Categorie: Italiae et Ecclesia

Se la croce parla di amore e di bene: in piazza del Duomo a Milano

MILANO – Eravamo in 40mila a “vedere questo spettacolo” in Piazza Duomo, a Milano, che l’arcivescovo Angelo Scola ha definito “emblema del Campo che è il mondo”.

Letture tratte dai capitoli 22 e 23 del Vangelo di Luca si sono alternate a momenti di musica, letteratura, teatro e testimonianza. Di grande effetto l’ingresso, o meglio, l’uscita della Croce di San Carlo, con la reliquia del Santo Chiodo, dal portone del Duomo, spalancato e illuminato a giorno, sulle note dell’Alleluja di Alessandro Cadario. Come ha ricordato l’arcivescovo, quella Croce fu portata da San Carlo Borromeo nel 1576, mentre a Milano infuriava la peste, dal cardinale Carlo Maria Martini nel 1984, per “implorare la guarigione della città dalle piaghe della violenza, della solitudine, della corruzione”, dal cardinale Dionigi Tettamanzi nelle sette zone della diocesi e, infine, da Scola stesso, ieri pomeriggio, in quattro luoghi significativi della città (Mangiagalli, Triennale, Torre Unicredit e San Giuseppe dei morenti). Insomma, uscite in qualche modo mirate, per dare un segno alla città e al mondo della presenza sempre viva di Cristo, “l’Amore crocifisso”, in ogni realtà della nostra vita quotidiana, ferita in molti modi, ma da Lui continuamente sanata.

 Particolarmente intense le letture dell’“Interrogatorio a Maria” di Giovanni Testori e della conversione dell’Innominato, da “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, ma soprattutto la toccante testimonianza di Gemma Capra, moglie del commissario Luigi Calabresi, assassinato a Milano nel 1972. Gemma, intervistata dal giornalista Michele Brambilla, ha raccontato di aver ricevuto il dono della fede nel momento in cui le è stata comunicata la morte del marito e di aver iniziato un percorso per cercare di arrivare a perdonare completamente i suoi assassini; percorso molto sofferto che terminerà quando riuscirà a portarli con sé in nella preghiera durante l’Eucaristia, ha affermato.

Dal punto di vista musicale, si è passati, tra i tanti brani, dall’ “Ave Maria” di Schubert, interpretata dal tenore Vittorio Grigolo e dall’ “Ave Verum Corpus” di Mozart all’ “Hallelujah” di Leonard Cohen, cantata da Grigolo e da Marco Sbarbati e alla “Ninna nanna del contrabbandiere” di Davide Van De Sfroos. La FuturOrchestra e il coro Hebel, nati dalla volontà del maestro Claudio Abbado e diretti dal maestro Alessandro Cadario hanno accompagnato tutta la serata.

Ultimo intervento, prima del cardinale Scola, quello di Giacomo Poretti, con il suo “Dialogo tra la Madonnina e il Figlio”, che ci ha fatto sorridere, da buon comico, ma anche riflettere: “Mentre noi ci divertiamo ad applicare la logica del sospetto, c’è una persona che soffre tremendamente e se ne sta là, sopra, a 108 metri, perché Lei, tutte le volte che vede un chiodo, che sia proprio quello o no, Lei si ricorda che suo Figlio è stato appeso con quattro chiodi ad una croce e con quello strazio ci è morto. Chissà come lo cercherà con gli occhi, quel chiodo, durante la processione. Chissà cosa sente nel cuore ogni volta che quel chiodo vaga per la città. Sarebbe come mostrare ad una madre la maglietta che indossava suo figlio quando è annegato al largo delle coste siciliane, o lo zainetto che portava sulle spalle quando è stato travolto dal destino sulle strisce pedonali, o ricevere una chiamata in ufficio e sentirsi dire che il proprio figlio si è buttato dalle scale dopo l’ennesimo messaggio calunniatorio letto su Facebook.”. Chiude con una battuta che fa sorridere, questo suo dialogo, a tratti ironico e a tratti serio, domandando alla Madonnina: “Spiegami come ha fatto Dio a perdere la testa per te.”. Perché, è vero, Dio non ha scelto principesse o regine per renderle madri di suo Figlio, ha chiamato un’umile, ‘anonima’ ragazza a diventare poi anche la nostra Mamma, sofferente, ma sorridente e sempre accogliente.

È il nostro arcivescovo a chiudere la serata, con una lunga preghiera, rivolta alla Croce, che ci  porta a capire ancora una volta in chi, ogni giorno, riponiamo la nostra fede: in Dio, che ci è Padre, nel Figlio, Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo e nello Spirito Santo, sovrabbondanza d’Amore. Infine noi, “l’ultimo anello della ininterrotta catena delle generazioni” da Sant’Ambrogio e San Carlo, fino ai Santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, abbiamo professato, tutti insieme, la nostra fede recitando il Simbolo Apostolico.

È proprio così: di fronte allo spettacolo di questa Croce, simbolo di un dolore che, anche nella morte, apre all’eterna speranza di una nuova vita, non puoi che arrivare a dire “Sì, io credo!”. di Emanuela Sartorio

IL VIDEO DAL CANALE YOU TUBE DELLA DIOCESI DI MILANO

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