
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