“Non condivido le tue idee ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa esprimerle”: è lo stesso Voltaire che mi ha idealmente accompagnato questa mattina, all’edicola vicino a Place Kléber, a Strasburgo, per acquistare – dopo una lunga fila di persone – una copia del nuovo numero di “Charlie Hebdo”.
In mezzo alla piazza sono ancora visibili i segni, i ricordi personali, le matite, i cartelli esibiti durante la marcia che si è tenuta anche qui domenica scorsa.
Sono in città per la sessione plenaria dell’Europarlamento, uno degli innumerevoli luoghi istituzionali dove sono risuonate intense parole di costernazione e di partecipazione al dolore della Francia, del mondo intero. La redazione del giornale satirico è stata oggetto il 7 gennaio di un vile ed efferato attacco terroristico: 12 i morti, più un’altra, lunga scia di vittime, di paura, di violenza.
Poi la reazione, orgogliosa e composta, popolare e serena, dei francesi: “Je suis Charlie”, io, tutti noi, siamo Charlie, siamo per la libertà di espressione, di pensiero, di stampa. Chi non è d’accordo? “Nessuno può toglierci il diritto di ridere” e “la matita sarà sempre al di sopra della barbarie”. Sono dello stesso parere e questa copia che tengo tra le mani, che esibisco fiero, lo afferma con convinzione.
In copertina c’è una vignetta che ritrae Maometto: “Tout est pardonné” il titolo. Chissà se i 12 morti del giornale hanno perdonato i loro assassini. Chissà se le mogli, i mariti, i figli, le mamme, gli amici, i colleghi hanno davvero perdonato…
È la prima volta che compro “Charlie”. Non ho mai messo in tasca nemmeno “Le Canard enchaîné”, così come, in Italia, non sono un fan del “Vernacoliere”. Non me ne vogliano i colleghi. Anche perché riconosco il ruolo, antico e sempre attualissimo, della satira. La quale si è ritagliata tante volte un posto essenziale nella Storia: pungolando i potenti, irridendo i regimi antidemocratici. In Italia, ad esempio, da Trilussa a “Il male”, da Forattini ad Altan. Mettendo alla berlina boss mafiosi e big della finanza, leader maximi e campioni dello sport, gente dello spettacolo, vescovi, rabbini e imam. Tutti sullo stesso piano, tutti nel mirino irriverente di una matita appuntita, di una penna salace. Sarcasmo, critica feroce, tante volte insolente, spesso intelligente, ma anche villana, persino spietata.
La satira ha svolto, e svolge, un essenziale ruolo di “vigilanza democratica”, talvolta di supplenza di fronte a un sistema informativo sempre più omologato, non di rado appiattito sul potente di turno.
Sì, la libertà di pensiero è essenziale e non vi si può rinunciare, specie se messa in dubbio e posta in pericolo, o addirittura presa di mira, da ciechi invasati, col paraocchi e un kalashnikov in mano. Si tratta di un diritto fondamentale che non può mai essere negato. Del resto si può negare la vita? (ma succede, eccome!) Si può negare la giustizia? E il diritto al cibo? Alla salute? All’istruzione? La pari dignità tra donne e uomini? No, non si può.
Eppure c’è quel sottotitolo, lì, quasi all’ombra della testata “Charlie Hebdo”, che dà da pensare: “Journal irresponsable”. Si può essere, oggi, irresponsabili? Si può dire, fare, non fare qualcosa, qualsiasi cosa, giustificandosi dietro a un “io non c’entro”, “mi autoassolvo”, “son libero da ogni senso del limite”, “ho gli occhi puri di un bambino”? E se in copertina del “Charlie Hebdo” di oggi ci fosse, anziché Maometto, mia madre affetta da alzheimer? Oppure tuo figlio disabile? Se si inneggiasse a Hitler o a Stalin? Se si gridasse – per puro senso di piena libertà – “viva la fame nel mondo”, “stop alle cure ai malati di tumore”, “togliamo lavoro e stipendio a chi ha i capelli biondi”? E se, ancora una volta, come successo mille altre volte, sulla rivista satirica di turno o sulla t-shirt indossata dal ministro Tal dei Tali si canzonasse Madre Teresa, Martin Luther King, Auschwitz oppure il Cristo crocifisso?
Affiora un dubbio. Fino a che punto si può spingere la libertà di espressione? Se l’autocensura va esclusa, per ovvie ragioni, è mai possibile che la libertà, ogni libertà, non vada in qualche modo commisurata al contesto storico e al senso di responsabilità? Al bene altrui oltre che al mio? E – come è stato osservato – se c’è chi ammazza per una vignetta, noi saremmo pronti a fare una guerra per il diritto al dileggio?
Il fanatismo si può nascondere ovunque. Dietro un kalashnikov di sicuro. Forse tra le righe di un articolo di giornale, all’interno del discorso di un politico, magari dietro un disegno umoristico. Il limite è impalpabile, lo spartiacque mobile, il confine relativo e labile. Anche dopo i martiri di “Charlie Hebdo”.
dall’inviato Sir Europa a Strasburgo, Gianni Borsa
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