Save the Children: obbligo umanitario intervenire a Yarmouk

Prima l’assedio del regime siriano, ora quello del cosiddetto Stato islamico. Sono giorni altamente drammatici per le migliaia di abitanti che popolano il campo profughi di Yarmouk, non lontano da Damasco. Un luogo di disagio estremo – mancano cibo e acqua – e dove si rischia ogni giorno la morte. Federico Piana ne ha parlato con Karl Schembri, regional manager di Save the Children per il Medio Oriente ed Eurasia, testimone diretto della situazione a Yarmouk:

R. – Ci sono 3.500 bambini intrappolati, senza cibo, senza medicinali; lo staff umanitario, i nostri colleghi sono sotto attacco e ci sono morti, feriti e rapiti. Tutta Yarmouk è ormai irraggiungibile per gli aiuti umanitari.

D. – Come mai sono bloccati? Da che cosa sono impediti?

R. – Ormai sono impediti da tutte le parti in questo conflitto. Sono stati sotto assedio per due anni. Ora c’è stata un’ultima incursione di uno dei gruppi ribelli, ma ormai i nostri colleghi ci dicono di essere sotto il fuoco di tutte le parti e cecchini e aerei si riversano, quindi, su questo piccolo campo profughi. Bisogna dire anche che i palestinesi sono i più vulnerabili in questo conflitto siriano, perché non hanno la possibilità di scappare e di andare in un altro Paese. Tutte le strade sono chiuse per i palestinesi della Siria e quindi la situazione è ancora più tragica e disastrosa.

D. – Come mai finora non si è fatto nulla e la comunità internazionale non ha mosso un dito per questi 3.500 bambini, ma non solo: ricordiamo medici, volontari, operatori umanitari e civili, che sono stati uccisi, rapiti o addirittura sono ancora dispersi …

R. – Questa è stata solo l’ultima tappa tragica in questa guerra, in questo conflitto. Le Nazioni Unite sono arrivate a delle risoluzioni che davano ottimismo, ma che poi nella realtà non hanno migliorato la situazione in Siria, anzi.

D. – Cosa debbono fare gli Stati, la comunità internazionale, per risolvere questo problema a Yarmouk adesso, immediatamente?

R. – La priorità immediata sarebbe un cessate-il-fuoco, che consenta di portare aiuti all’interno del campo; di fare evacuare i bambini e le famiglie che sono ferite; e di dare rispetto totale ai civili. Questa non è un’opzione, questo è un obbligo di tutte le parti che sono in conflitto: una soluzione diplomatica di questo conflitto. Quando i Paesi hanno avuto la volontà politica di dare tregue e cessate-il fuoco locali in Siria, è stato un successo. Quindi se c’è la volontà… E noi chiediamo a questi Paesi che ci sia la volontà, perché è una questione di umanità.


A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana

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