Che questo non fosse un papa da protocollo lo si era capito da subito con la scelta di vivere a Santa Marta. Ma con lui, quando si tratta di confessione, salta tutto non solo i protocolli. Era il 28 marzo 2014 quando, sceso a confessare in san Pietro insieme ad altri sacerdoti, deviò il percorso e a sorpresa si mise lui stesso in ginocchio a confessarsi, come a dire ai preti che non puoi confessare se prima non ti confessi.
Si sente spesso dire che i confessionali sono vuoti, che le chiese sono vuote, che a Messa ci sono solo le persone anziane. Eppure i ragazzi qui a Roma ci sono. Non sapranno le cose tecniche del sacramento ma il senso ce l’hanno. Lo sanno, perché sanno cos’è il dolore, il vuoto, la paura, la mancanza, l’offesa, le ferite. Sanno che se parli con qualcuno già stai meglio. Se quel qualcuno ti ama, il dolore trova una sponda per contenerlo e non farlo tracimare. Se quel qualcuno è capace di ridare la vita, il dolore non uccide più ma diventa parte della vita.
Forse, noi preti, se spiegassimo non quello che sappiamo ma quello che viviamo, i ragazzi ci capirebbero di più, ci crederebbero. Perché i ragazzi ascoltano quello che facciamo, solo quello. Stufi di parole e di immagini, i ragazzi sgamano le balle. Subito. Se dici ad un ragazzo: puoi dirmi tutto quello che vuoi, papà è qui, poi ci devi essere. Poi devi essere capace di ascoltare tutto. E tutto è tutto.
Il Papa non ha paura di quello che i ragazzi diranno di lui. Potrebbero fargli dire qualsiasi cosa: a me ha detto così, a me ha detto cosa. È il rischio, è il motivo per cui gli altri Papi non hanno mai confessato come ha fatto lui oggi. Che ha confessato non gente già testata, ma i primi che arrivavano, quelli che trovava in piazza.
E invece lui scende in piazza. Da solo. Lui e un ragazzo. Di fronte. In mezzo, una sedia ma solo per stare più comodi perché per dirsi tutto ci vuole tempo ed è meglio stare seduti. Dare tempo è dare la vita. Lui lo sa che i ragazzi ascoltano solo quello che facciamo. E che questo, in realtà, è l’unico linguaggio dell’amore.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost
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