Mauro Leonardi

Se, in aereo dall’Armenia, il Papa chiede di nuovo perdono ai gay

Papa Francesco ci ricasca. Dopo il viaggio in aereo da Rio de Janeiro del 2013, di ritorno dall’Armenia ecco che ripete di nuovo “la Chiesa si deve scusare con i gay“. Con una persona omosessuale “che ha buona volontà, che cerca Dio, chi siamo noi per giudicare?”. Il Papa che chiede di andare alle periferie, quando si tratta di non giudicare, di avere misericordia e di chiedere perdono, te lo ritrovi in testa alla fila. Non è un armatevi e partite ma un disarmatevi e partiamo.

A chi gli ricorda sull’aereo che Marx – un vescovo tedesco – ha detto che la Chiesa deve chiedere scusa ai gay, lui risponde con un “a loro e non solo”. E aggiunge una decina di altre scuse da dare. A chi ti dà uno schiaffo porgi l’altra guancia, a chi ti chiede la tunica dà anche il mantello, a chi ti fa fare un miglio tu fanne con lui due, a chi ti chiede una scusa tu aggiungine una decina. È vangelo, niente di più. Gay, poveri, donne sfruttate, bambini, benedizioni alle guerre e alle armi, comprensioni per la situazione storica di Lutero: perché se la misericordia è un’acqua senza sponde, chiedere scusa è il suo rubinetto. Va girato tutto, aperto tutto.

Chiedere scusa non è cosa di un istante: che fai la marachella, chiedi scusa e finisce lì. No, chiedere scusa non è solo spegnere un incendio incipiente, una secchiata d’acqua. Le scuse, il perdono, sono qualcosa di più grande e profondo. E ai gay bisogna chiedere perdono tanto e tante volte per quello che i cristiani hanno loro fatto lungo i secoli. Avviene come per le radici di una pianta che avendo molta profondità ha bisogno di molto acqua.

Il Papa ripete che la Chiesa deve scusare i gay perché chiedere scusa non è una cosa contingente che finisce lì, legata al solo presente. Visto che non “faccio peccati” ma “sono peccatore” se non sto attento, se non cambio, lo sbaglio che ho compiuto tornerò a compierlo. Le volte in cui il Papa ha ribadito la necessità di non giudicare le persone omosessuali, di non discriminarle, di non marginalizzarle, di non condannarle, sono molte: con le parole e con i gesti. Come quando ricevette in Vaticano Diego Neria Lejarraga, transessuale spagnolo che andò all’appuntamento con la fidanzata. Il Papa lo aveva chiamato al telefono due volte fino ad ottenere l’incontro. Chi sono io per giudicare? Dice il Papa. E poi perdona a man bassa. Come quel seminatore evangelico: a spreco. Perché la vera domanda è “chi sono io per non perdonare?

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost


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