«Una goccia di Sangue di Cristo, che scende dalla Croce, è sufficiente per purificare tutto il mondo» (Pascal).
«Ci vorrà tutta l’eternità per capire la S. Messa» (Curato d’Ars).
Nella vita della Chiesa in questi duemila anni c’è stato un immenso sforzo per cercare di comprendere sempre più il sacrificio del Signore che si è offerto sulla Croce e si offre in ogni S. Messa a Dio Padre, nello Spirito, per la salvezza e la santificazione del mondo.
Gesù, offrendosi per noi, ha ottenuto il perdono dei peccati di ogni uomo e di ogni donna da Adamo ed Eva fino all’ultimo uomo che vivrà sulla terra. Nessuna azione ha un valore eguale al sacrificio di Cristo, il massimo atto di amore e di donazione che è stato posto sulla terra: un atto di valore infinito, perché è un atto di amore del Padre, del Figlio, dello Spirito!
Dio Padre offre il Figlio; il Figlio si dona al Padre nello Spirito, per la salvezza del mondo; Gesù in Croce è il “massimo dell’amore” sulla terra!
Non dobbiamo mai dire: «Ho capito la S. Messa» ma cercare ogni giorno di invocare lo Spirito perché ci illumini sul valore infinito, divino del sacrificio di Cristo in Croce e presente nella S. Messa.
Che rapporto c’è tra l’ultima Cena di Gesù, il sacrificio della Croce e la S. Messa? Il sacrificio di Cristo, sommo sacerdote e unico mediatore, è unico compiuto una volta per tutte sulla Croce. Tuttavia è reso presente nel sacrificio eucaristico della Chiesa, ogni volta che si celebra la S. Messa.
Gesù si è offerto al Padre, con «un’unica oblazione [… ] ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati» (Eb 10, 14) con l’unico sacrificio della Croce.
Mentre nel Vecchio Testamento i sacrifici venivano continuamente ripetuti si offrivano a Dio gli animali sacrificati, Gesù abolisce tutti i sacrifici offrendo se stesso con un atto di amore infinito, di valore unico, capace di ottenere la remissione dei peccati e il dono dello Spirito: «Egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché Egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso» (Eb 7, 27).
«Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucarestia sono un unico sacrificio, si tratta di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù lo offre ora per il ministero dei sacerdoti, Egli che un giorno offrì se stesso sulla Croce: diverso è solo il modo di offrirsi».
«In questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo che si offrì una volta sola in modo cruento sull’altare della Croce» (CCC n. 1367).
Nell’Eucarestia Cristo dona lo stesso Corpo che ha consegnato per noi sulla Croce, lo stesso Sangue che Egli «ha versato per molti in remissione dei peccati» (Mt 26, 28).
Per comprendere questo rapporto tra il sacrificio di Cristo, l’ultima Cena e la S. Messa occorre capire che l’Eucarestia è un memoriale del Signore.
Gesù dice nell’ultima Cena: «Questo è il mio Corpo che è dato per voi […]. Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi […]. Fate questo in memoria di me: questo è il mio memoriale» (Mt 26, 28).
L’Eucarestia è dunque 1’attualizzazione del sacrificio di Cristo, è la ripresentazione, si rende presente in modo “sacramentale” il sacrificio di Cristo in Croce: è un memoriale, è il “banchetto sacrificale”.
Che cosa significa, che cos’è un memoriale? Occorre distinguere “la memoria” dal memoriale. Quando noi con il pensiero “ricordiamo” richiamiamo qualcuno o qualcosa, rievochiamo con un atto puramente intellettuale un fatto del passato.
Fare memoria, ricordare è dunque un nostro ritorno al passato con il pensiero.
Per la Bibbia “ricordare” non è solo un atto di pensiero, ma un’azione, memoria + azione. Quando si dice che Dio si ricorda di Mosè, per es. significa che Dio agisce in favore di Mosè (ricordare = agire per qualcuno).
Ricordare = mettersi in contatto con Dio che dà vita, libera, salva, interviene.
Quando Dio libera il popolo dall’Egitto, ordina a Mosè di celebrare ogni anno questo avvenimento dicendo di celebrare, di ricordare ogni anno la liberazione dall’Egitto la Pasqua: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come rito perenne» (Es 12, 4). Il popolo si ricorda degli interventi di Dio a suo favore avvenuti nel passato ma ciò che restituisce vita non è la memoria soggettiva dei credenti, ma l’atto compiuto una volta da Dio il quale, come tale, ha una virtù permanente, che il credente è invitato a riconoscere e fare proprio. In realtà questo avvenimento non riguarda soltanto i suoi destinatari immediati: attraverso di loro Dio aveva di mira tutti i discendenti.
Per questo motivo la Misnah commenta: «Celebrando la festività ci si deve comportare come se si fosse usciti personalmente dall’Egitto».
