è molto nota ma difficoltosa quando se ne vuole delineare un profilo che soddisfi lo storico e il devoto, perché le testimonianze letterarie sono più tardive rispetto a quelle iconografiche. A ciò bisogna aggiungere che la sua devozione ha provocato attorno a sé molta simbologia riguardante la vita umana, in particolare i simboli della spina sulla fronte e della rosa. L’una e l’altra insieme assommano simbolicamente il vissuto esistenziale di tante persone, costellato da ferite a guisa di spine che l’accompagnano, ma anche dalla speranza di poterle risanare rappresentata dal petalo della rosa fiorita. Tale fenomeno d’insieme, coagulatosi nella santa di Cascia, da una parte spinge il devoto a recarsi davanti alla sua urna, dall’altra spinge lo studioso e il sociologo religioso a rendere in qualche modo ragione della sua devozione attestata in tutto il mondo. Ad essa infatti ricorre gente afflitta da molti problemi, soprattutto familiari. Un sondaggio di Datamedia su i santi e la religiosità degli italiani, indica santa Rita invocata al secondo posto dopo sant’Antonio di Padova.
La letteratura su santa Rita dal canto suo la presenta come “una rosa che non appassisce mai”, “la santa dei casi impossibili”, costellata “più da spine che da rose”, come “la storia d’amore e di sangue, di vendetta e di perdono”, “l’esempio di santa Rita”. I profili biografici dell’Enciclopedia Treccani la qualificano come “la mistica agostiniana”.
Rita, beatificata da Urbano VII nel 1627, canonizzata da Leone XIII il 20 maggio 1900, nell’anno 2000 è entrata far parte del calendario universale dei santi della Chiesa cattolica.
Rita visse negli anni 1381-1447/1457, nella cittadina di Cascia allora repubblica di circa sedicimila abitanti che rappresentava, per la sua situazione geografica, una convergenza commerciale e culturale di centri importanti, quali Firenze, Roma e Napoli. Le radici spirituali di santa Rita vanno cercate nella teologia affettiva o theologia cordis medievale di tradizione agostiniana che, con il primato del cuore, portava al desiderio dell’imitazione dell’umanità di Cristo Salvatore in tutto il proprio essere. Entro tale devozione, comune nel basso Medioevo, vanno capiti Francesco d’Assisi, Angela da Foligno, come altri santi stigmatizzati, quali, ad esempio, le agostiniane Chiara da Montefalco e la nostra Rita da Cascia. Bernardino da Siena, coetaneo di Rita (era nato appena un anno prima, nel 1380), aveva reso estremamente popolare tale devozione con il trigramma IHS (Gesù o Iesus hominum Salvator), che ancora campeggia come fregio prezioso sul palazzo municipale di Siena a piazza del Campo. Quel trigramma deve essere stato caro a quelli di Cascia (lo si trova ancora su tanti portali) in particolare a Rita, dato che l’anonimo pittore del suo sarcofago amò disegnarvelo sopra ben tre volte, alternandolo con quello di KPISTOS, a testimonianza della polemica allora in corso tra i teologi devoti dell’umanità di Cristo e quelli della sua divinità.
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Alla predicazione del francescano Giovanni della Marca, cui viene collegata la stigmatizzazione della spina sulla fronte di santa Rita, va aggiunto l’apporto teologico spirituale dell’agostiniano di Cascia, Simone Fidati (1295-1348), le cui spoglie mortali riposano nella basilica inferiore di santa Rita, assieme al miracolo eucaristico di cui fu confidente (un sacerdote portò a lui, impregnata di sangue, la pagina di un breviario che nascondeva un’ostia consacrata). Egli fu fondatore e padre spirituale di molti monasteri femminili e inoltre, con la sua opera De gestis Domini Salvatoris (Le azioni del Signore Salvatore), fece della devozione all’umanità di Cristo una chiave di lettura delle sacre Scritture e una categoria per far teologia, che allora si faceva con le categorie di Aristotele.
Rita (forse abbreviativo di Margherita), nata a Roccaporena, frazione di Cascia, all’età di diciotto anni andò sposa ad un giovane locale di nome Ferdinando Mancini, dal quale ebbe due figli. Rita non ne fu entusiasta, perché altre erano le sue aspirazioni, ma in quell’epoca il matrimonio non era tanto stabilito dalla scelta dei fidanzati, quando dagli interessi delle famiglie, pertanto ella dovette cedere alle insistenze dei genitori e andò sposa a quel giovane ufficiale che comandava la guarnigione di Collegiacone, del quale “fu vittima e moglie”, come fu poi detto. Da lui sopportò con pazienza ogni maltrattamento, senza mai lamentarsi, chiedendogli con ubbidienza perfino il permesso di andare in chiesa. Con la nascita di due gemelli e la sua perseveranza di rispondere con la dolcezza alla violenza, riuscì a trasformare con il tempo il carattere del marito e renderlo più docile; fu un cambiamento che fece gioire tutta Roccaporena, che per anni ne aveva dovuto subire le angherie. Lui morì di morte violenta: gli venne teso un agguato vicino al mulino di loro proprietà presso il castello di Collegiacone, a metà strada tra Cascia e Roccaporena (in loco esistono ancora dei ruderi). Si trattò di un assassinio forse dovuto alle lotte politiche del tempo, ma molto più probabilmente per ritorsione verso di lui, perché convinto dalla moglie a tirarsi fuori da qualche clan cui aveva aderito.
