Ennesimo esempio delle pressioni delle lobby gay: questa volta le attenzioni cadono sulla catena di fast food Chick Fil A, il cui titolare, dopo essersi dichiarato contrario al matrimonio gay, ha dovuto fare retrofront. Nè più, nè meno di quanto accaduto al patron della Barilla. Il politicamente corretto non è un paramentro quotato in borsa ma, evidentemente, incide molto. Avevamo parlato troppo presto incensando l’uomo d’affari Dan Cathy, uno dei 400 imprenditori più ricchi d’America e proprietario della catena di fast-food Chick-Fil-A, il quale contro le “nozze” gay aveva dichiarato nel 2012: «coloro che hanno la temerarietà di ridefinire il matrimonio attireranno il giudizio di Dio sulla nostra nazione». L’imprenditore con la presa di posizione nei confronti della cultura dominante aveva pagato un prezzo molto alto, anche in termini di vendite. Ma Mr. Cathy ha fatto dietrofront e in un’intervista rilasciata all’Atlanta Journal-Constitution si è detto rammaricato che la sua azienda sia considerata poco gay-friendly ed ha aggiunto che “ogni leader passa attraverso diverse fasi di maturazione, di crescita e apprendimento e ciò aiuta a rendersi conto degli errori commessi. E tu impari da questi errori. Altrimenti sarei un pazzo. Sono grato di essere passato attraverso questa esperienza e di aver imparato molto da ciò”. Perché questo mea culpa? “Il concetto di fondo – continua Cathy – sta nel fatto che dobbiamo sempre tenere a mente che abbiamo una responsabilità verso tutta l’azienda e questo deve avere la precedenza sulle proprie opinioni personali in merito a questioni di carattere sociale”. Detto in soldoni, le pressioni dei gruppi gay si sono fatte così asfissianti che il buon Cathy ha dovuto cedere per non perdere la faccia sul mercato. a cura di Ornella Felici
Stati Uniti: continua il metodo Barilla
Di Redazione
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