Quando il primo biografo di S. Francesco, fra Tommaso da Celano, il 25 febbraio 1229, presentò a papa Gregorio IX la Vita beati Francisci, scrisse queste parole nell’epilogo: “Abbiamo narrato qualcuno dei miracoli del beatissimo padre nostro Francesco, e molti ne abbiamo omessi.” Di fatto, dopo la terza sezione della Vita, Celano aveva incluso il racconto di miracoli post mortem che si compirono per intercessione di Francesco, che facevano parte del processo di canonizzazione del santo.
Anche la Vita Beati Patris Nostri Francisci, meglio conosciuta come Vita Brevior, recentemente scoperta da Jacques Dalarun, ulteriore opera di Tommaso da Celano scritta durante il generalato di frate Elia (1232-1239), contiene una più ampia raccolta di miracoli. Di fatto, con l’accrescere della fama di santità di Francesco, aumentavano i prodigi avvenuti per sua intercessione. Non solo assistiamo ai miracoli compiuti post mortem, particolarmente sulla tomba del santo, vicino all’arca che conteneva le sue spoglie mortali nella chiesa di S. Giorgio, prima della traslazione alla nuova cripta (chiesa inferiore) della basilica di S. Francesco (25 maggio 1230), ma il Celanese riporta anche molti miracoli che Francesco avrebbe compiuto ancora in vita.
Il numero di fatti prodigiosi registrati aumentò a tal punto che, dopo la stesura del Memoriale in desiderio animae, opera conosciuta anche come Vita Secunda, nel 1246-1247, Celano fu pregato con insistenza dal Ministro generale frate Giovanni Buralli da Parma, di redigere un Tractatus Miraculorum, dedicato interamente a miracoli accaduti per intercessione di S. Francesco, presentato nel 1253 al Capitolo generale di Metz. Con questa raccolta ampia di miracoli arriviamo al culmine dell’elemento prodigioso nella letteratura agiografica sanfrancescana che ha per autore Tommaso da Celano.
Lo scopo del Celanese nel raccontare i miracoli di Francesco era quello di presentare il santo nell’atto della sua fedeltà a Cristo e al Vangelo, non soltanto negli atti ordinari di virtù e di sequela, ma anche nell’elemento prodigioso e miracoloso. Si potrebbe parlare di una “Cristoformità” di Francesco che viene sigillata dalla potenza divina nel fenomeno della stimmatizzazione. Non per caso il Tractatus Miraculorum
dedica il secondo capitolo a quello che Celano chiama “Il miracolo delle stimmate”.Il nostro scopo sarà quello di prendere in esame alcuni dei miracoli che Celano riporta nella sua trilogia, descritti anche nelle successive biografie dell’autore, per vedere come l’agiografo costruisce la struttura del suo racconto sulla falsariga dei miracoli che incontriamo nel Vangelo. Iniziamo con l’episodio di Francesco che cambia l’acqua in vino.
Il miracolo dell’acqua tramutata in vino allo Speco di Narni
La Vita beati Francisci è il primo documento, in ordine storico-cronologico, a riportare questo miracolo come testimonianza di quanto accaduto allo Speco di Sant’Urbano, luogo conosciuto anche come Speco di Narni; un eremo francescano tra Narni e Stroncone, in Umbria, dove Francesco arrivò nel 1213.
“Ecco come il glorioso padre Francesco, camminando per la vita dell’obbedienza e della perfetta sottomissione alla volontà divina, ebbe da Dio il grande onore di farsi obbedire dalle creature! Perfino l’acqua, infatti, si mutò in vino per lui, quando una volta giaceva gravemente infermo nell’eremo di Sant’Urbano. Appena ne bevve, guarì, e tutti capirono che si trattava davvero di un miracolo” (1Cel 61: FF 429).
Come si vede, l’accenno dell’agiografo nel raccontare un fatto prodigioso simile al primo miracolo di Gesù a Cana di Galilea (Gv 2,1-11) contiene il significato dell’obbedienza di Francesco alla volontà di Dio e della conseguente obbedienza delle creature alla persona di Francesco stesso, quando si trovava nel bisogno o quando intercedeva per altri. Questa sottolineatura è in piena armonia con l’episodio evangelico del miracolo di Cana, quando Gesù, pur rispondendo alla madre con le parole: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”, opera lo stesso il miracolo per manifestare la sua “gloria”, nel senso giovanneo del compimento dell’ora in cui Egli avrebbe sottomesso la sua volontà a quella del Padre in un atto di totale obbedienza sulla croce.
