Scola, l’Avvento: attesa bella e speranza affidabile

In Duomo, di fronte a migliaia di fedeli, il cardinale Scola ha presieduto la Celebrazione eucaristica della I Domenica dell’Avvento ambrosiano, dando avvio al percorso della sua predicazione in Cattedrale intitolato, quest’anno, “Un bambino è nato per noi”.

Un’attesa bella perché si fonda sulla speranza affidabile della venuta certa del Signore.

All’inizio del «tempo liturgico benedetto», tempo di Avvento, è il cardinale Scola a dare voce e a interpretare un sentire comune che si fa quasi palpabile, in Duomo, dove arrivano in migliaia per la Celebrazione Eucaristica della I domenica dell’Avvento ambrosiano, con cui prende avvio anche il percorso proposto a tutta la Diocesi attraverso, appunto, la predicazione domenicale dell’Arcivescovo in Cattedrale. E sono così tanti i giovani, le famiglie con i bimbi, ma anche gli anziani e la gente di tutte le età – sono stati in particolare invitati, questa domenica, gli aderenti al Movimento apostolico e ad Alleanza Cattolica – che si ritrova per un momento importante, sentito fortemente dall’intera comunità ambrosiana, chiamata a condividere il cammino di queste sei settimane che ci separano dal Natale, nella logica di quella che l’Arcivescovo chiama «la tensione buona dell’attesa».

Tutto, dalle Orazioni al Prefazio e alle Letture del giorno, invitano, d’altra parte, a cogliere la venuta del Signore come evento definitivo della salvezza. Intorno a una tale certezza si articola la riflessione del Cardinale che invita guardare con speranza il presente e il futuro: «Non con un ottimismo acritico, non con un forzoso ‘tutto va bene’ ma con una speranza affidabile perché Colui che viene mostra che la storia personale e la storia della famiglia umana hanno un senso cioè un significato, un valore, una direzione».

In questo contesto, anche il dialogo tra il Signore e i discepoli, narrato dalla pagina evangelica di Marco 13, è un monito chiaro: «Di fronte al dilagare del male e delle circostanze avverse, alle contraddizioni gravi e alla fatiche che anche noi europei stiamo portando, l’interrogativo più radicale è se possiamo ancora attendere la venuta di Qualcuno che spezzi questa angosciante impotenza». Qui è l’importanza dell’Avvento, suggerisce.

Sgomenti come i discepoli «di fronte all’imperversare del male, fuori ma anche dentro di noi», tentati di cedere al lamento sterile e senza pietà verso l’umano, occorre, tuttavia, vedere nel travaglio, che richiama la nascita attraverso i dolori del parto, una preparazione positiva alla vera nascita.

«Per questo – spiega Scola – abbiamo voluto dare all’intero percorso delle sei domeniche di Avvento, lo stesso titolo della Lettera alle famiglie per il Natale “Un bambino è nato per noi”. Attendiamo la fine del mondo come la nascita piena, adulta, definitiva, matura: la nascita all’abbraccio paterno del Padre.

L’invito è a non dimenticare che siamo “eletti” in quanto seguaci di Gesù e attraverso coloro che Lui sceglie, non per i loro meriti, ma per il mistero della Sua misericordia, Dio raggiunge tutti gli uomini. E questo vale «anche per l’uomo postmoderno, sofisticato, ma pur sempre fragile come l’uomo di ogni tempo, anche per gli abitanti delle nostre terre ambrosiane, che in troppa misura si sono allontanati dalla pratica eucaristica e che tuttavia hanno ancora un riferimento nella nostra grande storia di cattolicesimo popolare».

E se la «fine del tempo e della storia svelerà ai nostri occhi, il fine della vita dell’uomo e della storia, che “Dio sia tutto in tutti”», la conseguenza è decisiva ed evidente. «La solidarietà col “Dio con noi” ci fa responsabili gli uni degli altri e contraddice Caino. Uniti nell’attesa di Colui che sta venendo, siamo chiamati all’esperienza bella della comunione effettiva tra cristiani e a condividere, come sorelle e fratelli, le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri e soprattutto di tutti coloro che soffrono». Il dolore del Cardinale è per le recenti tragedie causate dal maltempo «Siamo vicini a quanti piangono le vittime e a chi soffre per i danni dell’alluvione», sottolinea.

In gioco c’è la méta buona che illumina il cammino quotidiano, nel cui vortice spesso dimentichiamo «chi siamo e di Chi siamo», osserva l’Arcivescovo, che raccomanda a tutti «il segno di croce al risveglio e prima di coricarsi così come la preghiera del mattino e della sera, possibilmente in famiglia, come modalità semplice, ma potente, anche per rigenerare le relazioni tra gli sposi e con i figli. In questo tempo, partecipiamo almeno – aggiunge – a una Messa infrasettimanale».

Non dimentica, il Cardinale, anche i gesti concreti di condivisione verso i più poveri ed emarginati: «In particolare, prendiamo sul serio le iniziative di solidarietà proposte dalla Chiesa italiana verso i cristiani provati dalla persecuzione. Pensiamo alle più di 150.000 persone che hanno dovuto abbandonare le loro case solo in Kurdistan».

E, a conclusione della Celebrazione, il pensiero va al Paese: «bisogna pregare perché cresca l’amicizia civica e perché il confronto tra diverse visoni del mondo e posizioni, tra diversi nobili interessi, sia sempre teso verso questa amicizia di cui la Nazione ha tanto bisogno per potere vivere in pace e poter affrontare, italiani e immigrati, questo tempo di crisi restando uniti».  Fonte: incrocinews.it

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