Quando mi trovo a dialogare con giovani lontani dalla Chiesa percepisco sempre una distanza frutto soprattutto di un linguaggio differente. Dio è diventato il grande sconosciuto, al suo nome è legato una serie di ricordi passati, persone anche importanti ma rinchiuse nel loro stretto ambito ecclesiale. Dio è qualcosa di importante, ma talmente grande che non c’entra oggi con i problemi della mia vita. Un primo passaggio per parlare di vocazione con i giovani è far capire che Dio è sinonimo di felicità. Dio è la felicità! Chi è che non vuole diventare felice? Chi è che non vorrebbe vincere i limiti, la sofferenza e la morte? Si inizierà a costruire il futuro con Dio quando si comprende che Lui può fare la differenza, che con Lui o senza di Lui cambia davvero tutto. Al giovane serve capire se Dio si interessa di Lui mentre è stanco, sfiduciato e solo, oppure se rimane nascosto nelle sue nuvole. Forse abbiamo rinchiuso Dio nelle chiese e nel nostro mondo clericale togliendolo ai cuori di tanti giovani. Nel momento in cui facciamo capire che Dio si interessa delle loro ferite, che Dio può rendere felice la loro vita allora si può iniziare a costruire un percorso vocazionale. Prendo in prestito una efficace citazione dello scrittore Alessandro d’Avenia: “I ragazzi vogliono sapere se Cristo è un antidoto per la noia, la paura, la fragilità. Vogliono sapere se c’entra qualcosa con la sveglia la mattina. Vogliono sapere se è adrenalina più di uno sballo, se è estasi più di una pasticca, se è gioia più di una canna. Vogliono sapere se la salvezza, che vuol dire mettere una cosa nell’eternità, riguarda loro, adesso. Che se ne fanno loro di un uomo buono morto duemila anni fa se non c’entra con loro in questo preciso istante in cui sono tristi, soli, annoiati o esaltati, felici, innamorati?”. di Roberto Oliva
Se lo sballo è Dio
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Mi scuso,ma sembra piuttosto riduttivo parlare di Dio come una sorta di antidoto per l’infelicità giovanile. A mio avviso, “attirare” i ragazzi alla fede non comporta una banalizzazione dell’Augusta Trinità come garante della felicità terrena, quanto piuttosto un’educazione all’amore di Dio che solo con la preghiera personale e con l’assiduità ai Santi Sacramenti si può ottenere, in vista dell’autentica vita, quella eterna e volta ad evitare il terribile castigo dell’Inferno, purtroppo sempre più ignorato. La Santa Chiesa possiede un tesoro inestimabile, la custodia dell’autentico insegnamento di Gesù, che si esplica con la sua dottrina. Trovo deplorevole il meccanismo per il quale ognuno trovi la propria felicità senza adeguarsi alle regole del Dio che annuncia essere il garante di tale sentimento. Ricordiamoci che il nostro “fine” è la vita futura in Paradiso, non l’effimero piacere di questo mondo mortale, il cui principe noi conosciamo. Grazie a lei per il suo impegno!
Caro Vincenzo, sono d’accordo con lei però la vita eterna inizia già adesso se crediamo in Dio.
Dipende di quale Dio si parla! La vita mortale non è quella eterna, e la fede cattolica lo mette in evidenza.