Questo invito a “sentirsi presenti” all’azione di Dio, il Deuteronomio lo suggeriva già quando amava mettere insieme la generazione del deserto e gli israeliti del tempo presente: «Il Signore nostro Dio ha stabilito con noi un’alleanza sull’Oreb. Il Signore non ha stabilito quest’alleanza con i nostri Padri; ma con noi che siamo qui oggi tutti in vita» (Deut. 5, 23).
Il memoriale è dunque un fatto passato che si rende presente oggi è il passato che ci raggiunge!
Gesù nell’ultima Cena dicendo «Fate questo in memoria di me» è come se dicesse: «Questo gesto rende qui e ora presente il mio sacrificio di domani sulla Croce e ripetendolo per sempre io sarò presente in sacrificio fino alla fine del mondo. Io mi dono per voi e a voi, affinché voi possiate donare la vita per gli altri».
Gesù comunica ai suoi cristiani la sua vita d’amore infinito! L’azione liturgica ci rende presenti alla morte e alla Resurrezione di Gesù facendoci partecipi dello Spirito e della vita di Gesù risorto!
Afferma il Concilio di Trento: «Cristo Dio, e Signore nostro, anche se si sarebbe immolato a Dio Padre una sola volta morendo sull’altare della Croce, per compiere una redenzione eterna, tuttavia il suo sacerdozio non doveva estinguersi con la morte (Eb 7, 2427). Nell’ultima Cena, la notte in cui fu tradito, volle lasciare alla Chiesa sua amata sposa, un sacrificio visibile (come esige la sua natura) con cui venisse significato quello cruento che avrebbe offerto una volta p\er tutte sulla Croce, prolungandone la memoria fino alla fine del mondo, e applicando la sua efficacia salvifica alla remissione dei nostri peccati quotidiani».
«Per comprendere meglio il mistero del “memoriale” di un’azione del passato che mantiene la propria efficacia durante i secoli, proponiamo un’analogia simbolica.
«Ogni mattina ripetiamo che “il sole gira” mentre sappiamo benissimo che il sole non “si alza”, ma che la terra ogni mattina si espone al sole, centro del suo sistema, di esistenza. Capita lo stesso dell’azione di Cristo, del suo sacrificio, del mistero della Messa: il sacrificio è unico, non si ripete un’altra volta, Gesù non muore nuovamente nella Messa, ma il suo sacrificio si attua oggi nel senso che misteriosamente noi ci rendiamo presenti a Gesù che muore in Croce. Ormai è Lui il centro del sistema cristiano, nel senso che è Colui dal quale tutti dipendono e ricevono la vita. Ogni mattina io “mi” rendo presente al sacrificio di Gesù che, pur rimanendo un atto temporale del passato, possiede una dimensione sovratemporale e mi permette di rendermi presente a Lui attraverso lo spessore di questo tempo che per me scorre senza sosta. In questo modo il tempo acquisisce non soltanto la sua profondità d’eternità, ma anche un dinamismo che, solidamente ancorato nell’atto salvifico di Dio, mi apre alla riconciliazione universale». (LEONDUFOUR, Condividere il pane eucaristico, ed. LDC pag. 118).
Un venerdì di duemila anni fa, un uomo senza peccato ha offerto in Croce la sua vita, il suo Sangue e la sua morte in un gesto supremo di amore al Padre e agli uomini.
Quell’uomo era il Figlio di Dio e poiché perfettamente Santo, il Padre l’ha resuscitato e accolto nella gloria del Cielo. Attraverso il suo sacrificio l’umanità è entrata nella vita eterna di Dio.
La Messa non è un nuovo sacrificio, ma è la presenza del sacrificio di Cristo: una nuova presenza del sacrificio redentore, una nuova presentazione, una ripresentazione del sacrificio del Calvario che diventa una realtà del nostro tempo e della nostra vita. La Messa è il “Sacramento del sacrificio di Cristo”: ci sono miliardi di ostie consacrate, ma c’è un solo Corpo di Cristo. Ci sono milioni di Messe offerte attraverso ai secoli, ma c’è un solo sacrificio di Cristo offerto sulla Croce: tra il sacrificio del calvario e quello dell’altare, c’è la differenza della visibilità: visibile sul Calvario, sacramentale dell’Eucarestia.
«L’Eucarestia è il sacrificio della Chiesa. La Chiesa, che è il Corpo di Cristo, partecipa all’offerta del suo Corpo. Con Lui, essa stessa viene offerta tutta intera. Essa si unisce alla sua intercessione presso il Padre a favore di tutti gli uomini. Nell’Eucarestia il sacrificio di Cristo diviene pure il sacrificio dei cristiani. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale e in questo modo acquistano un valore nuovo. Il sacrificio di Cristo presente sull’altare offre a tutte le generazioni di cristiani la possibilità di essere uniti alla sua offerta. Nelle catacombe la Chiesa è spesso raffigurata come una donna in preghiera, con le braccia spalancate, in atteggiamento orante. Come Cristo ha steso le braccia sulla Croce, così per mezzo di Lui e in Lui si offre e intercede per tutti gli uomini» (CCC n. 1368).
