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Scopri l’antichissima devozione dei ‘7 Angeli davanti al Trono di Dio’, approvata dai padri e diffusa dai santi

Oggi raramente si parla dei sette angeli che si trovano davanti al trono di Dio. “Si crede che essi formino una cerchia privilegiata, la più vicina al Potente Dio.” L’Arcangelo Raffaele disse espressamente a Tobia che egli stesso faceva parte di questo gruppo privilegiato. “Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre innanzi alla presenza della maestà del Signore”. (Tob. 12, 15). Anche nell’Apocalisse si fa riferimento ai sette angeli: “La grazia sia con voi e pace da Colui che è, che era e che viene, dai Sette Spiriti che stanno davanti al suo trono.” (Ap. 1, 4) Questi sette spiriti sembrano essere i Principi più alti della corte celeste.

Sebbene la loro più importante occupazione sia la contemplazione e la preghiera della Divina Essenza, vengono affidati loro anche compiti speciali, infatti San Paolo afferma espressamente che essi amministrano tutti gli spiriti. L’abate Boudon, che ha scritto così bene …… riguardo agli angeli, vuole che noi invochiamo questi sette Principi del Paradiso così che essi possano ottenere per noi la grazia per evitare i sette peccati capitali e affinché essi possano arricchirci con i sette doni dello Spirito Santo.

Parlando della felicità di cui gli angeli godono nel paradiso e alla quale partecipano i sette santi spiriti probabilmente in un grado più alto, si dice che “ogni cosa nell’universo è fonte di gioia per i santi angeli. Essi vedono in ogni cosa il compimento di ciò che Dio ha ordinato; essi sanno che Egli riceve onore e gloria e che essi si rallegrano nel vedere come Egli venga glorificato. Questo è il segreto della vera gioia; è perché noi pensiamo a noi stessi e non a Dio, che siamo turbati e insoddisfatti. Se solo noi potessimo avere la visione angelica, niente ci turberebbe e potremo sempre gioire”. La furia iconoclasta degli anni 726-730 deve aver operato la quasi completa distruzione delle immagini dei sette Angeli. Quando il Concilio di Nicea (735) ristabilì il culto delle immagini, si ebbero immagini di angeli sia a gruppi sia separati, ma molto raramente sembra in numero di sette e tanto meno con i loro nomi di cui parleremo di seguito. Il motivo potrebbe forse essere questo: quasi contemporaneamente alla bufera iconoclasta, cioè nel 745 gli eretici Adalberto e Clemente erano caduti in una quasi idolatria degli angeli, invocando addirittura con i nomi otto di questi: Uriel, Raguel, Tubuel, Michele, Abnis, Tubua, Sabaoth e Simile, con formule di terrore superstizioso, per cui non solo furono solennemente scomunicati, ma fu anche stabilito nel Concilio di Laodicea da, papa San Zaccaria, che i cristiani non dovessero menzionare nelle loro preghiere altri nomi d’angelo all’infuori di Michele, Gabriele e Raffaele. Tale grave decisione sarebbe stata presa tanto più in quanto in quel particolare momento, gli iconoclasti non avessero una fondata ragione di incolpare di idolatria quei fedeli che abbagliati dallo splendore degli angeli, finissero per perdersi nella adorazione di essi.

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Oggi, tale pericolo all’interno della Chiesa è del tutto svanito, data la sicurezza dogmatica del Magistero, anche se purtroppo il New Age, l’Esoterismo e la Cabala creano grande confusione nei cattolici del XXI secolo.
Da principio, la Chiesa delle origini conosceva unicamente le rappresentazioni angeliche ispirate dagli avvenimenti della Sacra Scrittura e quindi raffigurava anche gli Angeli assistenti al trono di Dio. La più antica immagine angelica cristiana risale al II secolo nelle Catacombe di Priscilla e rappresenta l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele. Il Principe degli Angeli, San Michele ebbe, nel 312-328, la prima chiesa di cui si ha notizia che fosse dedicata al suo nome, edificata ad Alessandria d’Egitto dal Patriarca Alessandro. La chiesa Ortodossa egiziana, fin dal III e IV secolo invocava, nella sua liturgia, oltre che i nomi noti dei tre Arcangeli, anche il nome dell’Arcangelo Uriele, nominato nei Libri apocrifi di Enoch e terzo e quarto di Esdra; ugualmente facevano la chiesa copta ed etiopica. In molte “natività” i sette angeli sono rappresentati presso la Madonna col Figlio, oppure circondano quali cherubini il volto dell’Eterno Padre.
Sette angeli con lo scettro, secondo la più antica tradizione bizantina, erano tra le figurazioni in mosaico che rivestivano la volta dell’altare maggiore in San Marco a Venezia nel 1543, da cui fu ritratto il quadro della Vergine con i sette angeli, che attualmente vediamo nella chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri in Roma, a Piazza Esedra.






