Terra Sancta et Oriens

Il santo per i cui miracoli accorrono anche gli islamici

Il 14 settembre, nel giorno dell’Esaltazione della Santa Croce, è stata inaugurata e benedetta in Libano una monumentale statua di san Charbel Makhluf (1828-1898), alta 27 metri e pesante 40 tonnellate, con al suo interno un frammento d’osso del santo. Una figura straordinaria che è opportuno approfondire.

Quinto figlio in una famiglia di contadini, che lo chiamarono Youssef Antoun (Giuseppe Antonino), rimase orfano di padre ad appena tre anni. La madre si risposò due anni dopo con un uomo di grande religiosità che lo indirizzò alla preghiera quotidiana. Da ragazzino iniziò a occuparsi del gregge e manifestò l’inclinazione alla vita contemplativa. Come riferisce la giornalista Patrizia Cattaneo, autrice di alcuni libri sul santo, alla sua mucca diceva: “Aspetta che finisca di pregare, perché non posso parlare con te e con Dio allo stesso tempo. Lui ha la precedenza”. A ventidue anni fuggì di casa e cominciò il noviziato nell’Ordine libanese maronita, il più antico della Chiesa cattolica di rito maronita, scegliendo in onore di un martire antiocheno il nome di Charbel, che significa “storia di Dio”.
Studiò filosofia e teologia sotto la guida erudita di Nimatullah Youssef Kassab, anche lui canonizzato, e fu ordinato sacerdote nel 1859. Tornò allora nel monastero di San Marone ad Annaya, dove tempo prima aveva emesso i voti perpetui, e visse in totale obbedienza ai superiori. La sua quotidianità era fuori dall’ordinario. Digiunava e vegliava incessantemente, stando per ore inginocchiato davanti al Santissimo. La Messa era il cuore della sua giornata e vi si preparava con grande cura, mentre dal monastero usciva solo su ordine dei superiori per visitare i malati o amministrare i sacramenti. Poiché sentiva il bisogno di un maggiore raccoglimento con Dio, nel 1875 chiese il permesso di ritirarsi in un eremo appartenente al monastero. Là trascorse gli ultimi 24 anni della sua vita terrena, morendo in odore di santità alla vigilia di Natale del 1898, dopo otto giorni di agonia conseguenti a un ictus che lo colse mentre sollevava l’ostia e il calice consacrati.
UN LIQUIDO MIRACOLOSO
Dalla fossa in cui fu sepolto iniziò presto a comparire di notte una luce intensissima, visibile in tutta la vallata, che richiamò una moltitudine di persone. Anche per il timore che la sua salma potesse essere trafugata, i monaci decisero di trasferirla in una cappella all’interno del monastero e fu allora che si constatò che il corpo era ancora incorrotto: da esso trasudava un liquido rossastro, che aveva proprietà miracolose e continuò a uscire per 79 anni, fino al 1977, quando Charbel fu proclamato santo. Il medico Georges Chokrallah, tra i testimoni al processo di beatificazione, disse: “Spinto da curiosità scientifica, ho cercato di scoprire il segreto di quel corpo e di quel liquido. Dopo averli esaminati per circa 17 anni, due o tre volte l’anno, la mia opinione personale, basata sullo studio e sull’esperienza, è che fossero imbevuti di una misteriosa forza soprannaturale”.
PELLEGRINI DI VARIE RELIGIONI
Un aumento singolare dei casi di guarigione si verificò alla riapertura della bara davanti a una commissione di tre medici nel 1950, in pieno Anno Santo, che attirò pellegrini non solo cristiani. “Mi hanno citato dei casi di ciechi guariti, di gobbi raddrizzati, di paralitici che recuperano l’uso delle membra venendo a pregare nella cripta e stropicciando la parete della tomba. Cosa ancora più notevole: i miracolati non sono solo cristiani ma anche musulmani. E per questo è corsa la voce in tutto l’Islam e i malati accorrono da tutte le parti per pregare ad Annaya. Sono stato io stesso sulla montagna di Djebail. Lo spettacolo è straordinario”, scrisse all’epoca monsignor Nasri Rizcallah, riferendo di varie conversioni che si accompagnavano alle guarigioni fisiche.
LA GUARIGIONE INSPIEGABILE DI UNA CIECA
Tra i miracoli più recenti, c’è la guarigione improvvisa di Dafné Gutierrez, una ispano-americana madre di tre figli, divenuta completamente cieca nel 2015, a poco meno di trent’anni, in conseguenza della sindrome di Arnold-Chiari che le era stata diagnosticata da adolescente. Sabato 16 gennaio 2016, su consiglio di amici, entrò nella chiesa di San Giuseppe a Phoenix (dove è presente una comunità di maroniti), in cui era temporaneamente custodita una reliquia di san Charbel. Il parroco le posò una mano sulla testa e poi sugli occhi, chiedendo a Dio di guarirla con l’intercessione del santo libanese. Il giorno dopo Dafné e la sua famiglia parteciparono alla Messa. Il mattino successivo, la donna si svegliò con un forte prurito agli occhi e una pressione sulla testa: “Posso vederti con tutti e due gli occhi”, gridò al marito. “Dio ha guarito mamma!”, iniziarono a esclamare i suoi figli. La guarigione, inspiegabile per la scienza, fu confermata da un esame oftalmico e da cinque medici che visitarono la donna nel giro di pochi giorni.




