Se Gesù fosse nato a metà degli anni Ottanta starebbe iniziando oggi il suo ministero pubblico, e allora mi chiedo: si sarebbe concentrato su persone come noi per formare la sua équipe missionaria? Forse Gesù sembrerebbe proprio come noi, come uno qualsiasi dei nostri amici, un tipo snello, giovane; potrebbe essere quello che ci aiuta con le buste al supermercato o qualcuno che cammina scanzonato per la strada con uno zaino in spalla uscendo dalle lezioni, o quel ragazzo di quel gruppo di giovani che escono dall’acqua dopo aver visto le onde. Una persona di questo tipo non richiamerebbe sicuramente la nostra attenzione, ma le sue azioni certamente sì.
Le tematiche bibliche devono essere la fonte iconografica più sfruttata della storia dell’arte universale, visto che gran parte del mondo occidentale si è costruita sui parametri culturali e di valori dell’ebraismo e del cristianesimo, ma non è l’unica ragione, almeno non per un artista. Gli artisti contemporanei hanno cercato di rappresentare Gesù ai nostri tempi. Non di rado questi tentativi hanno avuto come risultato rappresentazioni controverse e in certi casi offensive. La domanda di fondo, tuttavia, è valida: a chi si sarebbe unito Gesù se fosse vissuto ai nostri tempi?
Un Gesù così potrebbe fondare la sua Chiesa essendo un uomo povero, malvestito, senza influenza e almeno in apparenza con costumi poco adatti a quelli dell’epoca?
Scusate se vi riempio di domande, ma spesso ci aspettiamo che Gesù assomigli più a Justin Timberlake, con un bel viso, carisma e talento, che a quello biblico, al personaggio storico, un giovane semplice proveniente da un piccolo villaggio sperduto sulla mappa e da una famiglia sconosciuta. In qualche modo l’anelito è quello di incontrare Gesù.
Siamo piccoli come Egli vorrebbe? Non dico che dobbiamo essere peccatori, emarginati dal sistema, che dobbiamo smettere di servire Dio e rinnegare la nostra vita perché Gesù posi il suo sguardo su di noi, ma dobbiamo riconoscere che “l’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà” (Benedetto XVI).
La grande attrattiva di Gesù, che ha catturato lo sguardo di tutti e ha scompaginato tutto ciò che era stabilito, non era tanto il suo aspetto quanto le sue azioni, la sua opzione decisa a favore degli emarginati, del visitare le loro case, del mangiare il loro cibo. Ci sentiremmo sicuramente scandalizzati se al giorno d’oggi il Sigore, visitando le nostre riunioni in parrocchia, ci portasse come esempio di vita una vedova che non ha denaro e lascia le sue poche monete come offerta al tempio, o se si mettesse a parlare della fede esemplare di una pagana della Samaria (o di qualche zona emarginata della nostra città), o ancora se lodasse la fede di un soldato che non essendo neanche cristiano gli chiede delle cose e confida nel fatto che Egli le esaudirà.
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Ci infastidirebbe che Gesù porti come esempio e modelli di fede persone che riteniamo marginali, perdute, che non sanno, che non percorrono le vie che percorriamo noi e che, pur avendo fede, la distorcono e la praticano a modo loro. Rimarremmo sicuramente scandalizzati se Gesù preferisse trascorrere del tempo con loro anziché con noi, e ci infastidirebbe molto di più che parlasse con loro in segreto e promettesse loro cose meravigliose, cose che noi abbiamo aspettato per tutta la vita di ascoltare.
Quanto darei per condividere quei momenti di intimità con Gesù dopo le sue grandi apparizioni pubbliche! Trascorrere del tempo con Lui, stupendoci dei 12 cesti di pane e pesci avanzati dopo la moltiplicazione, o mangiare la colazione preparata da Lui una volta risorto.
Nonostante questo, bisogna tener presenti due verità importanti:
1. Gesù è venuto per la salvezza di tutta l’umanità
Il suo amore è universale e raggiunge tutti noi. Non ci sono un profilo o dei requisiti da rispettare. “La salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericordia. Non esiste azione umana, per buona che possa essere, che ci faccia meritare un dono così grande. Dio, per pura grazia, ci attrae per unirci a Sé” (Evangelii Gaudium 112).
È quindi importante accettare il fatto che indipendentemente dalla nostra forma di vita, dal fatto che siamo ricchi o poveri, se aneliamo alla giustizia o viviamo comodamente, Gesù è venuto a salvare tutti. Qualunque sia il luogo in cui ci troviamo, vedere che Gesù dona la sua vita per salvare chi non appartiene al nostro gruppo suscita un certo disagio, ma dobbiamo lottare contro di questo.
2. Accettare che il nostro modo non è l’unico esistente, né il migliore
“Perciò, nell’evangelizzazione di nuove culture o di culture che non hanno accolto la predicazione cristiana, non è indispensabile imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica, insieme con la proposta evangelica. Il messaggio che annunciamo presenta sempre un qualche rivestimento culturale, però a volte nella Chiesa cadiamo nella vanitosa sacralizzazione della propria cultura, e con ciò possiamo mostrare più fanatismo che autentico fervore evangelizzatore” (EG 117).
Uscire dal nostro “formato religioso” è in genere una sfida spirituale che ci richiede di amare la volontà di Dio, di accettare che Egli può e vuole manifestarsi in luoghi, spiritualità e persone diverse, indipendentemente dal fatto che rispondano al “profilo” che ci si aspetta da un cristiano modello o da un gruppo pastorale.
Ora che ci incamminiamo verso la Quaresima, è un buon momento per guardare la nostra vita e rimanere soli con Gesù, che incontrava ogni tipo di persone ed evangelizzava, che faceva tremare la terra sotto ai piedi anche alle persone che compivano la volontà di Dio e che ha chiamato al suo fianco le persone che meno ci si sarebbe aspettati. Il nostro cuore sia aperto a scoprire e ad accettare Gesù, quello della periferia dell’esistenza, quello che ancora cammina vicino a dove viviamo ma in un altro quartiere, quello che passa inosservato perché viene da un posto umile e non ha un cognome altisonante. Che possiamo accoglierlo e che il nostro apostolato passi, più che per l’adattarsi a un profilo, per il fatto di amarlo davvero e di amare il nostro prossimo.
Sebastian Campos è cileno, missionario laico a tempo pieno, dedito all’evangelizzazione dei giovani, conferenziere e scrittore. Il suo sito è www.sebacampos.com.
Fonte it.aleteia.org/Sebastian Campos
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