Antonino Mongitore che stampò, nel 1726, a Palermo il suo libro: Il Monastero dei sette Angeli, dopo aver fatto la storia delle sette immagini di angeli con i loro nomi, venute in luce a Palermo nel 1516, e della copia di esse, esistente nel quadro che vediamo tuttora nella Cattedrale di Palermo, aggiunge un lungo elenco di località dell’Europa dove si trovano le immagini con i nomi dei sette arcangeli. Nel libro, edito a Bruxelles, di Andrea Serrano, del 1707, intitolato “Los Siete principos” sono raffigurati i sette arcangeli con gli stessi nomi e simboli di quelli ritrovati a Palermo: Michele con una lancia e un vessillo crociato, nelle sinistra una palma e sotto i piedi il dragone vinto; Raffaele con in mano una pisside di aromi medicinali e vicino il piccolo Tobia; Uriele con in mano una spada; Gabriele con uno specchio di diaspro e una lanterna; il quinto angelo chiamato Sealtiele in atto di pregare; il sesto angelo chiamato Jehudiele, con una corona e un flagello; l’ultimo dei sette spiriti chiamato Barachiele con un serto di rose. Sul finire del 1400, il Beato Amodeo de Sylva, un frate portoghese morto in concetto di santità e vissuto a Roma in San Pietro in Montorio, nella sua Apocalittica, nomina gli stessi sette angeli con gli stessi nomi venuti poi in luce a Palermo, i quali afferma essere i più gloriosi dopo Dio e la Vergine Santissima.
Verso la fine del 1600, nella Biblioteca apostolica Vaticana venne ritrovato un antichissimo codice ebraico in cui, oltre agli arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele, venivano nominati anche Uriele, Sealtiele, Jehudiele e Barachiele. Il cistercense Giulio Bartolocci, in un suo libro, del 1683 parla di questi nomi con molta circospezione e prudenza. Parlando delle immagini di Palermo e del quadro in Santa Maria degli Angeli a Roma, il Bartolocci afferma che: “Le iscrizioni che sorreggono questi sette angeli specificano il ministero di ciascuno di essi e si può accettare il nome, dall’ebraico, di essi stessi” e cioè quei medesimi nomi ed epiteti che figuravano ai piedi di ognuna delle immagini dei sette angeli venute in luce nel 1516 a Palermo.
MICHELE: Vittorioso, è nel quadro di Santa Maria degli Angeli: “Paratus ad animas suscipiendas”.
RAFFAELE: Medico, è nel quadro suddetto: “Viator comitor; infirmos medico”.
JEHUDIELE: Remuneratore, è nel quadro suddetto: “Deum laudantibus; praemia retribuo”.
GABRIELE: Nunzio, è nel quadro suddetto: “Spiritus sanctus superveniat in te”.
URIELE: Forte alleato (Luce di Dio), è nel quadro suddetto: “Flammescat igne charitas”.
BARACHIELE: Tutore, è nel quadro suddetto: “Adjutor ne derelinquas nos”.
SEALTIELE: Oratore, è nel quadro suddetto: “Oro, supplex, acclinis”.

Se i quattro nomi di Uriele, Sealtiele; Jehudiele e Barachiele non hanno l’autenbtica approvazione della Chiesa, come Michele, Gabriele e Raffaele, ciononostante i padri della Chiesa la tengono molto fondata e grande e sono molti gli autori cristiani che li riconoscono, non ultimo il Venerabile Beda che nella Colletta li invoca tutti e sette.




Nei nostri tempi più recenti, lo stesso Beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario mariano di Pompei volle che nello stesso Santuario fosse apposto un quadro con San Michele e gli altri sei Spiriti celesti e compose diversi libretti in cui dava il nome di questi sette Spiriti celesti, anche perché il suo padre spirituale, il redentorista Padre Radente aveva una particolare venerazione per i sette arcangeli.

di Don Marcello Stanzione

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