Il viaggio dei Magi che, da sempre, affascina l’uomo perché è simbolo e parafrasi della esistenza umana: un viaggio, appunto, «tra gioie e dolori, scoperte, sorprese, rischi e incontri». Le parole del cardinale Scola, nel Pontificale che presiede in Duomo per la Solennità dell’Epifania, definiscono, insieme, il senso della manifestazione del Signore – «la Grazia di Dio, che non è un’espressione astratta, ma proclamazione della divinità di Gesù che porta salvezza a tutti gli uomini»– e ciò che ne nasce per noi, oggi, quale scelta ormai improcrastinabile di testimonianza nella comunità cristiana e nella società.
Come i Magi in viaggio, infatti, cercano il Signore, il Dio-Bambino «venuto tra noi, il volto stesso della misericordia del Padre che si è reso visibile», anche l’umanità non può che proseguire, nel terzo millennio, questa ricerca di Colui che, «se non lo rifiutiamo esplicitamente, spalanca a ciascuno la possibilità di andare oltre la morte».
E se i “segni” – nell’Epifania, specificamente, la stella e l’acqua trasformata in vino a Cana, espressione del battesimo e di gioia comunitaria in un banchetto nuziale, ma che già allude al sangue che il Salvatore verserà – «sono il metodo che Dio ha scelto per manifestarsi alla libertà di ogni uomo di ogni tempo e luogo», è proprio il simbolo del viaggio a tessere la predicazione dell’Arcivescovo.
«Nel racconto dei Magi ciò che impressiona non è anzitutto il loro triplice dono – oro per il Re dei re, incenso per il Dio Altissimo e mirra per Colui che è destinato a morire –, bensì il loro venire da lontano che ci fa pensare non solo al nostro campare terreno più o meno lungo», scandisce Scola, «ma che dice la storia di tutta la famiglia umana».
Emerge, così, la domanda a cui non ci si può sottrarre inoltrandosi nel nuovo millennio.
«Quale tipo di viaggio intendiamo fare nella nostra vita e società? Il viaggio dei pellegrini, tutti tesi a una meta che certo non risparmia contraddizioni, lotte, mali fisici e morali ma che, in qualche modo, ci riscatta perché riconosciamo che il Signore Gesù – la meta – ci accompagna, anzi, ci precede sempre sulla via? O il viaggio di turisti svagati o addirittura di vagabondi senza meta, in un mondo vissuto astrattamente come un grande paese dei balocchi alla ricerca di emozioni sempre nuove, nell’illusione che, moltiplicando indefinitamente i piaceri che per loro natura sono sempre di breve durata, si possa alla fine trovare quella gioia, quel gaudio perenne a cui il nostro cuore anela?».
La gioia, appunto, dei Magi «per la Grazia che si è manifestata», secondo quanto scrive Paolo a Tito, nell’Epistola, appena proclamata nella Liturgia, e che «può anche essere letta, soprattutto dai cristiani, come proposta valida di vita buona a livello civile», nota l’Arcivescovo.
Da qui il “cuore” della riflessione che il Cardinale che si fa vero e proprio auspicio: «La vita buona è oggi una merce piuttosto rara, sia sul piano personale che sociale, e va conquistata con coraggio e impegno perché divenga il contenuto di un’educazione civica di cui nel nostro Paese troppo spesso si sente la mancanza. Di più, le parole dell’Epistola possono urgerci a riflettere, per riscattarci, sull’affaticamento della nostra Europa, così come sulla necessità, invocata spesso dall’insegnamento sociale della Chiesa, di un nuovo ordine mondiale. I fatti che succedono ogni giorno fanno comprendere quanto ve ne sia bisogno e quanto le Istituzioni, ad esso preposte, siano ormai insufficienti. Sono, questi, fattori che ci spingono a lavorare, nella nostra bella Milano metropolitana, alla promozione di una democrazia sostanziale non basata su un elenco astratto di diritti, ma su un ordinamento che poggi su libertà effettivamente realizzate, tenendo conto della condizione di ognuno a partire da coloro che sono ai margini della società».
«Questa grande festa dell’Epifania, dovrebbe lasciare trasparire la gioia dei Magi sui nostri volti, facendo spazio all’altro e rispettandolo nella sua pari dignità. Troviamo consolante speranza nell’Anno giubilare a cui vorremmo invitare uomini e donne perché scoprano la dolcezza del perdono di questo Dio che non ha rinunciato a farsi bambino per attrarci a sé con la sua tenerezza».
Poi – secondo l’antichissima tradizione ambrosiana attestata indirettamente fin dai tempi di sant’Ambrogio –, l’annuncio della data della Pasqua che sarà il 27 marzo e, a conclusione, ancora un augurio: «cerchiamo tutti insieme di domandare un movimento di conversione del nostro cuore e lavoriamo, all’interno della realtà ecclesiale a tutti i livelli e di quella civile, al rinnovamento della città».
Redazione Papaboys (Fonte www.incrocinews.it)
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