Il prezzo pagato, per lui come per la famiglia, fu altissimo. La faida familiare locale, già con i figli che volevano vendicare l’assassinio del padre, tentò quell’escalation che non ha altre vie di uscita se non quella di altre morti. I figli morirono, forse di peste, prima che ciò accadesse, e Rita, rimasta sola, chiese di entrare nel monastero delle monache agostiniane di Santa Maria Maddalena in Cascia. Non fu facile assecondare il suo desiderio perché molto probabilmente dentro il monastero vi erano monache congiunte degli assassini del marito e non venne accettata. Rita tuttavia bussò ancora alla porta del monastero e, di fronte alle sue reiterate insistenze, le venne chiesto, come condizione per entrarvi, di prima riappacificare la sua famiglia con quelle degli assassini del marito. Da quel momento iniziò per lei un nuovo cammino di comprensione della strada della croce del Signore. Lei dovette avvicinare gli assassini del marito, cercarli e incontrarli per un reciproco perdonarsi.
Il 27 giugno 2010 nelle vicinanze della città di Santa Cruz, in Brasile, è stata inaugurata la statua religiosa cattolica più grande al mondo; è dedicata alla santa umbra Rita da Cascia. È alta 56 metri, 18 in più del Cristo redentore del Corcovado di Rio de Janeiro, che in precedenza deteneva il record d’altezza
Il 27 giugno 2010 nelle vicinanze della città di Santa Cruz, in Brasile, è stata inaugurata la statua religiosa cattolica più grande al mondo; è dedicata alla santa umbra Rita da Cascia. È alta 56 metri, 18 in più del Cristo redentore del Corcovado di Rio de Janeiro, che in precedenza deteneva il record d’altezza
Era la strada della pace che, aprendosi, chiudeva quella dell’assassinio e Rita la imboccò, divenendo nella storia delle famiglie una donna simbolo, capace di pace, disposta anche a pagarne il prezzo. La capacità di paciera l’aveva imparata certamente dalla sua famiglia Lotti-Mancini. Suo padre era infatti paciere (il nostro giudice di pace). La sua casa era visitata continuamente, e spesso di notte, da gente che chiedeva giustizia ma anche pace familiare e di vicinato, evitando di spargere sangue. L’ansia della pace segnò per sempre la vita della giovane Rita. L’iconografia l’ha immortalata in tanti miracoli di pace grazie alla sua intercessione, in particolare negli ex voto.
Il primo miracolo riguardò lei stessa: entrò a porte chiuse nella chiesa del monastero delle monache agostiniane di Santa Maria Maddalena, aiutata – racconta l’iconografia – dai suoi tre santi protettori, sant’Agostino, san Giovanni Battista e san Nicola da Tolentino. Quando al mattino presto le monache, come di solito, si recarono in coro per l’ufficiatura divina, trovarono Rita in preghiera dentro la chiesa. Davanti a quel miracolo le monache che più si opponevano si arresero. Nel monastero, il suo animo si aprì alla partecipazione del vissuto di Cristo Salvatore, del suo dolore, sino a riceverne una spina che portò per quindici anni (da ciò è nata la devozione dei quindici giovedì di santa Rita).
Rita morì nel 1457. Alcuni studiosi tentano di spostarne la data dieci anni prima, vale a dire nel 1447, perché così si ha nella vita di santa Rita scritta dall’agostiniano Agostino Cavallucci da Foligno, pubblicata a Siena nel 1610. Egli dice infatti che Rita morì il 22 maggio del 1447 nel giorno di sabato, anche se quell’anno il 22 maggio ricorreva di lunedi. Dal punto di vista delle fonti letterarie non si possiede una biografia della santa prima di quella del Cavallucci, anche se abbiamo notizie di una precedente, scritta da Giovanni Giorgio Amici nel 1552. Di fatto la biografia del Cavallucci costituì la base delle susseguenti biografie ritiane.
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Rita, immortalata con la spina in mano nella celebre effigie dipinta sul suo sarcofago, è nell’atteggiamento di un maestro che chiede attenzione, anzi silenzio assoluto prima d’iniziare: lei conosce la scienza dell’imitazione di Gesù Salvatore e la trasmette ai suoi devoti. Sta in ciò l’essenza della devozione a santa Rita. Se la storia circa la conversione e l’uccisione del marito, come la morte dei figli, nasconde certamente un frammento delle violenze politiche e sociali del suo tempo, la sua azione di riappacificazione tra la sua famiglia e le altre che vi erano coinvolte, ha fatto di Rita da Cascia la santa dell’implorazione della pace familiare e di quella sociale. All’inizio del terzo millennio si è maturi al passaggio dalla devozione popolare alla santa di Cascia – spesso limitata alla gentile suggestione del rito della benedizione delle rose – alla devozione a Cristo Salvatore, fonte della riconciliazione con Dio e tra gli uomini, nella scia del vissuto di fede di Rita da Cascia.
I resti della santa sono conservati a Cascia (Perugia), all’interno della basilica di Santa Rita, facente parte dell’omonimo santuario e fatta erigere tra il 1937 e il 1947 meta ogni anno di migliaia di pellegrini. Il corpo è rivestito dall’abito agostiniano cucito dalle monache del monastero, come voluto dalla badessa Maria Teresa Fasce, e posto in una teca all’interno della cappella in stile neobizantino.
Ricognizioni mediche effettuate nel 1972 e nel 1997 hanno confermato la presenza, sulla zona frontale sinistra, di tracce di una lesione ossea aperta (forse osteomielite), mentre il piede destro mostra segni di una malattia sofferta negli ultimi anni di vita, forse associata ad una sciatalgia. Era alta 1 metro e 57 cm. Il viso, le mani e i piedi sono mummificati, il resto del corpo, coperto dall’abito agostiniano, è in forma di semplice scheletro.
Fonte www.famigliacristiana.it
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