Mauro Leonardi

Se anche il Papa è contrario ai matrimoni riparatori

Sei incinta? Nasce un figlio? Meglio convivere che fare un matrimonio riparatore. “Quando ero arcivescovo di Buenos Aires ho proibito di fare matrimoni religiosi nei casi che noi chiamiamo matrimonios de apuro, matrimoni di fretta, riparatori, quando è in arrivo il bambino. Io ho proibito di farlo, perché non sono liberi. Forse si amano. E ho visto dei casi belli, in cui poi, dopo due-tre anni, si sono sposati, e li ho visti entrare in chiesa papà, mamma e bambino per mano. Ma sapevano bene quello che facevano.” Lo ha detto Papa Francesco pochi giorni fa, prima all’apertura di un convegno a Roma poi – con altre parole – a Villa Nazareth.

Il Papa parla della realtà e lo fa perché la vive. Se c’è un figlio in arrivo, non c’è bisogno di sbrigarsi a tagliare il traguardo del matrimonio. Non c’è bisogno di “riparare” perché il figlio non è una malattia. Non c’è da curare ma da accogliere. Il matrimonio non è un traguardo e nemmeno un inizio ma una scelta. E per scegliere non basta un sì, ci vuole un Amen perché la risposta è tutta la vita.

Di fronte a migliaia di sacerdoti pietrificati chiede: perché la chiesa ci mette otto anni a fare un prete i cui impegni può sciogliere come accade non di rado, e invece per fare un matrimonio indissolubile bastano tre o quattro lezioncine date di fretta un sabato pomeriggio? “Una signora, una volta, a Buenos Aires, mi ha rimproverato: “Voi preti siete furbi, perché per diventare preti studiate otto anni, e poi, se le cose non vanno e il prete trova una ragazza che gli piace… alla fine gli date il permesso di sposarsi e fare una famiglia. E a noi laici, che dobbiamo fare il sacramento per tutta la vita e indissolubile, ci fanno fare quattro conferenze, e questo per tutta la vita!”

C’è ancora bisogno di interrogarsi del perché il Papa buchi lo schermo, di quale sia il segreto della sua comunicazione? È uno: si chiama verità. Lui guarda alla realtà non come a un insieme di fatti di cronaca e statistiche da studiare e correggere, ma come al luogo dove viviamo, al posto fatto di noi. Non da noi, ma “di noi”. E chi ascolta il Papa sente che quella sua vita, quel suo luogo, è custodito, accolto, scaldato. Sente su di sé lo sguardo buono di chi vede il bene che c’è e lo chiama bene al di là delle teorie e delle regole. Figli in una convivenza? Prima di una convivenza, prima del matrimonio, i figli sono figli e si chiamano figli. Fedeltà in una convivenza? Prima e al di fuori delle istituzioni – convivenze o matrimoni che siano – la fedeltà si chiama fedeltà. E non c’entrano i sessi e i tipi di amore. Se vivi un amore, quell’amore vivrà e porterà altra vita. Partiamo da questo se questo è quello che abbiamo. Camminiamo.

Gli amori che ci fanno felici sono fedeli e portano vita. Era meglio prima? Era meglio quando tutti si sposavano? Al Papa questo non interessa. Vive ora e vuole guardare la realtà di ora. Non pensa ci sia mai stata un’età dell’oro dell’amore. Ci sono sempre stati uomini e donne che hanno fatto della loro vita una promessa d’amore, che sono caduti e si sono rialzati tante volte. Di questo parla. Dà il nome alle cose, dice la verità. Forse – chi lo sa – un tempo l’incedere e il cadere e il rialzarsi avveniva sempre dentro il matrimonio; ora, di certo, avviene anche fuori. Ora avviene anche prima. Alcuni la chiamano “convivenza”. Nei fatti è quando ci si ama ma ancora non si è pronti per sposarsi. Ora il Papa non fa una teoria, racconta una realtà, quella che le statistiche Istat sono lì a ricordarci: il matrimonio ormai entra in casa dopo i mobili, dopo anni di vita insieme, dopo uno o più figli. Il Papa entra nella verità. Vogliamo entrare anche noi in queste case italiane, in queste nostre vite?

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost


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