La Chiesa offre il sacrificio ogni giorno per lodare, ringraziare il Padre, per tutta l’opera di redenzione e di santificazione dell’umanità. Perennemente si innalza al Cielo, la lode a Dio, in Cristo che offre se stesso per la gloria di Dio e la salvezza degli uomini, nello Spirito Santo!
Quando partecipo alla S. Messa penso di essere veramente presente al sacrificio di Cristo in Croce?
Mi sento, in ogni celebrazione eucaristica amato, liberato, santificato da Gesù che dona la sua vita per me?
Che cosa offro di me stesso e della mia vita, quando partecipo alla S. Messa?
Cerco ogni giorno, se è possibile di partecipare alla S. Messa, massima azione della mia vita e della vita della Chiesa?
CANONI DEL CONCILIO DI TRENTO SUL SS. SACRIFICIO DELLA
MESSA (SESSIONE XXII 17 SETTEMBRE 1562)
Per comprendere meglio il grande dono dell’Eucarestia occorre riflettere sul cap. VI in cui Giovanni presenta i segni e il discorso che Gesù ha fatto a Cafarnao sull’Eucarestia, per preparare gli apostoli alla comprensione del grande dono di sé, che avrebbe fatto loro nell’ultima Cena. Ecco il testo:
u 48 «Io sono il Pane di Vita».
A v 52«E il pane che io darò è la mia Carne per la vita del mondo.
Ora i giudei discutevano tra loro: “Come può costui darci la Carne da mangiare?”».
v 54 «Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
v 55 «La mia Carne infatti è vero cibo e il mio Sangue vera bevanda».
A v 58 «Questo è il pane sceso dal cielo. Non come mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Ecco lo schema:
B’. Mangiare il pane sceso dal cielo per vivere eternamente (v. 51 /ab)
A’ . La grande rivelazione: il pane è la Carne di Cristo per la vita del mondo!
Gesù progressivamente dice: «Io sono il Pane di vita, occorre “mangiarmi”: questo pane è la mia Carne!». Gesù rivela questo mistero della sua persona e del suo amore il suo amore infinito e personale per l’uomo, lo porta a diventare nutrimento della vita, per la vita eterna: è l’offerta di se stesso al mondo!
(V. 48) «lo sono il pane della vita» Con questa affermazione si inizia l’esortazione di Gesù a mangiarlo per avere la vita eterna. Gesù ripete il verbo “mangiare” per invitare l’uomo a nutrirsi di Lui, per avere la vita eterna. Gesù dice che, mentre la manna non procurò l’immortalità, chi si nutre di Lui vivrà in eterno.
L’azione del mangiare indica plasticamente l’interiorizzazione della Parola del Figlio di Dio e l’assimilazione della sua Persona con una vita di fede profondissima. In modo analogo alla metafora del bere l’acqua viva, che è la rivelazione del mistero del Verbo incarnato (Jo 4, 13 ss.,) il mangiare il pane vivente, che è Gesù, significa far propria la verità del Cristo, anzi la Persona del Figlio di Dio che è la verità, ossia la rivelazione perfetta del Padre.
(V. 51) «Il pane che io darò è la mia Carne per la vita del mondo» Gesù dice in questo passo «che io darò»: è questa un’allusione al sacrificio della Croce, che rivelerà l’amore supremo del Padre e del Figlio per l’umanità. Lidentificazione di questo pane divino con la Carne del Cristo, ossia la sua persona umana, sacrificata per la vita del mondo è chiarissima.
Sulla Croce Gesù dà la sua vita per la salvezza del mondo: Gesù è morto per tutta l’umanità, rivelando l’amore infinito di Dio per l’uomo! Il termine “Carne” indica la persona umana nella sua fragilità e debolezza: il Figlio di Dio, fattosi uomo, dona la sua persona, dona se stesso, dona la sua vita per la salvezza e la vita di tutti gli uomini.
Questa frase «è la mia Carne per la vita del mondo» ricorda la formula eucaristica, si ispira alla formula istituzionale dell’Eucarestia; Giovanni allude e pensa alle parole di Gesù dette nell’ultima Cena (1 Cor 11, 24; Lc 22, 19): la variante più importante tra la formula tradizionale dell’Eucarestia e quella di Giovanni sta nei termini “CorpoCarne”.
Paolo e i sinottici usano la parola “questo è il mio Corpo” mentre Giovanni usa “Carne” che suggerisce il rapporto tra l’Incarnazione («il Verbo si fece Carne») e l’Eucarestia.
