Cavaliere di S. Giovanni
Parecchi Canefri si incontrarono a patrocinare come testimoni o come giudici a decidere le liti in favore dei Cistercensi del Tiglieto: un monaco Dominus Canefrus fu Priore ed amministratore del vastissimo patrimonio del monastero; lo stesso Arnoldo padre del Santo, lasciò un legato al medesimo.
E’ facilmente credibile che il giovane S. Ugo abbia preso imbarco a Genova, dov’erano i Fieschi parenti di sua madre, con gli altri crociati alessandrini, col Marchese Corrado del Monferrato, con il console vercellese Guala Bicchieri che comandò le truppe italiane sotto Acri e morì templare, e con le numerose milizie francesi sotto il comando di Filippo Augusto.
Non sappiamo se il Santo abbia preso parte a qualche fatto d’armi, solo è noto che egli come nobile di nascita entrò fra i Cavalieri di S. Giovanni, mosso forse dalla vista di qualche disordine morale fra i suoi compagni d’arme e dalle lacrimevoli discordie dei capi, da cui seguì l’esito poco fortunato di questa e di altre crociate.
Gli ordini religiosi militari, incarnavano più perfettamente il pensiero della Chiesa e lo attuavano con maggior fermezza e costanza ponendo la spada in difesa della Cristianità in mano a quei nobili Cavalieri che avevano rinunciato a tutto servendo Dio in guerra ed in pace o, secondo la frase di S. Bernardo «più mansueti degli agnelli, e più coraggiosi dei leoni». Infatti la preghiera e l’assistenza agli infermi, che essi chiamavano «nostri signori» era la principale occupazione loro in tempo di pace; “ma al primo squillo di guerra impugnavano la spada e correvano impavidi alla pugna da non parere più quei dolci ed amabili confortatori dei poveri infermi”.
Reduce dalla Terza Crociata in cui si distinse per la sua dedizione alla Croce, S. Ugo fu destinato a Genova.
Una biografia
«S. Ugone era di corpo piccolo e magro; vestiva pelli, portava sopra le nude carni il cilizio, e dormiva sopra una tavola, abbasso all’ospedale, in quella parte che guardava la marina. In questi ed altri esercizi si occupava egli servendo a’ poveri con carità grandissima, dando egli con amor grande le cose necessarie, e talora anche con profondissima umiltà lavando loro i piedi con le proprie mani, e andava a seppellire i morti. Era Frate dello Spedale di Genova, portando la croce esteriormente nel petto, come interiormente l’aveva scolpita nel cuore. Cingevasi una cintura di ferro sulle carni; digiunava tutto l’anno in cibi quadragesimali, e per trattare più aspramente il corpo suo, non mangiava cosa alcuna cotta, in quaresima.
«Quando diceva l’uffizio, mostrava gran fervore; e quando stava a udire la Messa, fu più volte sollevato da terra, in modo tale che mentre era ancor vivo era onorato da tutti e universalmente tenuto per Santo».
Passa poi il Bosio a narrare i miracoli operati dal Santo in vita e dopo morte e cioè la fonte prodigiosamente scaturita dalla roccia per un segno di croce di S. Ugo, e la nave pericolante salvata dalla burrasca, e la liberazione di un indemoniato, e l’acqua mutata in vino ed altri, tutti ricevuti sotto giuramento dall’Arc. Ottone e molti altri riferiti dallo storico Bosio.
Proprio sotto il bastione dell’Acquaverde, munito di fortificazioni, per respingere le scorrerie nemiche, si affondava il fossato di Bregarà, e poichè era luogo tranquillo ed ombroso Sant’Ugo lo aveva scelto per romitorio. Una grotta scavata in un grosso scoglio che sosteneva un angolo del muraglione offriva alle meditazioni del Santo un silenzioso raccoglimento, e il torrentello che scendeva da Oregina modulava un’orchestrazione lenta a quella immensa quiete. Cosi il Santo pregava, e solo a tratti, il vento recava fino a lui, il lamento delle lavandaie, che poco più giù sciacquavano i panni dei malati dell’Ospedale a della Commenda, dove lui era Governatore, e si accapigliavano perchè l’acqua era poca ed ognuna l’avrebbe voluta tutta per se.