“MOLTI SI SONO ALLONTANATI DA DIO E DALLA CHIESA”
Ma il prodigio forse più noto attribuito a san Charbel si verificò nel 1993, in Libano. Nohad Al-Chami, donna di grande fede e madre di 12 figli, il 9 gennaio fu colpita da paralisi alla mano, alla gamba destra e alla lingua. Gli esami degli specialisti accertarono che soffriva di arteriosclerosi della carotide, con interessamento dell’80% del lato sinistro e del 70% di quello destro, e le fu detto che era inguaribile. Il primogenito andò allora al monastero di Annaya, portandole dell’olio benedetto e un po’ di terra che una figlia le frizionò sulle parti malate. Il 22 gennaio la donna sentì un dolore alla testa e alla parte destra del corpo e pregò la Madonna e san Charbel: “Fate come volete, accetto tutto”.
Addormentatasi, Nohad racconta di aver sognato due monaci, preceduti da un raggio di luce, che si avvicinarono al suo letto. Uno di loro le disse: “Sono padre Charbel e ti opererò io stesso”. Dopo essersi girata verso la statua della Madonna e aver chiesto la sua intercessione, Nohad afferma di aver visto la Vergine davanti a sé mentre sentiva un dolore terribile per le dita del santo che le premevano il collo. L’altro monaco, che poi identificò in san Marone, la aiutò a sedersi alla fine dell’operazione. La donna si risvegliò alle due del mattino, seduta nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata il secondo monaco. La mano e la gamba destra non erano più paralizzate e poteva parlare normalmente. Allo specchio vide due ferite sul collo, una a destra e una sinistra, di una dozzina di centimetri.
La notizia del miracolo si diffuse rapidamente, tanto che un sacerdote e un medico le consigliarono di andare qualche giorno a casa di uno dei suoi figli per riposarsi. Ma san Charbel le apparve nuovamente in sogno, per ammonirla e spiegarle che le sue cicatrici servivano a rendere testimonianza al Regno dei cieli: “Ti ho ferito con la potenza di Dio, affinché gli altri ti vedano, perché molti si sono allontanati da Dio, dalla preghiera e dalla Chiesa”. Aggiunse il santo: “Le tue ferite sanguineranno il primo venerdì e il 22 di ogni mese. Ti chiedo di visitare l’eremo il 22 di ogni mese e di partecipare alla Messa per tutta la vita”. Da allora migliaia di pellegrini hanno partecipato ogni mese all’evento, constatando le cicatrici sanguinanti della donna, segno visibile della potenza di Dio che ha già generato innumerevoli conversioni.




Fonte lanuovabq.it

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