Secondo alcuni esegeti sembra che Giovanni, in questa frase, abbia conservato il testo primitivo della formula eucarestia. (Gesù se è così avrebbe detto: «Prendete e mangiate, questa è la mia Carne»). Inoltre dicendo “per” sembra che Giovanni voglia sottolineare in profondità il “dono della Croce”; Gesù che dà la vita per la salvezza!
(V. 52) «Ora i giudei discutevano tra di loro: come può costui darci la sua Carne da mangiare?» La difficoltà dei giudei è quella dell’uomo in balia delle forze della natura, non essendo rinato dallo Spirito Santo, perché non vuole credere. Come Nicodemo, così qui i giudei non riescono a credere, non capiscono Gesù e il suo mistero d’amore: Giovanni, usando il verbo “mormorare”, si ispira alle scene di ribellione e di contesa degli ebrei nel deserto (Es 17, 2) ma allude anche ai doceti che alla fine del 1 secolo negavano la realtà dell’umanità di Cristo e quindi l’Eucarestia. Le due affermazioni «mangiare la Carne» e «bere il Sangue» suonano ambedue paradossali e assurde se intese in senso naturale e biblico. Solo l’interpretazione sacramentale offre un senso plausibile.
(V. 53) «Se non mangiate la Carne del figlio dell’uomo e bevete il suo Sangue non avete la vita in voi» La locuzione “Carne e Sangue” nel linguaggio semitico, indica “tutto l’uomo”. Gesù non attenua il linguaggio sulla necessità di mangiare la sua Carne e bere il suo Sangue dopo la mormorazione dei giudei, anzi rincara la dose, perché all’azione del mangiare aggiunge l’azione del bere il suo Sangue (v. 53) e nel passo seguente, sostituirà il verbo fagein con trogein che indica non solo “mangiare” ma “masticare con i denti”. Le parole di Gesù sono quindi di un verismo così accentuato che non possono essere prese in senso traslato per indicare solo l’interiorizzazione della rivelazione. Il bere l’acqua viva e il mangiare il pane, sono due immagini molto plastiche ed eloquenti per esprimere il processo di penetrazione intima e di assimilazione delle parole di Gesù. Ma il linguaggio di Giovanni 6, 5358 è così forte e crudo che non può non applicarsi al Sacramento dell’Eucarestia, durante la cui istituzione Gesù disse ai suoi discepoli, appunto, di mangiare il pane che è il Suo Corpo e di bere il vino che è il Suo Sangue (Mc 14, 2225; 1 Cor 11, 23 ss.).
Evidentemente la Cena eucaristica non prescinde dalla fede; anzi il mangiare la Carne del Signore e il bere il suo Sangue è una dimostrazione di fede.
Nel v. 54 secondo il modo di esprimersi semitico, la presentazione negativa del versetto precedente viene presentata in senso positivo: per avere la vita bisogna mangiare la Carne del Figlio dell’Uomo e bere il suo Sangue.
Occorre pertanto credere in Gesù per avere la vita eterna e la Resurrezione (v. 40) e questa fede si dimostra ricevendo il Corpo e il Sangue di Gesù!
Con questo gesto è seminato il germe di immortalità che porterà il suo frutto sensazionale nell’ultimo giorno. «La Resurrezione non farà che mettere in attività le forze che la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo ha deposto nell’uomo, per la trasformazione finale del suo essere» (Snhackemburg).
(V. 55) «La mia Carne infatti è vero cibo, il mio Sangue vera bevanda» Afferma che vero cibo e vera bevanda per esprimere che veramente la Carne e Sangue di Gesù sono nutrimento, così come il cibo materiale nutre la vita fisica. Accentua anche il fatto che mentre la manna non era un “vero” cibo spirituale, questo lo è in profondità: il Corpo e il Sangue di Cristo nutrono veramente, danno vita vera, tanto che sono fonte di vita eterna e di Resurrezione. è un cibo così potente che dà una vita che non finirà mai!
(V. 56) «Chi si ciba della mia Carne e beve il mio Sangue rimane in me ed io in Lui» Questo versetto ripete il v. 54 sostituendo e concretizzando il dono della vita eterna e della Resurrezione con quello della comunione intima con Gesù. La perfetta comunione di vita tra il fedele e il Cristo è causata dall’adesione totale al Verbo incarnato.
