Gambetti «Mi sembra di essere nato un’altra volta – racconta sempre con il sorriso –: nel senso che come un bambino devo prendere le misure con questo nuovo mondo, capire, orientarmi».
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Dopo l’annuncio del Papa all’Angelus. Ero a colloquio con una persona. E il cellulare ha iniziato a squillare. Se sono immerso in una conversazione, evito di rispondere. Fra le chiamate vedo quelle a ripetizione del vescovo di Assisi. Allora dico: «Scusami, devo capire ciò che succede». Era in corso anche la preghiera per la pace nella Basilica Superiore per l’anniversario del celebre incontro voluto qui ad Assisi da Giovanni Paolo II nel 1986. Congedo la persona. Vado per richiamare il vescovo ma squilla di nuovo il telefono. Rispondo e sento dirmi: «Congratulazioni, complimenti». E io: «Scusa?». Così scopro che il mio nome era fra quelli dei nuovi cardinali. Sono trasalito pensando anche ad alcune cose che mi erano state dette ma che non avevo minimamente collegato a questo fatto. Allora mi sono fermato un attimo e sono scoppiato a ridere.
Forse apparirò un po’ incosciente, ma non lo sono. Credo che in capo a tutto ci sia la mano di Dio. E, quando facciamo nostra la volontà del Signore, la risposta è sempre sì, è sempre l’obbedienza.
La stiamo definendo. Sarà domenica 22 novembre, ossia la settimana precedente al Concistoro che è in programma sabato 28. Vorrei che la celebrazione si svolgesse ad Assisi.
Porterò lo spirito di servizio, del farsi ultimi. È lo spirito evangelico della lavanda dei piedi. Vorrei restare limpidamente francescano, ossia minore, per aiutare con lealtà il Papa. È ciò che il Pontefice si aspetta dai cardinali: essergli di supporto nel discernimento e nelle azioni. Aggiungo che il nostro Ordine è marcato da un convinto ossequio al Pontefice, chiamato fra l’altro a fare sintesi nella Chiesa. Anche questo tratto potrà contrassegnare in senso francescano la mia missione.
Il primo è la semplicità. Una semplicità che è lampante nel suo stile e nei suoi gesti ma che è anche congiunta alla profondità. Del resto san Francesco riusciva a tenere insieme lo spessore dei contenuti con l’accessibilità. Un’altra dimensione che unisce il Pontefice al santo è la vicinanza alle povertà del mondo, il forte afflato di prossimità, l’attenzione alle storie esistenzialmente sofferte della gente. Ancora. La modalità dialogica nei confronti di chi la pensa o crede diversamente: tutto ciò si traduce in rispetto, accoglienza e in ultima istanza pace.
Considero questo documento il vertice del suo magistero. Benché già la Laudato si’ avesse unaprecisa matrice francescana, l’ultima enciclica ne ha una ancora più evidente. Si tratta di un testo che può cambiare la storia. Perché ha al centro la fraternità universale che riguarda il rapporto con ogni uomo ma anche con l’intero creato. In un mondo che tende a essere per pochi e a escludere molti, che esaspera l’individualizzazione, che parcellizza l’uomo fino alla dispersione, c’è una sola grammatica che consente di costruire un futuro nuovo dove la felicità sia concreta: ed è la grammatica della fraternità.
C’è bisogno di assumere tutti insieme una prospettiva fraterna che implica rispetto e poi rigetto della prevaricazione. Il prossimo è una ricchezza anche se è diverso da me. Se mancano la valorizzazione delle differenze e la solidarietà, non potremmo mai avere società giuste e in pace. Le contrapposizioni, a volte ideologiche, hanno effetti tragici. In ogni scontro non ci sono né vincitori né vinti: a perdere è sempre l’uomo.
Sogno una comunità globale in cui ciascuno possa avere il suo posto ed esprimere i propri talenti. Ecco, la Chiesa ha il compito di ripetere che tutto ciò è possibile. Poi mi stupisco di certe posizioni ottuse sul meticciato e sui flussi migratori. In matematica il teorema di Gödel ci dice che un sistema rimane autosufficiente finché non si aggiungono variabili nuove. Quando questo avviene, il sistema è costretto a trovare nuove risposte che consentano uno sviluppo di comprensione. Il fatto che arrivino donne e uomini di altre culture fa allargare la prospettiva ed è un potenziale di crescita. Il che non significa essere acritici sull’accoglienza: sono necessarie risposte che siano adeguate alle nuove variabili della storia. E fra queste c’è anche l’esigenza di far restare le persone nelle loro terre d’origine e quindi incentivare lo sviluppo di tutti i Paesi.
In questi anni abbiamo voluto che Assisi fosse uno spazio aperto a tutti nel segno del dialogo e del confronto per dimostrare all’umanità che si più trasformare in realtà ciò che ripeteva san Francesco: siamo tutti fratelli. La profezia del nostro fondatore è uno dei più attuali input che la Chiesa può lanciare al mondo. Se Assisi manterrà questa sua caratterizzazione, sarà davvero una luce dentro la storia.
E adesso vado per il mondo. Sarò un po’ come Abramo che esce dalla sua terra e va… Anche se per il momento mi fermerò ancora ad Assisi per alcuni passaggi e adempimenti da compiere.
(Fonte sanfrancescopatronoditalia.it/Avvenire –
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