“…Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam…” (Mt 16,18). Già questo sarebbe sufficiente a rispondere, nella certezza che la Parola sia garante del Padre che la esprime, del Figlio che la incarna, dello Spirito che ne fornisce il respiro. Vi è una prima Persona che la edifica, un aggettivo possessivo che ne qualifica l’appartenenza, e l’assoluta consapevolezza della minaccia costante e gravosa (adversus eam) da parte delle portae inferi che di per sé, per la propria natura completamente ed assolutamente soggetta al male, tenderebbero a prevalere.
C’è da chiedersi, però, come una “porta”, atta – invece – a resistere, a difendere, possa a sua volta “aggredire”… O, meglio ancora, se sia “aggressiva”, quindi pensata “all’attacco”, una Chiesa che possa addirittura scagliarsi contro una “porta”, sebbene inferi. E qui si sprigionerebbe, quasi da copione, l’irrefrenabile giostra di luoghi comuni sul perdono talvolta ostentato più che assunto a stile di vita, sull’inflazione del termine “pace”, alla cui ragion politica si attribuiscono inconsapevolmente e con un certo romanticismo i colori dell’arcobaleno, eccetera eccetera che riducono la Chiesa di Cristo ad un pio esempio di tolleranza, di pazienza, di filantropica affettuosa accondiscendenza. Altro, è, però, la Chiesa di Cristo, fondata su un unico principio di santa, invulnerabile, amorevolissima autorevolezza…
Il requisito fondamentale della Chiesa, che ne diviene “supremo modello” (CCC), è l’unità Trinitaria, potenza indissolubile, pur essendo, di fatto, costituita nella varietà – nell’accezione di “diversità” – dello stesso genere umano, per cultura, provenienza, storicità. Non solo: analoga varietà è visibile nei “doni” che Dio stesso elargisce, per mezzo dell’azione dello Spirito Santo… La teologia, l’esegesi ed ogni forma di studio sul tema, esaurirebbero da sé l’interrogativo, se non per l’unico limite oltre il quale nessuna obiezione può muoversi: la fede.
È indiscusso, quanto altisonante, il fatto che “il fumo di satana sia entrato nelle sacre stanze”: d’altra parte, dove insinuarsi meglio per manifestare la propria identità addirittura etimologica (“diavolo” da “diaballo”: in greco significa separare, dividere) che nel regno della Comunione?
Gesù, nell’espressione di più premurosa, umana tenerezza, quasi si commuove al momento in cui sta per lasciare i propri amici e ne raccomanda al Padre la “perfezione nell’unità”, lasciando sgorgare inesauribilmente dal proprio cuore l’infinito dello stesso amore che al Padre lo lega, fino a riversare sui “Suoi” quella stessa capacità: “…perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia…” (Gv 17,22-23). È evidente che al maligno dia fastidio che tutto questo si compia da duemila anni: c’è uno straordinario, visibilissimo impiego di forze perché si faccia diabolico ostruzionismo. E se non si stesse compiendo, non lo scatenerebbe con tanta violenza.
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“…et portae inferi non praevalebunt adversus eam”: c’è una congiunzione tra l’edificazione della Chiesa e il fatto che ci sarebbe stato un tentativo dal parte del maligno di prevalere su di essa. Non c’è un’eventualità, né un mettere in guardia nel caso in cui. C’è consapevolezza che sarebbe accaduto e garanzia che non sarebbe riuscito. Simone, l’uomo, col proprio carattere, la propria personalità, i propri limiti, i propri difetti, è Pietro, la pietra sulla quale la Chiesa viene fondata, ed è lo stesso che nonostante clima, stagione, orario e corrente, sulla parola di Gesù getta le reti a destra, lo riconosce, si cinge i fianchi. C’è un amore infinito negli sguardi che si incontrano, nelle vite che si intrecciano, nelle parole che si scambiano. E nemmeno il fatto che Pietro dalle catene della propria debolezza rinneghi il Signore, può discuterlo.
È l’amore, dunque, la certezza che la Chiesa sia indivisibile. L’amore che l’ha costituita, l’amore per cui Cristo ha dato se stesso e per cui i Suoi ancora oggi danno la vita. È l’amore che la fa Sposa, Madre, Una, Santa, Cattolica, Apostolica. Ed è l’amore che disarma satana. È il farsi dono di sé, è l’essere misericordia nella misura in cui la misericordia si riceva dal Padre, è la pace, quella vera che non ha bisogno di manifestazioni, né di slogan, alla quale esorta San Paolo (“…avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace” Ef 4,3). Satana non smetterà ora di provarci, ma la Chiesa resterà indivisibile, perché Cristo così la stabilita, pur avendo scelto noi per costituirla. “Ut unum sint”.
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di Loredana Corrao
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perché avete tolto il mio commento sul papa? sono stato anche io misericordiato?