«Chi riceve Gesù, riceve la vita che è eterna: questa unità con Gesù è permanente; la Comunione con Cristo ricevuto sacramentalmente, immette nel circolo divino, per cui l’unione sacramentale diviene, unione personale, rapporto profondo tra il discepolo e la persona del Signore. Per la prima volta nel Vangelo di Giovanni, si trova una formula di “immanenza” che descrive in modo tutto particolare l’incomparabile unione del cristiano con Cristo! Le parole sul rimanere in Cristo di chi riceve l’Eucarestia e del rimanere di Cristo in chi lo riceve, accennano con forza all’unione unica nel suo genere di Gesù con i cristiani e dei cristiani con Gesù. Questa compenetrazione reciproca senza diminuzione della personalità non ha analogie nella sfera terrena e umana: la sua geniale formulazione linguistica nella sua semplicità e pregnanza presuppone una lunga meditazione e riflessione su questo mistero della fede» (Snhackemburg).
(V. 57) Il Cristo diventa fonte e fine dell’esistenza del fedele che mangia la sua Carne, in modo analogo a quanto avviene nella Trinità.
Dice il CCC: «La Messa è ad un tempo e inseparabilmente il memoriale del sacrificio nel quale si perpetua il sacrificio della Croce, il sacro banchetto della Comunione al Corpo e Sangue del Signore. Ma la celebrazione del sacrificio eucaristico è totalmente orientata all’unione intima dei fedeli con Cristo attraverso la Comunione. Comunicarsi è ricevere Cristo stesso che si è offerto con noi» (n. 1328).
Nella S. Messa noi dobbiamo offrire noi stessi con il Signore che si sacrifica per noi e ricevere in noi il Signore per attuare la massima unità possibile con Lui, sulla terra. Nella S. Comunione si realizza il mistero dell’unità: Dio ci assimila a sé, donando a ciascuno tutto se stesso per la nostra liberazione, purificazione, santificazione. «Ciò che è avvenuto nell’Incarnazione si riproduce nella S. Comunione. Come il Verbo unendosi alla carne l’ha innalzata alla somiglianza con sé e l’ha resa vivificante, così quantunque in grado minore, la Carne di Cristo, venendo in noi, ci cambia nella sua immagine e ci fa viventi» (S. Giovanni Crisostomo).
Ho qualche difficoltà spirituale nel ricevere il Signore?
Quando vado a Messa cerco di fare le due comunioni: con la Parola di Dio e con il Corpo e il Sangue di Gesù?
Per me la S. Comunione è veramente il “massimo momento di unione con Cristo”?
Facendo la S. Comunione penso che Gesù si dona a me “personalmente”?
Gesù prima di morire ha così pregato, rivolgendosi al Padre: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro Parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola. Come tu Padre sei in me e io in te, siano anch’essi una cosa sola perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Jo 17, 20).
Questa unità tra Dio e noi e tra di noi è creata dalla Parola, dallo Spirito, dalla fede, dall’Eucarestia: venendo dentro di noi, dandosi “personalmente” a ciascuno Gesù realizza la massima unità. Nella S. Comunione non c’è solo un’unità morale ma fisica, corporea personale, la più sublime e profonda possibile.
Si può parlare di “incorporazione con Cristo” di unione al suo Corpo e al suo Sangue, alla sua Persona umanodivina. S. Elisabetta della Trinità, una grande mistica, dice che noi dobbiamo fare in modo che la nostra sia come «umanità aggiunta alla sua» è come una «nuova Incarnazione». Gesù si unisce profondamente a ciascun uomo che lo riceve sacramentalmente.
è un vero scambio di vita divina tra Dio e noi. Dio amandoci, fino a venire in noi, ci trasforma in Lui. Cristo venendo in noi, Lui che è la Verità, ci dona la Verità. Cristo venendo in noi, Lui che che è l’Amore, ci dona l’Amore. Cristo venendo in noi, Lui che è la Libertà, ci libera dal male. Cristo venendo in noi, Lui che è la Forza, ci dona la forza per essere cristiani. Cristo venendo in noi, Lui che è la Gioia, ci dona la gioia di Dio. Cristo venendo in noi, Lui che è la Vita, ci vivifica, santificandoci.
«Chi ama non si accontenta di una conoscenza superficiale dell’amato, ma cerca di capire intimamente le singole cose che ad esso appartengono e di penetrare così nella sua intimità per cui si dice che lo Spirito scruta le profondità (1 Cor 2, 10). Chi ama gioisce dell’amato e dei suoi beni in forza della compiacenza interiormente radicata verso l’amato per cui si dice che l’amore vuole l’intimità e si parla di “viscere di carità”».
«Nell’amore di amicizia chi ama si trova nell’amato, in quanto considera il bene e il male e la volontà stessa dell’amico come sue proprie: così da sembrare che Egli stesso senta e subisca il bene e il male nel proprio amico; per questo è caratteristica degli amici «volere le stesse cose e delle medesime dolersi e gioire. Cosicché colui che ama, sembra essere nell’amato e come identificato in Lui».
