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Sapete dove Papa Francesco ha risposto a tanti dubbi? Nel bellissimo dialogo con i Gesuiti in Colombia

La Civiltà Cattolica ha pubblicato il dialogo di Papa Francesco con i Gesuiti il 10 settembre scorsa a Cartagena durante il suo viaggio apostolico in Colombia. Un incontro familiare, molto spontaneo, con domande e risposte.
Il primo argomento affrontato è stato quello del concetto di “popolo di Dio”.

Purtroppo, a volte – ha detto il Papa – noi abbiamo la tentazione di fare evangelizzazione per il popolo, verso il popolo, ma senza il popolo di Dio: “Tutto per il popolo, ma niente con il popolo. Questo atteggiamento, in ultima istanza, risale a una concezione liberale e illuminista dell’evangelizzazione. E certo, il primo schiaffo a questa visione lo dà la Lumen gentium: la Chiesa è il santo popolo di Dio. Per questo, se vogliamo sentire la Chiesa, dobbiamo sentire il popolo di Dio. Popolo… Oggi bisogna fare attenzione quando si parla di popolo! Perché qualcuno dirà: «Finirete per diventare populisti», e si cominceranno a fare elucubrazioni. Ma bisogna capire che quella di «popolo» non è una categoria logica. Se si vuole parlare di popolo con schemi logici si finisce per cadere in un’ideologia di carattere illuminista e liberale oppure «populista», appunto…, comunque si finisce per chiudere il popolo in uno schema ideologico. Popolo invece è una categoria mitica. E per comprendere il popolo bisogna starci immersi, bisogna accompagnarlo dall’interno”.
Il Papa ha quindi precisato: “Essere Chiesa, santo popolo fedele di Dio in cammino, richiede pastori che si lascino portare da quella realtà del popolo che non è ideologica: è vitale, è viva. La grazia di Dio che si manifesta nella vita del popolo non è una ideologia. Di certo ci sono tanti teologi che potrebbero spiegare molte cose importanti da conoscere sul tema. Ma io voglio dire che la grazia non è affatto una ideologia: è un abbraccio, è qualcosa di più grande. Quando passo da luoghi come questo di Cartagena in cui la gente si esprime liberamente, mi rendo conto che si esprime come popolo di Dio. Certo, è vero che alcuni affermano che il popolo è superstizioso. Allora consiglio di andare a leggere Paolo VI, che nel n. 48 dell’Evangelii nuntiandi metteva in evidenza i rischi, ma anche molte virtù del popolo. Lui diceva che la religiosità popolare è, sì, aperta alla penetrazione di superstizioni. Ma diceva anche che, se è ben orientata, è ricca di valori e manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere. Il popolo di Dio ha olfatto. Magari a volte non riesce a esprimersi bene, a volte pure sbaglia… Ma c’è qualcuno di noi che può dire: «Ti ringrazio, Signore, perché non mi sono mai sbagliato»? No. Il popolo di Dio ha olfatto. E a volte il nostro compito di pastori consiste nel metterci dietro al popolo. Il pastore deve assumere tutti e tre gli atteggiamenti: avanti, a segnare la strada; in mezzo, per conoscerlo; e dietro, perché nessuno resti indietro e per lasciare che sia il gregge a cercare la strada… e le pecore annusano il pastore buono. Il pastore deve muoversi continuamente con questi tre atteggiamenti”.
Ad una domanda sulla pastorale giovanile ha risposto che i giovani vanno messi in movimento, in azione: “Oggi la pastorale giovanile dei gruppetti e della pura riflessione non funziona più. La pastorale di giovani quieti non ingrana. Devi mettere il giovane in movimento: sia o non sia praticante, va messo in movimento. Se è credente, guidarlo ti riuscirà più facile. Se non è credente, bisogna lasciare che sia la vita stessa a interpellarlo, ma stando in movimento e accompagnandolo; senza imporgli niente, ma accompagnandolo… in attività di volontariato, in lavori con anziani, in lavori di alfabetizzazione… tutti i modi adatti a un giovane. Se mettiamo il giovane in movimento, lo poniamo in una dinamica in cui il Signore comincia a parlargli e comincia a smuovergli il cuore. Non saremo noi a smuovergli il cuore con le nostre argomentazioni; tutt’al più lo aiuteremo, con la mente, quando il cuore si muove”.
Parlando della riflessione filosofica e teologica nella Chiesa, ha auspicato che non sia una riflessione di laboratorio: “Infatti, abbiamo visto che danno ha finito col fare la grande e brillante scolastica di Tommaso quando è andata decadendo, decadendo, decadendo…: è diventata una scolastica da manuale, senza vita, mera idea, e si è tradotta in una proposta pastorale casuistica. Almeno, ai nostri tempi siamo stati formati in questa linea (… ) Dunque: la filosofia non in laboratorio, ma nella vita, nel dialogo col reale (…) Benedetto XVI parlava della verità come incontro, ovvero non più una classificazione, ma una strada. Sempre in dialogo con la realtà, perché non si può fare filosofia con la tavola logaritmica, che peraltro è ormai in disuso. E lo stesso vale anche per la teologia, ma questo non vuol dire «imbastardire» la teologia, al contrario. La teologia di Gesù era la cosa più reale di tutte, partiva dalla realtà e si innalzava fino al Padre. Partiva da un semino, da una parabola, da un fatto… e li spiegava. Gesù voleva fare una teologia profonda, e la realtà grande è il Signore. A me piace ripetere che per essere un buon teologo, oltre a studiare, bisogna avere dedizione, essere svegli e cogliere la realtà; su tutto questo bisogna riflettere in ginocchio. Un uomo che non prega, una donna che non prega, non può essere teologo o teologa. Sarà il volume del Denzinger fatto persona, saprà tutte le dottrine esistenti o possibili, ma non farà teologia. Sarà un compendio, un manuale dove c’è tutto. Ma oggi la questione è come esprimi Dio tu, come esprimi chi è Dio, come si manifestano lo Spirito, le piaghe di Cristo, il mistero di Cristo”.




Infine il Papa ha parlato della sua Esortazione Amoris laetitia: “Sento molti commenti – rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati – sull’Esortazione apostolica post-sinodale. Per capire l’Amoris laetitia bisogna leggerla da cima a fondo. A cominciare dal primo capitolo, per continuare col secondo e così via… e riflettere. E leggere che cosa si è detto nel Sinodo. Una seconda cosa: alcuni sostengono che sotto l’Amoris laetitia non c’è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura. Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale dell’ Amoris laetitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi, il cardinal Schönborn. Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. Ma in ginocchio, sempre in ginocchio”.




Fonte it.radiovaticana.va

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