E un giorno che lo incontrarono, glielo dissero. Non avevano paura le donne del Governatore, che, già, preferiva fare l’infermiere che stare a badare alle carte degli ospiti e la cui carità era tanta che una certa voce di santità era già corsa in giro e persino nelle campagne della Polcevera e del Bisagno la gente del contado sussurrava il suo nome con venerazione.
Questa fama s’era anche aumentata un giorno di mareggiata furiosa, che le donne si facevano il segno della croce, pensando ai marinai lontani in mezzo alle onde, e i cavalloni buttandosi contro le torri di San Tomaso pareva volessero addirittura sradicarle. E c’era, un poco al largo, un veliero disalberato che il vento precipitava contro gli scogli e le ondate spazzavano da poppa a prua, mentre i naviganti rifugiati sul cassero avevano intonato le preghiere della buona morte. D’un tratto sul torrione del molo era apparso il piccolo Cavaliere, aveva disteso le mani sul mare, come a benedirlo ed immediatamente la sarabanda della risacca si era quetata, l’acqua era ridiventata tranquilla il veliero aveva potuto approdare, fra l’entusiasmo dei pescatori subito accorsi in gran numero e le lagrime delle donne meravigliate e commosse.
Quando dunque il Governatore accolse le lamentele delle lavandaie, non frappose tempo, ma si ritirò in preghiera e quindi, scelto un grosso sasso, si inginocchiò, facendosi il segno della croce, e subito per una fessura una sorgente scaturì fresca e violenta e bastò non solo per lavare i panni, ma anche per tutte le necessità degli abitanti del borgo.
Come restassero le brave donne per il nuovo prodigio gli storici non raccontano, ma alcuni secoli dopo, documenti diretti testimoniano che le acque continuavano a scorrere vivissime e limpidissime, grate al gusto e salutari per molte infermità. L’Appennino brullo secco e sassoso non aveva potuto resistere alla preghiera del Santo.
Quantunque qualche storico abbia cercato di provare che S. Ugo ha avuto i natali nella stessa nostra città, o nella vicina borgata di Recco, ed altri scrittori perfino lo abbiano fatto nascere in Francia, resta oramai chiarito che il nostro santo eroe nacque in Alessandria dal nobile Arnoldo Canefri e da Valentina Fieschi, contemporaneamente alla fondazione della città avvenuta per impulso della vittoriosa «Lega Lombarda» come baluardo contro le prepotenti mire dell’Imperatore di Germania Federico Barbarossa, il quale pretendeva togliere a tutta l’Italia le sue libertà nazionali.
La nascita di S. Ugo risale quindi approssimativamente all’anno 1168, epoca in cui sono state gettate le fondamenta della nascente Città contrastante l’invasione straniera, che ad onore ed in riconoscenza al grande Pontefice Alessandro III indomito Capo morale e sostenitore della Lega, ebbe in un primo tempo il nome di «Alexandria Statiellorum» colla aggiunta, di quest’ultima indicazione per ricordare i popoli Stazielli recatisi in tempi remotissimi dalla Liguria ad abitare in quella parte del Piemonte ove venne poi edificata la nuova città, e che contribuirono a popolarla con numerose Famiglie immigratevi dai paesi vicini, ed in modo speciale da Gamondio, chiamato poi nel secolo XIV Castellazzo Bormida, primitiva residenza della nobile famiglia Canefri.
Ben si può affermare con tutta certezza che Sant’Ugo fu il primo fiore di Alessandria, che ci ricorda, col giuramento di Pontida e la vittoria di Legnano, una delle più belle pagine dell’Italia medioevale, ed indubbiamente gli edificanti e gloriosi avvenimenti di cui fu feconda la nascente città, influirono decisivamente sulla educazione e gli ispirarono quel genio guerriero in difesa della cattolica fede, disposto all’eroica pratica di religiose virtù, che lo resero santo in vita e dopo morte, nonchè una delle più fulgide glorie della patria nostra.
Fonte Diocesi di Alessandria
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