La comunione stabilisce un’unione che si chiama “fisicosacramentale” e determina un contatto speciale con l’umanità di Cristo. L’incontro con Cristo, fa bene anche al corpo. Dice S. Teresa: «Pensate forse che questo santissimo pane non sia sostentamento ai nostri miseri corpi? So, invece che è così… se quando era al mondo, col semplice tocco delle vesti (e tutta la folla cercava di toccarlo, perché da Lui usciva una forza che sanava tutti Lc 6, 19) guariva gli infermi, come dubitare che, stando in noi personalmente non abbia a compiere miracoli se abbiamo fede?».
La Carne di Cristo, tutta bagnata dall’unzione dello Spirito è per così dire un “divino calmante” che smorza, tonifica e mette pace nel nostro sistema nervoso sconvolto dalle tre concupiscenze (la concupiscenza della carne, degli occhi, la superbia della vita: sensualità, vanità, orgoglio).
«Cristo venendo in noi, unisce le nostre membra alle sue: purifica, eleva, perfeziona, santifica, trasforma, tutte le nostre facoltà. La presenza divina di Gesù e la sua virtù santificatrice impregnano così intimamente tutto il nostro essere, anima e corpo con tutte le sue potenze che diventiamo altri cristi» (Marmiom).
Toccando Cristo attingiamo immortalità, incorruzione, giovinezza, libertà.
C’è un influsso cristificante sul nostro corpo. La comunione al Cristo risorto, ci fa risorgere: inizia già ora la Resurrezione del corpo, una specie di trasfigurazione anticipata ci rivestiamo in certo qual modo di immortalità, si comincia a rivestirci dei vestimenti della gloria e il nostro corpo va assumendo le qualità del Corpo trasfigurato di Cristo! Cristo comunica la sua luminosità, ci fa divenire luminosi e splendenti: con la fede e con l’amore a Gesù dobbiamo ricevere sulle nostre piaghe (superbia, lussuria, egoismo, pigrizia, disturbi interiori) l’influsso santificante del Signore.
Gesù risorto dona abbondantemente lo Spirito nella S. Comunione. Dice lo Scheeben, uno dei più grandi teologi: «Come lo Spirito, quale Spirito del Figlio è unito nel modo più reale al Corpo di Lui e vi abita e vi riposa, così pure in questo corpo, viene a noi per unirsi, per donarsi a noi e darsi in proprietà a noi.
«Nel Corpo del Verbo, riempito da Lui, noi succhiamo, per così dire, lo Spirito dal petto e dal cuore di Colui dal quale procede. Egli si unisce e si effonde in noi, tanto come soffio della vita divina, ossia dell’amore divino che proprio qui, dove noi siamo uniti così intimamente con il Padre celeste mediante la più reale unione col suo Figlio, tocca l’apogeo, quando come pegno dell’amore di Dio per noi, pegno che ci offre da mangiare, nonché come il suggello della nostra filiazione e della nostra unione con Lui, la quale trova qui il suo compimento e la sua consumazione».
Nella S. Comunione dobbiamo pregare e desiderare che si attui quella “copiosissima effusione dello Spirito Santo” che dovrebbe renderci ogni giorno sempre più simili a Gesù, rinnovarci continuamente e santificarci sempre più.
Lo Spirito che ha santificato Maria, che ha santificato Gesù, santifichi anche noi!
Nella Chiesa siriaca verso il 475 il sacerdote prima di dare la S. Eucarestia diceva: «Il Corpo di Gesù Cristo, lo Spirito Santo per la guarigione del corpo e dell’anima». Nella liturgia siriaca il sacerdote mettendo nel calice un frammento del paneagnello dice: «Pienezza dello Spirito Santo».
Continuamente gli autori siriaci dicono che ricevendo il Corpo e il Sangue di Gesù noi riceviamo lo Spirito Santo, la sua grazia, il suo dono di immortalità.
Gesù riempito di Spirito Santo ha riempito di Spirito il pane e il vino eucaristici: «Allo stesso modo dopo la cena prese il calice, vi fece mescolanza di vino e di acqua, alzò gli occhi al cielo, lo presentò a Te, suo Dio e Padre, rese grazie, lo consacrò e lo benedisse. Lo riempì di Spirito Santo e lo diede ai suoi santi e benedetti discepoli […]. Chiamò il pane suo Corpo vivente, lo riempi di se stesso e dello Spirito Santo, tese la sua mano e diede loro il pane […]. Prendete e mangiate con fede, e non dubitate che questo sia il mio Corpo. E chi lo mangia con fede, mediante di esso mangia il Fuoco dello Spirito […]. Mangiate tutti, e mangiate per mezzo di esso lo Spirito […]. D’ora in poi voi mangerete una Pasqua pura e senza macchia, un pane fermentato e perfetto che lo Spirito ha impastato e fatto cuocere, un vino mescolato con Fuoco e Spirito» (S. Efrem).
