Lo spiega uno studio fatto su 150.000 bambini svedesi appena pubblicato sul Journal of Epidemiology and Community Health, che mostra l’alto livello di malattie psicosomatiche nei figli di divorziati rispetto ai figli di coppie integre. Ma basta andare nel sito della prestigiosa Mayo Clinic per leggere che in caso di divorzio «un bambino piccolo può avere una regressione comportamentale, tipo riprendere il ciuccio e bagnare il letto. Può intervenire un’ansia da separazione. Un bambino grande può avere un misto di emozioni: rabbia, ansia, dolore o magari sollievo. La rabbia può diventare depressione».
Il divorzio provoca rischi importanti per i figli, dato che il 25% di loro avrà problemi comportamentali e scolastici contro il 10% dei figli di coppie ancora sposate (JB Kelly, Oxford University Press, 2012); questi dati tengono conto del ‘clima’ pre-divorzio di cui parleremo tra poco e, dunque, sono scremati da errori e attendibili. Per lo psicologo texano Carl Pickhardt (www.psychologytoday.com, 2012), il divorzio è un crocevia irreversibile per i figli, e il difficile è proprio convincerli della sua irreversibilità, quando il figlio di solito fantastica e si illude che i genitori tornino insieme. Per le adolescenti femmine è più probabile avere reazioni di ansia, mentre per i maschi avere aggressività e rabbia. P Thompson della Columbia University spiega che molti fattori contribuiscono alla vulnerabilità degli adolescenti ai disturbi fisiologici e psicologici al divorzio dei genitori, tra cui l’assenza del padre, i conflitti tra genitori, le fatiche economiche (Journal of Psychosocial Nursing and Mental Health Services).
Nelle coppie in cui il divorzio non risolve la conflittualità e i figli sono contesi e stressati nel rapporto di reciproca calunnia tra i genitori. Infatti esiste una patologia ad hoc: si chiama Sindrome da Alienazione Parentale ed è ben conosciuta nelle aule di tribunale durante le cause di divorzio. La Sindrome da Alienazione Parentale consiste nelle conseguenze di una continua e corposa campagna di denigrazione nei confronti del genitore non affidatario da parte del genitore affidatario; la si riesce a identificare dopo un’attenta valutazione e osservazione del comportamento del minore e consiste in un quadro di repulsione verso il genitore non affidatario e quindi nel rischio di varie conseguenze psicologiche.
Certo che la conflittualità in famiglia è sempre un fattore di rischio per i figli, sia che si divorzi o no. Secondo uno studio neozelandese fatto a Christchurch, in Nuova Zelanda su 1.265 bambini nati tutti nel 1977 e seguiti nel tempo per 30 anni, il divorzio è ‘ereditario’, nel senso che chi ha sperimentato divorzio da bambino è incline più degli altri al divorzio da adulto, soprattutto per le condizioni di disagio in cui è vissuto. Infatti sembra che molti problemi psicologici che si ritrovano dopo il divorzio siano già presenti prima della separazione. Come mostra uno studio americano comparso nel 2012 sulla rivista Pediatrics in Review.
Ma, spiega EM Hetherington che ha a lungo studiato il fenomeno, i figli di coppie divorziate hanno più problemi di comportamento delle coppie non divorziate e la presenza di conflitti in famiglia spiega solo parzialmente i rischi psicologici per i figli dopo il divorzio. Per questo bisogna prevenire con interventi adeguati il trauma da post-separazione: talora con aiuto i figli riescono ad assorbire l’impatto con maturità e carattere; ad esempio, spiega Brenda Clark e il Mental Health and Developmental Disabilities Committee della Società di Pediatria Canadese, si può intervenire rafforzando i processi familiari che hanno un effetto positivo di mediazione sul benessere del figlio dopo il divorzio, quali migliorare la qualità del rapporto con i genitori, e controllare i conflitti.
Dunque il rischio per la salute è il divorzio o il clima di conflitto? Per rispondere dobbiamo rifarci a due studi. Il primo è di E. Mavis Hetherington; questa psicologa dell’Università della Virginia, pioniera dello studio delle dinamiche familiari, spiega – analizzando la letteratura scientifica – che se c’è conflitto e deve esserci anche dopo, è meglio per i figli che la coppia non divorzi; così come se il conflitto è basso prima e resterà basso dopo. In poche parole, il problema è che per i figli la stabilità del tetto familiare è importantissima, a meno che non si preveda – cosa non frequente – che, se prima del divorzio vivevano in un clima conflittuale continuo e grave, le cose col divorzio miglioreranno. Certo che se il clima conflittuale non c’era non ha senso pensare a un vantaggio per i figli dovuto al divorzio. Anzi, Joan B Kelly, che ha speso la vita per studiare la sociologia del divorzio, spiegava in un interessante articolo che il trauma maggiore dal divorzio non lo traggano i figli di coppie altamente conflittuali, ma quelli di coppie in cui sembrava andar tutto bene e il divorzio cade come un fulmine a ciel sereno. Insomma, i figli non hanno nessun giovamento da un divorzio che non risolve i conflitti e hanno un rischio serio se avviene ‘soft’, cioè senza che loro capiscano motivi e che sentano che per loro non ci sono vantaggi.
Si pensa oggi che il massimo della moralità sia lasciare automaticamente che si faccia quel che si sceglie. Una delle conseguenze cupe di questo ragionamento è proprio questa: non si pensa a tutte le conseguenze. È stata facilitata dal Parlamento italiano la fine di matrimoni difficili includendo le coppie con figli, scordando che sono i figli a restar segnati per sempre dalla fine del matrimonio.
Lasciare tempo obbligatorio alla riflessione e alla riconciliazione in caso di presenza di minori, uscire dall’automatismo di una rottura automatica ai primi fulmini familiari, avrebbe aiutato tanti bambini.
Di Carlo Bellini per Avvenire
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