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Scuola: famiglie più attente alla formazione dei giovani

“Sono circa 150mila i giovani che frequentano i corsi di formazione professionale. Sono i giovani propensi ad apprendere dall’esperienza, che sentono di avere doti creative e abilità pratiche da coltivare per realizzare la loro vocazione professionale e umana. Il numero è cresciuto enormemente in questi ultimi anni, indicando con chiarezza un orientamento delle famiglie più attento ai contenuti professionalizzanti e quindi al lavoro”. È il quadro della situazione delineato da Paola Vacchina, presidente di Forma (associazione degli enti nazionali di formazione professionale di ispirazione cristiana), che riflette sull’ambito della formazione professionale a pochi giorni dall’incontro “La Chiesa per la scuola” che si terrà a Roma il 10 maggio con Papa Francesco. La formazione professionale è sempre stata considerata di livello inferiore rispetto ad altri percorsi di studi. È ancora così?  Negli ultimi 15 anni la formazione professionale ha vissuto una profonda trasformazione, con una piena integrazione nel sistema di istruzione italiano e l’acquisizione di pari dignità con la scuola. Essa, infatti, concorre oggi all’adempimento dell’obbligo di istruzione, al conseguimento di un titolo di qualifica e di diploma e consente l’accesso alla formazione superiore. Tuttavia, nel nostro Paese rimangono interi territori in cui il diritto di frequenza ai percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFp) è ancora difficile e in alcuni casi impossibile.

Dunque ci sono differenze di offerta formativa tra le Regioni? Pregiudizi ideologici, carenze gestionali e visioni limitate hanno creato, soprattutto al Sud, un forte impoverimento dell’esperienza storica della formazione professionale e in alcuni casi la sua stessa sparizione. Ci sono intere Regioni del Paese in cui la formazione professionale non è più un diritto esigibile. L’Italia, anche in questo ambito, è spaccata in due. Le Regioni, specialmente al Nord, che hanno con continuità e con determinazione gestito programmazioni formative pluriennali, anche di fronte a molti problemi e a carenza di risorse, si trovano oggi a disporre di validi sistemi strutturati. In altre, invece, spesso a fronte di potenzialità di spesa superiore, si sono gestite le risorse in tanti ‘progettifici’, senza lasciare traccia alcuna nella strutturazione di sistemi capaci di rafforzarsi nel tempo. Oggi tuttavia comincia ad aggiungersi una nuova difficoltà: anche le Regioni più virtuose, per effetto del Patto di stabilità e per l’insufficienza delle risorse regionali, stanno riducendo l’offerta formativa. Il futuro non si presenta roseo.

La formazione professionale trova spazio nell’agenda politica? A parole sta trovando spazio crescente nel dibattito politico. In tutte le discussioni sui percorsi di uscita da questa perdurante crisi, non manca mai il riferimento al miglioramento delle competenze professionali dei giovani. I fatti, invece, ci dicono che la politica ha dedicato ben poche concrete risorse al raggiungimento degli obiettivi dichiarati. Dal 1999 ad oggi, le risorse trasferite alle Regioni da parte dello Stato sono lievemente diminuite a fronte di una crescita dell’utenza che è più che raddoppiata. Le Regioni in alcuni casi hanno surrogato la limitatezza di investimento dello Stato, in altri hanno fatto scelte che potenziano solo il sistema scolastico rendendo difficile l’accesso alla formazione. C’è un luogo comune ricorrente nella politica che afferma la scarsa utilità della formazione e il grande sperpero di risorse. Se ci fosse più serietà e meno approssimazione si dovrebbe riconoscere che gli scandali, purtroppo non pochi, hanno visto corresponsabili anche i dirigenti e la classe politica.

Gli studenti che escono dai percorsi di “leFp” trovano più facilmente lavoro? In Italia c’è un forte bisogno di tecnici e di qualificati. Ci siamo dimenticati di essere, dopo la Germania, il secondo Paese in Europa per produzione industriale e manifatturiera. Un approccio culturale che ha premiato solo la scuola dotta e umanistica a scapito di uno sviluppo delle competenze scientifiche e professionali ci sta penalizzando. È anche questa la ragione del nostro gap tecnologico con il resto dei Paesi avanzati. La formazione professionale ha colto, fin dal suo sorgere, la valenza rivolta al lavoro che l’apprendimento deve avere. Se si guarda all’esito occupazionale, come accertato dall’Isfol in una ricerca del 2012, entro 6 mesi dal termine dei percorsi formativi oltre il 60% dei giovani in uscita dalla formazione professionale sono occupati. È il risultato migliore se raffrontato a tutte le altre filiere del sistema di istruzione italiano.

Cosa si aspetta Forma dall’appuntamento del 10 maggio?  Ci aspettiamo che emerga la premura e la passione della Chiesa tutta per la scuola e per l’educazione. Desideriamo poi che si parli dell’istruzione nella sua interezza. Bisogna far capire alla società e alle istituzioni che ai cattolici sta a cuore il destino dell’intero sistema di istruzione, compresa la formazione che abilita al lavoro professionale e manuale. Proprio nel momento in cui il lavoro è una risorsa scarsa, è necessario riscoprirne il ruolo nell’educazione dei giovani. Le organizzazioni educative del mondo cattolico sono chiamate a questo importante compito: ridare significato allo studio e ai numerosi anni che i giovani vi dedicano, anche in funzione del loro futuro sociale e professionale. Bisogna ridare motivazione al sacrificio dell’apprendimento, ma lo si potrà fare solo dando nuovo senso e significato all’apprendere. di Riccardo Benotti per l’Agenzia SIR 

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