«Volle che avendo essi (il pane e il vino) ricevuto la grazia e la venuta dello Spirito Santo, noi non guardassimo più alla loro natura, ma li prendessimo per il Corpo e il Sangue di Nostro Signore. Perché il Corpo di Nostro Signore neanch’esso possedette l’immortalità e il potere di dare l’immortalità, per propria natura: è lo Spirito Santo che glieli ha dati ed è per la Resurrezione dai morti che ricevette l’unione con la natura divina, divenne immortale e causa di immortalità per gli altri» (Teodoro di Mopseustia).
C’è un bellissimo testo che esprime questo dono dello Spirito:
«Ecco Fuoco e Spirito nel seno di sua Madre
ecco Fuoco e Spirito nel fiume dove sei stato battezzato Fuoco e Spirito nel nostro Battesimo
nel pane e nel calice Fuoco e Spirito Santo
nel tuo pane è nascosto lo Spirito che non si mangia nel tuo vino abita il Fuoco che non può essere bevuto. Lo Spirito nel tuo pane, il Fuoco nel tuo vino
meraviglia singolare che le nostre labbra hanno ricevuto». (Inno De Fide siriaco)
«Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue dimora in me ed io in Lui» (Jo 6, 56). «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre così anche colui che mangia me vivrà per me» (Jo 6, 57).
Gesù nella S. Comunione dona a noi la sua vita divina, tramite lo Spirito, il suo amore infinito, trasformandoci in Lui, fino a potere dire con S. Paolo: «Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me» (Gal 2, 20); «La mia vita è Cristo» (Fil 1, 21).
Ciò che il cibo materiale fa nel nostro corpo, nella nostra vita fisica, la Comunione lo realizza nella nostra vita spirituale: conserva, rafforza, accresce la nostra vita divina; la Fede, la Speranza, la Carità e tutte le virtù e i doni spirituali. La Comunione realizza in noi un’unione profonda di pensieri, volontà, affetti tra noi e Cristo, cambia il nostro modo di pensare, di volere, di sentire, di agire, trasformandoci in Cristo, che dona a noi la Verità, la Forza, l’Amore, tutti i suoi santi doni spirituali affinché la nostra vita divenga sempre più capacità di lode, di amore a Dio Padre, servizio ai fratelli, ringraziamento, offerta, vita nuova nello Spirito.
Poco per volta si diventa come Gesù: umili, cortesi, buoni, pazienti, oranti, ci si trasforma in Cristo, si diventa Cristo. «Voglio che Gesù si impossessi talmente delle mie facoltà che io non possa più compiere azioni umane e personali, ma solo delle azioni divine ispirate e dirette dallo Spirito di Gesù» (S. Teresina del Bambino Gesù).
«Gesù ti prego di rivestirmi di Te, di identificare tutti i movimenti della mia anima a quelli della tua, di sommergermi, di invadermi, di sostituirti a me, affinché la mia vita non sia che un riflesso della tua» (Elisabetta della Trinità).
La S. Comunione ci fa diventare capaci di unirci al Cristo in Croce, sofferenti con il Cristo sofferente, generosi nell’offrire al Signore le croci e le difficoltà della nostra vita, con Lui sulla Croce. La S. Comunione trasforma la nostra vita, in una vita sempre più secondo il Vangelo ci converte ogni giorno aiutandoci a maturare nel dono e nello spirito di servizio. Gesù viene a vivere in ciascuno di noi, per continuare a portare l’amore e la salvezza a tutti.
Il Corpo di Cristo che riceviamo nella Comunione è “dato per noi” e il Sangue che beviamo è “sparso per molti in remissione dei peccati”. Perciò l’Eucarestia non può unirci a Cristo senza purificarci, nello stesso tempo, dei peccati commessi e preservarci da quelli futuri (CCC n. 1393).
Cancella i peccati veniali perché vivifica la carità. Donandosi a noi Cristo ravviva il nostro amore e ci rende capaci di troncare gli attaccamenti disordinati alle creature e radicarci in Lui.
«Cristo è morto per amore. Perciò quando facciamo memoria della sua morte, durante il sacrificio, invochiamo la venuta dello Spirito Santo quale dono di amore.
La nostra preghiera chiede quello stesso amore per cui Cristo si è degnato di essere crocifisso per noi. Anche noi mediante la grazia dello Spirito Santo, possiamo essere crocifissi al mondo e il mondo a noi. Avendo ricevuto il dono dell’amore moriamo al peccato e viviamo per Dio» (CCC n. 1394).
Preserva dai peccati mortali per la carità che accende in noi. Quanto più partecipiamo alla vita di Cristo e progrediamo nella sua amicizia, tanto più è difficile separarci da Lui con il peccato mortale (CCC n. 1395).