Celano applica lo stesso procedimento alla Vita Brevior 40: “Così nella via dell’obbedienza il padre glorioso, amico di Cristo, camminando e abbracciando il giogo della perfetta soggezione divina, nell’obbedienza delle creature ottenne una grande dignità davanti a Dio. Infatti, anche l’acqua fu convertita in vino, mentre una volta presso l’eremo di Sant’Urbano era gravemente malato. Al solo gustarlo guarì con tanta facilità che nessuno dubitò che si trattasse di un miracolo divino. È veramente santo colui a cui obbediscono le creature e per il cenno del quale gli stessi elementi cambiano in altro il loro uso” (TOMMASO DA CELANO, La Vita del Beato Padre Nostro Francesco
, Traduzione italiana a cura di F. Sedda, in Frate Francesco, Anno 81 (Nov 2015) N. 2, 289-386. Nostro testo a pagina 320).Nel Tractatus Miraculorum, Celano è ancor più ricco di dettagli. Nel racconto, prevale l’elemento miracoloso della potenza della croce di Cristo avvenuto negli atti prodigiosi del santo. Ecco il testo: “Nel periodo in cui era presso l’eremo di Sant’Urbano, il beato Francesco, gravemente ammalato, con labbra aride, domandò un po’ di vino; gli risposero che non ce n’era. Chiese allora che gli portassero dell’acqua e quando gliela ebbero portata la benedisse con un segno di croce. Subito l’acqua perse il proprio sapore e ne acquistò un altro. Diventò ottimo vino quella che prima era acqua pura, e ciò che non poté la povertà lo provvide la santità. Dopo averlo bevuto, quell’uomo di Dio si ristabilì molto in fretta e come la miracolosa conversione dell’acqua in vino fu la causa della guarigione così la miracolosa guarigione testimoniava a quella conversione” (3Cel 17: FF 839).
I particolari da sottolineare nel testo sono principalmente due. Francesco benedice l’acqua con il segno della croce. È la potenza di Cristo crocifisso che dona all’acqua la facoltà di tramutarsi in vino, con lo scopo di guarire Francesco malato. La croce diventa così lo strumento della salvezza di tutto l’uomo, nel corpo e nell’anima. In secondo luogo, Francesco viene premiato dal Signore per la fedeltà alla povertà. Di fatto, la santità di Francesco completò quello che non poteva fare la povertà. Infatti, se non ci fosse stata la signora povertà, Francesco non avrebbe avuto l’occasione di fare brillare la santità di Dio che opera prodigi in coloro che dipendono da Lui. In qualche modo, anche se indirettamente, l’episodio fa eco al miracolo di Cana, dove i due sposi vengono visti come poveri e incapaci di poter offrire vino in abbondanza per la loro festa di nozze. Cristo supplisce a questa indigenza con la potenza della sua divinità: la gioia della festa viene trasmessa con sovrabbondanza nelle giare d’acqua che rosseggiano di ottimo vino.
L’interpretazione spirituale di Bonaventura
Il miracolo allo Speco di Narni viene presentato anche da S. Bonaventura, nella Legenda Maior, che dipende dal Celano, ma che aggiunge una nota tipicamente mistica e spirituale, come fa il dottore serafico ogni volta che interpreta un episodio della vita del santo. Ecco il testo.
Bonaventura cambia il riferimento alla santità di Francesco, sottolineato dal Celano, con uno alla purità di Francesco. Era l’adesione di Francesco a Cristo, nuovo Adamo, che tolse da lui le colpe del vecchio Adamo e lo rese, come il Maestro, un uomo nuovo. Così, il miracolo dell’acqua pura cambiata in ottimo vino, diventa per Bonaventura un segno del cammino mistico e spirituale del poverello verso la purezza evangelica dell’abbandono totale, della volontà e dei beni caduchi del mondo, nelle mani di Colui che tutto provvede per coloro che sono puri di cuore.
Lo Speco di Narni diventa così il Cana francescano; dove la festa di nozze viene celebrata come la guarigione istantanea di un uomo malato attraverso la potenza di un vino miracoloso. Secondo il racconto giovanneo sono i servi a sapere da dove proveniva il vino, non il maestro di tavola. Secondo Bonaventura, Francesco è il “servo di Dio”, ed è perciò in grado di sperimentare la potenza miracolosa di colui che è il vero Sposo. A Francesco sono associati i frati, che gli portano l’acqua come umili servi, fiduciosi nella divina provvidenza che premia chi ascolta l’invito della Madre: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,5).
È la novità delle mistiche nozze con il Signore, che ha fatto di Francesco un emblema della gioia riservata a coloro che si trasformano in Colui che disseta coloro che bevono il vino “nuovo” nel suo regno (cf. Mc 14,25).
Testo di Fr. Noel Muscat OFM, pubblicato su Frati della Corda – Gennaio 2018
Fonte www.assisiofm.it
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