Ricevendo Gesù ci si unisce a Lui più profondamente. Lui fa la Chiesa, perché riunisce in un solo corpo tutti quelli che lo ricevono. La Comunione rinnova, rinsalda, approfondisce la Chiesa, l’unità tra i cristiani, uniti tra loro da Cristo. Nel Battesimo si è stati chiamati a formare un solo corpo, l’Eucarestia perfeziona l’unità, dona l’amore vicendevole rende capaci di servizio, pronti all’accoglienza soprattutto dei poveri. Unendosi a Cristo, cisi unisce a tutti coloro con cui Cristo è unito!
Ricevendo Cristo, diventiamo capaci di incontrarlo nei fratelli, specie i più poveri: Gesù dà la grazia di riconoscerlo nei fratelli, dà l’amore per l’unità di tutti.
«Non si consacra l’Eucarestia, se insieme non si consacra il mondo». Si riceve Gesù per comunicarsi e unirsi a tutti i popoli della terra: l’Eucarestia è il principio dell’amore universale, dall’unità dei popoli.
L’amore del prossimo è “condizione” prima per ricevere Gesù ed è il “fine” dell’incontro con Lui, l’effetto: chi riceve Gesù ama il prossimo! Con lo stesso amore con cui Gesù lo ama. L’amore fraterno è la pupilla degli occhi di Cristo! La comunità cristiana viene generata dall’Eucarestia continuamente.
Alcune indicazioni di spiritualità: vivere bene i cinque momenti della Celebrazione eucaristica.
Preparare il punto di conversione: in che cosa devo convertirmi in modo primario? Che cosa c’è nella mia vita che si oppone al Signore che incontro?
Mai partecipare alla S. Messa, senza prima purificarsi, ricordandosi di quanto dice S. Giovanni della Croce: «Convien sapere che un recipiente tanto più è capace quanto più in sé è puro: e tanto più una cosa si diffonde e si comunica, quanto più è sottile e delicata. Ora il Verbo è immensamente sottile e delicato e l’anima è il vaso ampio e capace per la grande purezza e delicatezza che ha al presente, per la grande purificazione cui si sottopone».
Devo fare sempre la “prima comunione con la Parola” durante la S. Messa, ascoltando con attenzione, fede e devozione la Parola di Dio, cercando di mettere in cuore “una Parola di vita” da vivere durante la giornata, chiedendo al Signore: «Signore cosa vuoi dirmi con questa Parola?»
Mai andare all’Eucarestia senza offrire Gesù al Padre e offrirsi. Offrire al Signore qualche dono (un dovere da compiere, un servizio di carità, un atto di generosità, ecc.). Offrire anche le sofferenze di qualche persona che soffre.
Unirsi profondamente a Gesù in Croce che dona se stesso per la gloria di Dio e la salvezza del mondo. Ridire il proprio “Amen”, sì a Gesù Cristo, impegnandosi nella vita cristiana.
Occorre incontrare Gesù:
con la massima fede: è Gesù che viene in me!
con il massimo amore: come posso ricambiare il suo Amore infinito?
con la massima gioia: non c’è gioia più grande sulla terra, Dio viene in me!
con la massima umiltà: «Signore non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di soltanto una parola e io sarò salvato!».
con grande senso di adorazione: è l’Infinito Dio che viene a me;
con molto ascolto: il Signore mi parla!
con continuo ringraziamento e lode che deve prolungarsi lungo la giornata.
La preghiera di Adorazione deve continuare la preghiera della Messa, adorando, ringraziando, lodando, chiedendo perdono, invocando per sé e per tutti l’aiuto del Signore!
L’adorazione non è tanto un prendere, quanto un donarsi al Signore. Offrire il proprio cuore, implorando amore e generosità! La preghiera deve diventare sempre di più silenzio e donazione: adorare è amare, che significa prima di tutto “ascoltare Dio”, accogliere Dio che viene in noi, facendo attenzione più a Dio che a noi stessi.
(da recitarsi alla domenica per la Santificazione della festa)
1° Mistero: Gesù è concepito per opera dello Spirito Santo (Lc 1, 2628)
2° Mistero: Gesù è consacrato Messia al Giordano dallo Spirito Santo (Lc 3, 2122)
3° Mistero: Gesù muore in Croce per togliere il peccato e donare lo Spirito Santo (Gv 19,
4° Mistero: Gesù dona agli Apostoli lo Spirito per la remissione dei peccati (Gv 20, 22)
5° Mistero: Gesù a Pentecoste effonde lo Spirito per la Missione nel mondo (Atti 2, 113)
Si può recitare 1’Ave Maria aggiungendo l’invocazione allo Spirito:
«… Santa Maria Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte e ottienici il dono dello Spirito Santo. Amen».
Possibilmente recitare il S. Rosario con la corona “rossa” segno del fuoco dello Spirito Santo, che è l’Amore.
Richiederla a: Parrocchia San Secondo via San Secondo, 8 10128 Torino tel. 011543191
Redazione Papaboys
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